Anna Grandori, professore ordinario di organizzazione aziendale presso l’Università Bocconi di Milano, ha aperto la XV edizione del Workshop sull’impresa sociale con un keynote speech dal titolo “Nuove tesi per rigenerare l’impresa. Le sue componenti sociali oltre il profitto e verso l’innovazione”. (Scopri di più su: IrisNetwork.it)

La professoressa Grandori ha introdotto il suo intervento con una riflessione teorica sulla natura dell’impresa, da cui far discendere, grazie a una ricostruzione spuria da luoghi comuni, la natura dell’impresa sociale stessa. A partire da alcune sollecitazioni. Quale è la ragion d’essere dell’impresa? E’ vero che l’impresa privata ha come obbiettivo il profitto e non ha obblighi di responsabilità sociale? Se ne ha, quali caratteristiche qualificano l’impresa sociale come “più” sociale delle altre imprese? E quali caratteristiche dell’impresa sociale possono favorire e quali ostacolare l’innovazione?

Tutte le imprese dovrebbero avere una funzione sociale. Che cosa è “specifico” dell’impresa sociale? Qualcosa che va oltre con la responsabilità sociale di base dell’impresa (che è una delle ragion d’essere dell’impresa stessa), ossia le specifiche finalità che l’impresa sociale deve assumere “esplicitamente” e “formalmente”: gli obbiettivi sociali (che sono obbiettivi vincolati, da statuto).

Ma come integrare obbiettivi sociali e innovazione? Come evitare che obbiettivi vincolati non diventino “vincolanti”? Se misurata rispetto a tre dimensioni specifiche – concretezza, diversità, flessibilità – che sembrano guidare l’innovazione, l’impresa sociale può presentare caratteristiche ambivalenti.
  1. Concretezza: le imprese innovative hanno obbiettivi tipicamente “reali” (sociali, edonistici, esplorativi), non “monetari” (questi ultimi non “guidano” l’innovazione). Da questo punto di vista le imprese sociali hanno un indubbio vantaggio competitivo in termini di potenziale di innovazione, in quanto si pongono obbiettivi sociali “reali” e “concreti” già nelle proprie finalità.
  2. Diversità: l’innovazione si genera da un humus eterogeneo di obbiettivi, saperi, punti di vista, oltre che essere misurata su una molteplicità di parametri. Per le imprese sociali potrebbe presentarsi un deficit di “diversità” laddove un obbiettivo sociale primario forte riduca una possibile varietà di approccio e pensiero.
  3. Flessibilità: l’innovazione richiede cambiamento, ridefinizione delle attività ed eventualmente degli obbiettivi, velocità decisionale, in sostanza elementi che sono propri di forme organizzative democratico-partecipative e al contempo efficienti. La definizione statutaria di obbiettivi stringenti, per l’impresa sociale, potrebbe creare dei “tunnel effects” (ossia gli obbiettivi diventano troppo stretti o rigidi).
La professoressa Grandori suggerisce alcune soluzioni “strutturali” (oltre che culturali) che possono incrementare quei livelli di flessibilità e diversità che favoriscano l’innovazione per le imprese sociali: porsi obbiettivi generali e non stringenti; essere multi-purpose; porsi degli obbiettivi di “innovazione” già a livello statutario; essere socialmente responsabili anche nelle “procedure” (rappresentanza, regole di voto etc.) non solo negli obbiettivi; creare eventuali enti “altri” e controllati (una fondazione, ad esempio) che siano i veri depositari dei “purpose”, in modo da svincolare l’impresa da obbiettivi troppo rigidi.

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