Dal prossimo 1 gennaio arriva il Reddito di Inclusione (ReI), la prima misura unica per il contrasto alla povertà. È certamente un risultato importante per il nostro Paese: il compimento di un lungo percorso che ha coinvolto con ruoli e responsabilità diverse l’Alleanza contro la Povertà in Italia, il Governo e il Parlamento. Con il Rei si inaugura, infatti, un nuovo modo di pensare l’intervento pubblico in tema di povertà: si introduce un’innovazione strutturale che riprende numerosi aspetti della misura proposta dall’Alleanza contro la Povertà in Italia, recepiti durante il dibattito parlamentare e presenti nel Memorandum siglato lo scorso aprile con il Governo. (Scopri di più su:
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La gravità dei ritardi accumulati nel passato, tuttavia, fa sì che vi siano ancora dei passi significativi da compiere se vogliamo evitare che il Rei rimanga l’ennesima riforma incompiuta nella storia italiana. C’è un accordo unanime sul fatto che le risorse stanziate siano insufficienti e non consentano ancora di raggiungere tutte le persone in povertà assoluta, ma la misura può e deve essere migliorata. Dei più 4 milioni di persone in povertà assoluta (il 7,9% della popolazione e il 6,1% delle famiglie) censite dall’Istat otterrà il Rei il 38% (1,8 milioni di individui), poco più di un povero su tre. In particolare, rimane escluso il 41% dei minori, la categoria che lo strumento punta a raggiungere in via prioritaria: il Rei è destinato ai nuclei familiari con almeno un minorenne, oltre che ai nuclei con un figlio con disabilità, a quelli con una donna in stato di gravidanza e ad alcuni nuclei con persone di 55 anni o più in stato di disoccupazione. Rendere la misura universale deve, dunque, essere un traguardo per tutti: l’esistenza di poveri di “serie a”, che ricevono il Rei, e poveri “di serie b”, che non lo ricevono, è ammissibile solo se tale discriminazione rappresenta un primo passo nella prospettiva di un progressivo ampliamento dell’utenza. Peraltro, il rischio di cadere nella povertà riguarda una quota sempre più significativa della popolazione italiana: non esistono più categorie o luoghi più svantaggiati di altri, perché la povertà è diventata trasversale alle aree geografiche, alle generazioni, alle tipologie familiari, alle nazionalità e finanche alle condizioni occupazionali. In altre parole, negli ultimi anni la crescita dei poveri non si è concentrata tra i gruppi già più colpiti, ma si sono allargati i confini dell’indigenza e dell’esclusione. Se guardiamo alla distribuzione della popolazione povera esclusa dal Rei per fasce d’età, ciò è immediatamente evidente: non percepirà il Rei il 17% dei minori, il 22% del 18-35enni, il 17% dei 36-45enni, il 18% dei 46-55enni, il 14% dei 56-65enni e il 12% di chi ha più di 66 anni.
Aumentare per numero e per tipologia gli utenti del Rei è dunque quanto mai urgente, ma al tempo stesso bisogna evitare che si incrementi l’utenza senza prevedere risposte adeguate nell’importo dei contributi economici e nei percorsi d’inclusione sociale. Il rischio è che si raggiungano sempre più persone, senza però dare loro una reale possibilità di migliorare le proprie condizioni, che è esattamente la vera sfida del Rei.
Per quanto riguarda gli importi che andranno a percepire gli utenti del Rei, il vero problema è che le cifre erogate, pur rilevanti per chi ha redditi estremamente bassi (in media 289 euro a famiglia: si va da 177 euro per un single a 308 per le famiglie con 5 o più componenti), non consentono ancora ai beneficiari di raggiungere la soglia di povertà (l’importo di una misura contro la povertà si determina come la distanza tra soglia di povertà e il reddito disponibile) e di soddisfare adeguatamente le proprie esigenze primarie, che riguardano l’alimentazione, la casa, il vestiario e i trasporti ed altre necessità di base. Ma questa è una partita aperta.
Da rafforzare anche i percorsi di inclusione sociale e lavorativa dei beneficiari, pensati per rendere disponibili le competenze e gli strumenti per ri-progettare l’esistenza e per consentire loro, laddove possibile, di uscire dalla povertà e, in ogni caso, di massimizzare l’autonomia personale nello specifico, il Rei prevede un finanziamento finalizzato per i servizi sociali comunali responsabili del piano personalizzato. Particolare attenzione va dunque prestata ai servizi: attualmente si prevede che il 15% dei finanziamenti statali contro la povertà sia destinato ai Comuni per la costruzione di percorsi d’inclusione da realizzare insieme al Terzo Settore, ai Centri per l’Impiego e agli altri soggetti sociali. Tuttavia, si tratta di una percentuale insufficiente, che dovrebbe essere portata al 20%: solo così, infatti, il Rei può effettivamente incidere sulle condizioni di vita delle persone. Bisogna evitare che il Rei si riduca ad un mero trasferimento monetario che non interviene realmente sulle cause della povertà: una misura priva della dimensione dei servizi sarebbe necessariamente inadeguata, poiché si scontrerebbe con la forte carenza dei medesimi in vaste aree del Paese, ma soprattutto perderebbe quel carattere inclusivo che rappresenta il vero punto di svolta nella lotta alla povertà e all’emarginazione sociale.
Per superare le criticità evidenziate, l’Alleanza chiede l’avvio di un Piano triennale (2018 – 2020) contro la povertà che prosegua il percorso iniziato con l’introduzione del Rei e lo porti a compimento, estendendolo a tutti gli indigenti e rafforzando gli interventi forniti, anche a livello locale, dove è previsto un impegno congiunto di Stato, Regioni ed altri soggetti. Alla conclusione del Piano, che a regime necessita di 7 miliardi di euro annui, il Paese sarà finalmente dotato di una misura contro la povertà assoluta universale (rivolta a chiunque viva in tale condizione) e adeguata (negli importi e nei percorsi di inclusione). Nel 2020, serviranno dunque circa 5,1 miliardi in più rispetto alle cifre oggi disponibili: sinora sono stati stanziati 1759 milioni nel 2018 e 1845 a partire dal 2019.
Siamo consapevoli delle difficoltà economiche e realizzative che il Piano comporta, ma siamo anche convinti che la costruzione di un Rei universale sia un obiettivo alla portata del nostro Paese. La sostenibilità del Piano è garantita proprio dal suo carattere graduale che assicura:
- adeguati tempi di apprendimento e di adattamento organizzativo ai soggetti chiamati a fornire la misura nei territori (Comuni, Terzo settore, Centri per l’impiego, ecc.);
- la possibilità di sviluppare in base a risorse certe la necessaria rete dei servizi locali;
- la possibilità di diluire nel tempo lo stanziamento dei 5,1 miliardi ancora necessari a raggiungere la soglia dei 7 miliardi annui che garantirebbero una risposta adeguata contro la povertà assoluta in Italia.
Non è solo questione di giustizia sociale. Sconfiggere la povertà significa promuovere la crescita economica e migliorare le condizioni della società nel suo complesso: l’aumento dell’indigenza deprime i consumi e quindi la domanda aggregata. Inoltre, una corretta applicazione del Rei favorirebbe anche la nascita di nuovi posti di lavoro.
Una considerazione finale: al di là degli elementi critici, che comunque aiutano il lavoro che stiamo facendo, la vera posta in gioco è la costruzione di un nuovo welfare, più moderno e più attento all’aumento delle diseguaglianze. Un processo che ci riguarda tutti da vicino.