In 958 pagine il ritratto in verde-ecologia e in grigio-inquinamento dell’Italia: la nuova Relazione dello stato dell’ambiente, appena completata, a 8 anni dalle precedente, dipinge un Paese a due colori. In grigioverde. (Scopri di più su: IlSole24Ore.com)
Ricchissima di ambiente, l’Italia dìssipa con leggerezza sciagurata questo capitale. Insomma, quest’Italia meravigliosa e al tempo stesso degradata che condividiamo in mille altri diversi aspetti.

Abbiamo una biodiversità che fa a gara con il Brasile, custodiamo le aree protette fra le più interessanti, sviluppiamo e usiamo le tecnologie più innovative e sostenibili, condividiamo lo spazio con animali rarissimi, abbiamo un’industria efficiente, godiamo paesaggi di rara emozione, sviluppiamo emissioni contenute, ci impegniamo in un riciclo efficace dei rifiuti; e ogni giorno disperdiamo una parte di queste meraviglie con incendi di boschi, rifiuti selvaggi, edilizia d’arrembaggio, traffico anarchico, fumi inquinati e con i mille egoismi della stupidità.

In altre parole, il Rapporto sullo stato dell’ambiente - un documento che raccoglie i dati certificati e ufficiali degli organismi pubblici di rilevazione, come l’Ispra, l’Enea e l’Istat - dice che l’inquinamento è in forte calo ovunque (nell’aria, nell’acqua, nel terreno) ma si fa troppo poco per ridurlo e dice che ricorriamo ancora troppo alla discarica per liberarci della spazzatura (ci liberiamo del 26% dei rifiuti nascondendoli nello stupido buco nel terreno). L’inquinamento si concentra nell’Alta Italia, dove però ci sono le armi migliori per combatterlo; il dissesto cementizio e dell’immondizia dominano nel Sud. Niente di nuovo, ovviamente, ma ora è possibile misurare questi fenomeni e dare loro un numeratore.

«Questa Relazione rappresenta non solo un doveroso aggiornamento sui principali indicatori ambientali del Paese – scrive Gian Luca Galletti, ministro dell’Ambiente e “committente” dell’opera formata da 893 pagine più 65 di premesse e indici – è uno strumento, il più ampio e completo, per chi desidera approfondire sotto il profilo scientifico la situazione italiana. Un lavoro ponderoso che consente di avere piena contezza del nostro territorio, dei suoi ecosistemi, della sua biodiversità, delle sue criticità». Mezzo pieno il bicchiere dell’ambiente italiano, a parere del ministro Galletti che sottolinea «le molte luci, ma anche le poche persistenti ombre», e «un Paese saldamente incardinato nel sistema di tutele ambientali definito dall’Unione europea, che è probabilmente il più attento e completo del mondo. Siamo fra i sistemi Paese con la più alta efficienza energetica, abbiamo performance nelle rinnovabili che non solo ci pongono ai vertici del continente, ma ci collocano all’avanguardia su scala mondiale». L’obiettivo tratteggiato da Galletti è «quella green economy che già coinvolge tre milioni di lavoratori italiani e che rappresenta il futuro».


Le auto vecchie e l’agricoltura dannosa

Ma il bicchiere mezzo vuoto, la parte grigia del grigioverde, le ombre dopo le luci, dicono che le auto sono in crescita del 10% dal 2004 al 2014, «anno in cui risultano censiti oltre 49 milioni di veicoli», rileva la relazione. L’età media delle autovetture e degli autocarri si attesta per oltre il 50% del totale sopra i 10 anni con emissioni comprese tra Euro zero ed Euro 3.

L’ambiente è minacciato anche dall’agricoltura, che spesso non è quell’attività che i cittadini pensano ecologica: di fronte alla posizione di leader nell’agricoltura biologica ci sono anche fenomeni come intensificazione, concentrazione, specializzazione (si pensi alla biodiversità soppressa in Salento dalla monocoltura totale dell’olivo) che in molti casi sono «una delle principali responsabili dell’inquinamento delle acque, dell’erosione, dell’inquinamento e dell’acidificazione dei suoli, dell’aumento dell’effetto serra, della perdita di habitat e di diversità biologica, della semplificazione del paesaggio e delle condizioni di malessere degli animali allevati», rileva la relazione.

All’opposto, nel 2014 l’agricoltura biologica ha impegnato 1.387.913 ettari (in crescita del +5,8% rispetto al 2013) con 55.433 produttori attivi nelle produzioni biologiche, in gran parte microaziende deboli e poco strutturate per affrontare l’aggressività dei mercati.

Sottolinea il documento che «il settore agricolo continua a essere, quindi, un importante settore economico, oltre che un’importante fonte occupazionale e una chiave di volta per lo sviluppo rurale e la salvaguardia del territorio possono avere un ruolo positivo nello sviluppo di processi di riduzione dell’inquinamento e di degrado ambientale, e di ripristino della capacità di fornire servizi ecosistemici, da quello turistico-ricreativo e storico-culturale a quello di regolazione del clima locale e di mitigazione dei cambiamenti climatici globali».


Acque sporche

Dal rapporto Istat del giugno 2014, nel 2012 il volume complessivo di acqua prelevata dai corsi d’acqua, bacini e risorse idriche sotterranee per uso potabile è stato di circa 9,5 miliardi di metri cubi, con una crescita del 3,8% rispetto al dato 2008. E ne abbiamo inquinata molta. Sono infiniti i fattori che sporcano le acque (agricoltura e zootecnia 17%; fonti puntuali e impianti di depurazione 9,5%; alterazione fisica dei canali 9%; altre alterazioni e cause naturali 6%; inquinamento urbano e da fonti diffuse 5%).

Nel 2012 solamente Piemonte, Liguria, Sardegna e la Provincia di Trento erano riuscite a raggiungere un tasso di depurazione pari al 100% del “carico organico”.


Immondizia

E poi i rifiuti, in un ritratto a tinte contrastanti fra le eccellenze nel riciclo invidiate tutta in Europa e, al contrario, il dissesto dell’immondizia nel Mezzogiorno.

Nel 2015 la percentuale di raccolta differenziata, 14 milioni di tonnellate, si è attestata al 47,5% della produzione nazionale di immondizia, facendo rilevare una crescita di 2,3 punti rispetto al 2014. Il Sud parte da livelli arretratissimi e per questo ogni piccolo miglioramento dà risultati alti: 211mila tonnellate in più significano una crescita del +7,3% mentre le 240mila tonnellate di raccolta differenziata in più rilevate nell’Alta Italia è un aumento modesto del +3,1%. In valore assoluto il quantitativo di rifiuti urbani prodotti dagli italiani nel 2015 è pari a 13,7 milioni di tonnellate al Nord, 6,6 milioni al Centro e 9,2 milioni di tonnellate al Sud.

Ogni italiano produce, ma è una media trilussiana, 487 chili di immondizia l’anno. Per quanto riguarda i rifiuti speciali (cioè prodotti dalle attività economiche), nel 2014 la maggiore quantità è arrivata dal settore delle costruzioni e demolizioni, con il 39,7% dei rifiuti. Le attività manifatturiere contribuiscono per il 20,5%, mentre una percentuale pari al 27,4% è rappresentata dai “metarifiuti”, dagli rifiuti dei rifiuti, cioè dalle attività di selezione e trattamento dei rifiuti e dalle attività di risanamento.

E inquina anche il rumore. Si può fare una stima dei danni economici del fracasso, il quale danneggia la salute e quindi ne è misurabile l’effetto in termini di costo: «l’impatto dell’inquinamento acustico è considerevole dal punto di vista socio-sanitario con incidenza dello 0,5% sul Pil», rileva la pubblicazione.


Terreni fragili

L’Italia è cedevole, franosa, sismica. La sola Italia (600mila cedimenti) rappresenta il 60% delle frane rilevate in Europa (900mila). Pericolo allagamento, con il 4% di zone ad altissimo rischio idraulico (l’8,1% a livello di media pericolosità), soprattutto in Emilia-Romagna.

Il cambiamento del clima, la cementificazione furiosa, l’erosione e le altre offese ambientali accelerano il processo di desertificazione, fenomeno al quale è “molto vulnerabile” il 10% del territorio (mediamente vulnerabile il 49,2%) con la massima esposizione al rischio in Sicilia (42,9% del territorio), Molise (24,4%), Puglia (15,4%) e Basilicata (24,2% di territorio a rischio di desertificazione). Al 2014 il consumo di suolo ha intaccato 21mila chilometri quadri, il 7% della Penisola.

Troppe case (e moltissime abusive) lungo i litorali, i quali lungo l’Adriatico sono ormai una fascia continua di cemento, ma sulle altre coste non sono molto meglio. Solo poche Regioni hanno adottato leggi efficaci in materia di pianificazione territoriale e urbanistica e forme di controllo per frenare l’impermeabilizzazione del terreno.

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