Le leggi in difesa dei diritti umani devono imporre alle imprese regole precise e vincolanti. Europa, timidi passi si procede in ordine sparso. (Scopri di più su: ManiTese.it)
  • di Marilyn Coser, direttrice CORE (Corporate Responsibility Coalition, UK)
La Gran Bretagna ha fatto da battistrada nel 2015 con il modern slavery act, olanda e francia hanno approvato quest’anno normative incoraggianti. altri paesi si stanno organizzando. Ma il processo per una “Due diligence” obbligatoria è ancora lento e con eccessivi margini di discrezionalità.

Cosa dovrebbero fare le compagnie europee per prevenire le violazioni dei diritti umani lungo la catena produttiva e distributiva? E quale spazio di manovra hanno i governi nel richiedere alle imprese di attivarsi su questo problema, quando non lo fanno di propria iniziativa?

Con l’approvazione nel 2011 dei Principi Guida su Imprese e Diritti Umani, il Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha introdotto il concetto di “Human Rights Due Diligence” (HRDD), descrivendolo come un processo che “dovrebbe includere la valutazione degli impatti reali e potenziali dell’attività di impresa sui diritti umani, lo sviluppo e l’integrazione di piani di azione basati sui risultati di tale valutazione, la tracciabilità delle risposte alle attività messe in campo e la comunicazione verso l’esterno delle modalità con cui gli impatti vengono affrontati”.

Da allora, solo poche multinazionali hanno iniziato ad implementare l’HRDD ma i progressi sono stati così lenti che le ONG hanno cominciato a loro volta a spingere per introdurre requisiti obbligatori. Quando nel 2013 milleduecento lavoratori tessili impiegati in fabbriche che riforniscono i grandi marchi europei dell’abbigliamento sono morti sotto le macerie del Rana Plaza in Bangladesh, queste rivendicazioni si sono fatte ancora più pressanti.

Recentemente le campagne per ottenere l’inasprimento degli obblighi legali delle imprese, soprattutto transnazionali, sono approdate in Parlamento in Francia, Olanda e Gran Bretagna e hanno visto l’approvazione di nuove leggi. Solo una di queste richiede di attuare l’HRDD. Le altre sono piuttosto approssimative nel definire gli standard minimi per la pubblicazione dei rapporti. In ogni caso sono tutte indicative di un trend positivo e incoraggiante circa la dinamica tra Stati e grandi compagnie soprattutto nel richiedere a queste di agire quando sono riluttanti a farlo autonomamente.


Gran Bretagna: il “Modern Slavery Act” del 2015

La clausola di ‘trasparenza nella gestione dei fornitori’, prevista dalla legge inglese sulla schiavitù moderna del 2015, richiede a tutte le organizzazioni commerciali con un fatturato superiore a 36 milioni di sterline di pubblicare report specifici su ciò che fanno per assicurarsi che le loro filiere di produzione siano “slavery free”. Ogni impresa che opera in Gran Bretagna, e non solo quelle registrate nel paese, deve provvedere in merito.

I report devono essere pubblicati ogni anno firmati da un direttore per conto del consiglio di amministrazione ed essere disponibili tramite un link sulla homepage del sito dell’impresa. Non ci sono però indicazioni precise sul contenuto di questi report, ma solo suggerimenti sulle possibili aree tematiche da includere.

Mentre scriviamo, a un anno dall’entrata in vigore dell’obbligo di rendiconto, sono solo 1.600 i report pubblicati rispetto alle circa 12.000 compagnie soggette alla normativa. Il Business & Human Rights Resource Center ha creato un archivio online delle dichiarazioni e sta monitorando il rispetto o meno dei requisiti minimi. I risultati sono preoccupanti: solo il 14% delle dichiarazioni sono effettivamente firmate da un direttore dell’azienda e sono disponibili sulla homepage del sito web.

Gli attivisti stanno quindi facendo appello al governo May affinché renda più semplice identificare le imprese che non stanno rispettando l’obbligo, pubblicando la lista ufficiale delle compagnie che rientrano negli obblighi di legge.


Olanda: la Due Diligence contro il lavoro minorile

Il 7 febbraio 2017, la Camera dei Rappresentanti olandese ha adottato una nuova legge sulla due diligence contro il lavoro minorile che richiede alle compagnie di stabilire se esistano casi di sfruttamento del lavoro di bambine o bambini lungo le loro filiere di produzione. Qualsiasi compagnia che ne scopra la presenza deve attivare un piano d’azione per porvi rimedio e inviare una comunicazione contenente gli esiti delle investigazioni e i dettagli di tale piano a un pubblico registro.

Nell’ipotesi che la legge venga ora approvata del Senato, essa diventerà effettiva nel 2020. Il registro sarà aperto dal 2018 per permettere alle compagnie che già hanno intrapreso azioni concrete di depositare le loro dichiarazioni.

Cittadini o organizzazioni della società civile che hanno prove del coinvolgimento di una azienda nello sfruttamento del lavoro minorile possono presentare denuncia alle autorità, ma solo dopo aver consultato l’azienda stessa e solo dopo che questa abbia “fatto il possibile” per risolvere la questione al suo interno.

Se l’autorità pubblica scopre che la denuncia è fondata, può imporre un “rimedio obbligatorio” alla compagnia e il mancato rispetto di tale prescrizione può generare una sanzione di natura amministrativa. Se poi il direttore responsabile dell’impresa viola la legge una seconda volta nell’arco temporale di 5 anni, diventa punibile con l’arresto e la reclusione fino a 6 mesi.


Francia: il dovere di vigilare

La legge francese sul “Duty of Vigilance – Dovere di vigilanza” è stata approvata il 17 febbraio scorso dopo una campagna di lobby di tre anni condotta dal “Forum Citoyen pour la RSE – Forum dei Cittadini per la Responsabilità Sociale di Impresa”.

La legge si applica alle più grandi compagnie francesi e impone la pubblicazione annuale di un ‘Piano di vigilanza’ che misuri e corregga gli impatti negativi del loro operato sulle persone e sull’ambiente. Ciò include sia l’impatto delle operazioni proprie, sia quello delle imprese controllate, sia quello dei fornitori e subappaltatori con i quali vi siano relazioni commerciali.

Se le compagnie non pubblicano il piano, associazioni o privati cittadini possono presentare un reclamo ufficiale davanti a un giudice. Nel caso in cui le compagnie non presentino il piano entro tre mesi dal reclamo, il giudice può emettere un’ordinanza specifica. E sempre al giudice spetta di valutare sia la completezza del documento che la sua rispondenza ai requisiti minimi fissati.

Questa nuova legge è considerata come un passo storico verso la regolazione delle attività delle multinazionali.


I passi successivi

Sembra solo una questione di tempo prima che leggi simili vengano introdotte ovunque.

Il parlamento australiano sta conducendo un’inchiesta sulla possibile introduzione di una norma vincolante contro le forme moderne di schiavitù e in Svizzera una campagna in favore di una due diligence obbligatoria ha raggiunto le 100 mila firme necessarie per indire il referendum nazionale.

Ancora sei anni dopo l’approvazione da parte del Consiglio ONU per i Diritti Umani dei Principi Guida su Imprese e Diritti Umani, molti, troppi sono i governi che appaiono riluttanti nel porre regole certe al settore economico privato, così come troppo alto è il livello di impunità dei reati aziendali. Sta a noi, come cittadini e consumatori, richiedere un’azione politica ferma e risolutiva affinché le imprese, a partire da quelle di dimensioni multi-nazionali, prendano sul serio le loro responsabilità verso il rispetto dei diritti fondamentali e siano eventualmente chiamate a risponderne in caso di violazioni.

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