Due milioni e mezzo di occupati seguono percorsi formativi: indietro over 50 e Sud. Stefano Sacchi: “Investire in formazione per affrontare i cambiamenti della IV rivoluzione produttiva”. (Scopri di più su:
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Sono quasi 2 milioni e mezzo gli adulti (il 7,3% degli italiani 25-64enni) che hanno partecipato ad attività di formazione. A rilevarlo è il Rapporto al Parlamento sulla formazione continua realizzato da INAPP per conto del Ministero del Lavoro relativo al 2015-2016. Si tratta di un dato significativo, sostanzialmente stabile nel biennio considerato.
Il tasso di partecipazione alle attività di formazione in Italia è ancora inferiore rispetto alla media europea (10,7%) e al valore del 15% fissato da Europa 2020. In Europa le opportunità di apprendimento si concentrano sulle professioni più qualificate, con un tasso medio del 17,9%, quattro volte superiore a quello registrato per gli operai specializzati e gli addetti meno qualificati (5%). L’Italia mostra valori inferiori per tutte le categorie professionali, con tassi di partecipazione formativa che vanno dal 13,2% di chi esercita professioni altamente qualificate fino al 2,8% per quelle meno qualificate.
Il Rapporto individua alcuni fattori socio-demografici come istruzione, età, occupazione e professione, che frenano le possibilità di accesso alla formazione degli occupati. Per esempio, l’opportunità di essere coinvolti in attività formative diminuisce tra chi è poco istruito, ha superato i 45 anni e svolge un lavoro poco qualificato.
La fascia di lavoratori che soffre di più rispetto alle opportunità formative è quella degli over 50 a basso livello di qualificazione (low-skilled) e residenti nel Mezzogiorno.
“In generale – commenta Stefano Sacchi, Presidente INAPP - gli over 50 mostrano competenze inadeguate rispetto alle innovazioni tecnologiche e organizzative: fattore che può ulteriormente ampliare la differenza tra domanda e offerta di competenze e metterne a rischio l’occupabilità. Per questo Industria 4.0 prevede la progettazione di una formazione professionale mirata allo sviluppo delle competenze chiave”. Competenze chiave quali l’esercizio del pensiero critico, l’attitudine alla risoluzione dei problemi, la creatività, la disponibilità a innovare, la capacità di comunicare efficacemente, l’apertura alla collaborazione e al lavoro di gruppo. “La formazione, come l’innovazione e la ricerca – aggiunge – fanno la differenza nell’ambito dei processi di crescita delle imprese e dell’economia. Puntare sulla crescita professionale dei lavoratori è un investimento importante, un cambio di passo necessario per restare competitivi, affrontando adeguatamente le trasformazione della IV Rivoluzione produttiva”.
I Fondi interprofessionali rappresentano ancora lo strumento più utilizzato per il finanziamento della formazione nelle imprese italiane. Nel biennio 2015-2016 sono stati stanziati 670 milioni di euro, quasi 100 milioni in più rispetto al 2013-2014 e evidenzia nel complesso un volume di attività programmata in aumento. I Piani approvati continuano ad essere concentrati su tre temi: il mantenimento/aggiornamento delle competenze, la competitività d’impresa e innovazione, la formazione obbligatoria fra cui quella per la sicurezza.
“Accrescere le opportunità di accesso alla formazione a partire da quelle fasce di popolazione che hanno più bisogno di aggiornare le competenze per mantenere l’occupabilità, è un’importante sfida per il policy making” afferma Stefano Sacchi. “Occorre favorire l’integrazione fra le politiche educative e quelle del lavoro; inoltre - aggiunge - per far fronte ai problemi connessi al prolungamento della vita lavorativa, è necessario rafforzare la cultura dell’apprendimento nel luogo di lavoro e agevolare il trasferimento delle conoscenze e delle competenze in un’ottica intergenerazionale”.
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