Si chiama Italia del Terzo Settore e muove un fiume di energie e un fiume di denaro. A fin di bene. Quasi sempre. Con qualche eccezione. Produce 65 miliardi di fatturato totale, può contare su un esercito tra i 6 e i 10 milioni di volontari e 400mila enti che ne fanno parte. Nel Terzo settore, termine nato nel secolo scorso per indicare un soggetto "altro" sia dallo Stato che dal Mercato, confluiscono (fino a oggi in ordine sparso), tutti quei soggetti che dalle Ong alle Onlus, dalle associazioni sociali ai comitati cittadini si occupano del bene altrui senza scopo di lucro. (Scopri di più su:
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Un gigantesco serbatoio di welfare frastagliato però in mille rivoli, spezzettato tra decine di norme e regolamenti che la nuova legge sulla riforma del Terzo Settore, entrata in vigore alla fine di luglio, dovrebbe mettere in ordine. Con la creazione di un registro unico nel quale tutte queste realtà confluiranno sotto la sigla di "Ets" (Enti del Terzo Settore) unificate da norme e regolamenti comuni, avvantaggiate da un nuovo regime fiscale, facilitazioni nelle donazioni, e almeno nelle intenzioni un rapporto più facile con la pubblica amministrazione.
«Un lavoro enorme» ammette Luigi Bobba, sottosegretario al Lavoro e alle Politiche Sociali, che ha seguito tutto l'iter della legge delega iniziato nel 2014. Un lavoro non ancora concluso, visto che per mettere in moto la complicatissima macchina della riforma ci vorranno ben 32 decreti attuativi. Infatti il timore di molte onlus, enti e comitati, così come del Forum del Terzo Settore è che «il rinnovamento s'impantani nelle secche parlamentari», dice con chiarezza Francesca Chiavacci, presidente dell'Arci (Associazione ricreativa e culturale italiana), storica associazione popolare con cinquemila circoli e più di un milione di soci.
Spiega Luigi Bobba: «Il Terzo Settore con questa riforma diventa un soggetto riconosciuto dalla legge, mentre fino a ieri era soltanto un termine sociologico. Abbiamo creato una legislazione unificante per tutti gli enti che vorranno iscriversi al Registro. Oggi invece può capitare che un'associazione abbia regolamenti diversi da regione a regione». Dunque diritti e doveri identici. Ma la vera rivoluzione, suggerisce Bobba, è quella fiscale: «I nuovi "Ets" saranno obbligati alla trasparenza, dovranno pubblicare online i loro bilanci, così come i compensi dei collaboratori. Ci saranno forti incentivi alle donazioni con sgravi più alti, un fondo di 60 milioni per i progetti innovativi, la creazione di "titoli di solidarietà" su cui investire. E chi si iscriverà al registro potrà beneficiare del 5 per mille. Insomma il senso è quello di orientare il risparmio verso progetti di bene comune».
Una riforma monstre, che deve mettere insieme anime della solidarietà diversissime tra di loro. Da chi accudisce gli anziani a chi fa salvataggi in mare, da chi crea circoli ricreativi a chi invece gestisce (e guadagna) con le cooperative sociali. «Non tutto però è così lineare », dice Claudia portavoce del Forum del Terzo Settore, che rappresenta 81 associazioni e 100mila sedi territoriali. «La legge nasce per semplificare, il rischio invece è che per alcune realtà, soprattutto le più piccole, le difficoltà burocratiche aumentino, con i nuovi obblighi fiscali ad esempio. Confidiamo però nei decreti attuativi». Meno ottimista Francesca Chiavacci, presidente dell'Arci. «Noi siamo una Associazione di promozione sociale e facciamo parte del Forum del Terzo settore. Quindi pienamente dentro questa riforma. Il rischio è che si interpreti il volontariato solo come erogazione di servizi, di fatto un welfare sostitutivo, penalizzando, ad esempio, il grande ruolo dell'aggregazione». Un rischio reale. Il volontariato, così come le reti familiari, sono sempre di più in Italia unici presidi contro la povertà, sostegno ai migranti, ai disabili, ai bambini nelle case famiglia. Una supplenza a servizi che lo Stato dovrebbe invece garantire.
Aggiunge Francesca Chiavacci: «Volontariato vuol dire, anche, tenere aperti luoghi dove le persone possano incontrarsi, parlare, passare del tempo insieme». È quello che l'Arci fa fin dagli anni Sessanta. «Ci sono Paesi in Italia dove le nostre case del popolo sono l'unica realtà in cui gli anziani si ritrovano, in cui per i giovani siamo un'alternativa al buttare la giornata per strada. Noi facciamo accoglienza ai migranti, ma anche educazione alla legalità, gestiamo beni confiscati alla mafia. La nuova legge, così spostata sui servizi, rischia di penalizzare altre forme impegno». Il cui impatto sociale è forse meno quantificabile ma non per questo meno importante. Come, appunto, l'allegria di un gruppo di anziani che sa di potersi ritrovare ogni giorno al circolo del paese.