Il dovere dello Stato di proteggere i diritti umani nel contesto dell’attività di impresa. L’ONU ha dettato i principi guida adesso si scrivano piani d’azione. (Scopri di più su:
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- di Marta Bordignon, Università di Roma Tor Vergata
Dal 2011 un documento delle Nazioni Unite fornisce il quadro di riferimento, ma resta un insieme di raccomandazioni e auspici finché non vengono definiti interventi specifici regolati dalle leggi nazionali. In Italia il processo è in corso, ma ancora non si vede la fine. I cinque punti necessari per avere uno strumento esaustivo ed efficace.
La tematica di ‘Imprese e Diritti Umani’ è emersa solo recentemente all’attenzione della Comunità Internazionale e dell’opinione pubblica, dato che negli anni si è sempre integrata, e spesso confusa, con quella della Responsabilità Sociale di Impresa (RSI). Occuparsi di Imprese e Diritti Umani invece significa considerare il ruolo svolto dallo Stato e dalle imprese nel prevenire e mitigare i possibili impatti negativi dell’attività imprenditoriale su una vasta gamma di diritti umani, ovvero quelli enunciati a livello internazionale dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e dalle successive Convenzioni a livello regionale, quali quella Europea, Inter-americana ed Africana.
I tre Pilastri su cui sono basati i Principi Guida ONU su Imprese e Diritti Umani – il documento internazionale più rilevante in materia adottato nel 2011 – delineano l’ambito di azione dei principi enunciati che rimangono però, da un punto di vista giuridico, solo un esaustivo elenco di raccomandazioni ed auspici in merito alle possibili azioni intraprese da Stati ed imprese riguardo la tutela dei diritti umani. Secondo quanto contenuto nei Principi che compongono il primo Pilastro, allo Stato non è solo richiesto di conformarsi all’obbligo internazionalmente riconosciuto di proteggere, rispettare e far rispettare i diritti umani (protect, respect and fulfil human rights), ma anche di incoraggiare, se non addirittura talvolta obbligare, le imprese dislocate sul territorio nazionale al rispetto dei diritti umani e a comunicare in maniera efficace il loro impegno in termini di policy e di iniziative pratiche in merito all’impatto negativo della loro attività. I Principi Guida non contengono d’altra parte una richiesta precisa di recepimento del loro contenuto da parte degli Stati: a questo proposito, è venuta in aiuto la Commissione Europea che nella sua Comunicazione su una Rinnovata Strategia di Responsabilità Sociale di Impresa 2011-2014 ha invitato gli Stati membri dell’UE ad applicare a livello interno quanto contenuto nei Principi Guida attraverso l’adozione di Piani di Azione Nazionale (PAN) in materia di Imprese e Diritti Umani. A questo invito, rivolto limitatamente ai Paesi membri UE, hanno ad oggi (marzo 2017) risposto 12 Stati a livello globale, tra cui la Colombia, la Norvegia, la Svizzera e gli Stati Uniti d’America. A livello europeo, invece, oltre alla Gran Bretagna che ha pubblicato per prima un PAN in materia nel settembre 2013 e una successiva versione aggiornata nel 2016, anche Danimarca, Finlandia, Germania, Italia, Lituania, Olanda, Svezia hanno presentato i loro PAN nel corso di questi ultimi 4 anni.
In generale, un Piano di Azione Nazionale è uno strumento politico e programmatico che delinea le priorità, gli impegni e le iniziative del Governo in uno specifico ambito di intervento. Al fine di comprendere il contenuto e la portata dei 12 Piani già adottati, è utile fare ricorso agli strumenti di valutazione pubblicati finora da alcune ONG che si occupano di questo settore, e che delineano in modo abbastanza chiaro quanto dovrebbe essere incluso nel Piano e quali siano i principali passi da seguire nel processo di stesura e di consultazione con tutti i portatori di interessi (stakeholder) coinvolti. In definitiva, sono cinque gli step che devono essere realizzati al fine di ottenere un PAN esaustivo ed efficace, ovvero: 1) definire un’autorità statale competente per la stesura e il monitoraggio dell’attuazione del Piano, così come uno preciso ammontare di risorse finanziarie destinate a tale scopo; 2) organizzare un processo di consultazione trasparente ed inclusivo con tutti gli attori interessati, come Ministeri competenti, sindacati, accademici, società civile, imprese e associazioni professionali; 3) procedere alla pubblicazione preventiva di una National Baseline Assessment, un documento che contenga lo stato dell’arte da un punto di vista giuridico e politico in materia; 4) esprimere chiaramente lo scopo, il contenuto e le priorità del Piano; 5) prevedere, infine, un meccanismo di monitoraggio dell’attuazione del contenuto del Piano, sempre sulla base dei principi di trasparenza e responsabilità.
In merito all’azione del Governo italiano in tal senso, nel dicembre 2016 è stato presentato il Piano di Azione Nazionale Impresa e Diritti Umani 2016-2021 a cura del Comitato Interministeriale per i Diritti Umani (CIDU), che è il risultato di un processo di consultazione sviluppato da due diversi Gruppi di Lavoro – uno istituzionale, composto dai Ministeri competenti in materia, e l’altro non istituzionale composto da esperti provenienti dal mondo accademico, della consulenza, imprenditoriale, dai sindacati e dal terzo settore nel corso di un anno e mezzo. Il PAN sta ora affrontando i primi passi della sua implementazione, che verrà coordinata dal CIDU attraverso il Gruppo di Lavoro su Impresa e Diritti Umani (GLIDU) insieme ad un Gruppo di Esperti non istituzionali, che dovrebbe affiancare il GLIDU e portare a termine una prima revisione delle misure programmatiche nel 2018, così come previsto dal Piano.
Anche se è ancora prematuro esprimere un giudizio approfondito sull’effettiva attuazione di quanto previsto dal Piano, risulta già evidente la mancanza di una chiara tempistica e di un efficace strumento di monitoraggio e follow-up. D’altro canto, però, l’impegno espresso dal Governo italiano su alcuni aspetti rilevanti – come il richiamo alla legge sul caporalato, l’implementazione di un processo di Due Diligence dei diritti umani, di politiche volte alla sostenibilità ambientale, alla non discriminazione e alle pari opportunità nell’ambiente di lavoro – rivela la volontà politica di promuovere la tematica di Imprese e Diritti Umani in diversi contesti, e tenendo conto anche delle sfide e delle problematiche attuali che l’Italia sta affrontando e che a diverso titolo riguardano la tutela dei diritti umani nell’ambito dell’attività di impresa.