La Legge delega. La Riforma del Terzo settore avviata nell’agosto del 2014 aggiunge oggi un altro significativo tassello al suo pieno compimento. (Scopri di più su:
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Sono infatti stati adottati tre decreti attuativi della Legge n. 106/2016 di delega al Governo per la riforma del Terzo settore. I tre provvedimenti riguardano:
Ciò non esaurisce il ciclo della Riforma, non solo perché di tali Decreti Legislativi è prevista una revisione dopo un anno dalla loro introduzione, ma anche perché essi a loro volta rimandano a numerosi decreti da adottarsi da parte dei singoli ministeri; ma in ogni caso si tratta di un passaggio molto rilevante della Riforma.
La legge delega prevedeva un ampio intervento di riordino della disciplina del Terzo Settore, da sempre caratterizzata per la sua disomogeneità, richiedendo l’adozione di decreti delegati finalizzati:
- alla revisione della disciplina del titolo II del libro primo del codice civile in materia di associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro, riconosciute come persone giuridiche o non riconosciute, delega ad oggi non adempiuta e rispetto alla quale non vi è notizia che il Governo sia al lavoro per emanare il relativo decreto. Il tema non è secondario in quanto, come si vedrà in successivi articoli, la mancanza di questo tassello crea alcune incongruenze complessive nel sistema che esce dalla delega;
- al riordino e alla revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo settore, compresa la disciplina tributaria applicabile a tali enti, mediante la redazione di un apposito codice del Terzo settore (Delega adempiuta con il D.lgs. 117/2017; è stato scorporato da tale riordino complessivo il tema del 5×1000, oggetto del D.lgs. n. 111/2017);
- alla revisione della disciplina in materia di impresa sociale (delega adempiuta appunto con il D.lgs. n. 112/2017);
- alla revisione della disciplina in materia di servizio civile nazionale (delega già adempiuta nei mesi scorsi con l’approvazione del D.lgs.78/2017).
In particolare il legislatore fissava quali obiettivi dei citati decreti:
- riconoscere, favorire e garantire il più ampio esercizio del diritto di associazione e il valore delle formazioni sociali liberamente costituite, ove si svolge la personalità dei singoli, quale strumento di promozione e di attuazione dei principi di partecipazione democratica, solidarietà, sussidiarietà e pluralismo, ai sensi degli articoli 2, 3, 18 e 118 della Costituzione;
- riconoscere e favorire l’iniziativa economica privata il cui svolgimento, secondo le finalità e nei limiti di cui alla presente legge, può concorrere ad elevare i livelli di tutela dei diritti civili e sociali;
- assicurare, nel rispetto delle norme vigenti, l’autonomia statutaria degli enti, al fine di consentire il pieno conseguimento delle loro finalità e la tutela degli interessi coinvolti;
- semplificare la normativa vigente, garantendone la coerenza giuridica, logica e sistematica.
L’impianto del Codice del terzo settore – gli Enti del terzo settore
L’adozione del Codice del terzo settore rappresenta il primo tentativo nel nostro ordinamento di unificare e armonizzare, laddove possibile, la disciplina, fino ad oggi stratificata e disorganica, relativa ai soggetti no profit. Con ben 104 articoli il provvedimento mira a regolamentare molteplici aspetti della materia, come si vedrà nel prosieguo. In ogni caso la piena realizzazione e attuazione della Riforma attende l’adozione di numerosi decreti ministeriali.
La prima importante novità riguarda l’istituzione di una nuova categoria generale sotto il nome di Enti del terzo Settore (ETS), nella quale (art. 4) vengono ricondotti “le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore”.
Possono dunque qualificarsi ETS quei soggetti già con propria qualifica e caratteristiche specifiche (OdV, APS, impresa sociale…) oppure quei soggetti di natura privata che operano senza scopo di lucro, svolgendo attività di interesse generale ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore.
Questa qualifica non abolisce e supera le qualifiche esistenti: continuano ad esistere organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, cooperative sociali e le altre forme istituite da leggi speciali, ma essere assumono la qualifica di Enti di terzo settore e un insieme di obblighi e prerogative ad essa connesse (si veda ad esempio l’art. 82 sulle imposte dirette e i tributi locali), accanto a quelli eventualmente previsti dalle proprie normative istitutive, laddove non esplicitamente modificati o abrogati.
Rispetto alle tre forme di enti di terzo settore sopra citate va inoltre osservato che, mentre il codice riassume in sé le disposizioni relative a volontariato e promozione sociale, abrogando (art. 102) quindi le normative preesistenti (legge 266/1991 e legge 383/2000), lascia in vita (art. 40), pur introducendo talune modifiche, la legge 381/1991 istitutiva delle cooperative sociali.
Con la nuova categoria si è proceduto, tra l’altro, all’abrogazione della normativa in tema di Onlus, acronimo che, a partire dalla piena operatività della Riforma, andrà così a scomparire, con effetti fiscal tributari che sono delineati dal nuovo regime fiscale introdotto dalle norme attuative.
Nel prossimo articolo si esaminerà quindi quali siano i presupposti per l’assunzione della qualifica di Ente di Terzo Settore e gli adempimenti a ciò connessi.