Sousa Mendes e Ho Feng Shan come esempi per il nostro tempo. (Scopri di più su
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In questi giorni l’Europa si trova al centro del dibattito politico sull’emergenza migranti, che è ancora ben lontana da una soluzione e per la quale i Paesi stentano a prendere decisioni omogenee. L’Italia si sente abbandonata a se stessa in una situazione d'allarme, Francia e Spagna sono pronte a chiudere i loro porti.
A questo punto ci si pone una domanda: si può rinunciare ad aiutare per non esporsi a conseguenze e difficoltà, qualsiasi esse siano? Di certo c’è qualcuno che di fronte al rischio si ferma, ma c'è anche qualcuno che non lo fa - o non lo ha fatto.
La settimana scorsa, un gruppo di ebrei sopravvissuti alla Shoah e le loro famiglie si sono riuniti a Hendaye, sul confine tra Francia e Spagna, per rendere omaggio al console portoghese a Bordeaux che, all’inizio della Seconda guerra mondiale, salvò le loro vite facendoli transitare clandestinamente attraverso la Spagna per raggiungere il Portogallo: il diplomatico Aristides de Sousa Mendes. Questi stessi ex "richiedenti asilo", che da bambini hanno dovuto affrontare la guerra e la persecuzione, dichiarano di essersi rivisti nell’immagine di sofferenza di Alan Kurdi, il ragazzino siriano trovato morto sulle coste della Turchia nel 2015, e di aver percepito in questa triste similitudine la necessità attuale di agire in favore di chi ha bisogno. “Molte persone non vogliono esporsi in prima persona - sostiene Olivia Mattis, il cui padre fu salvato dal console portoghese nel 1940 - Sousa Mendes invece ha corso questo rischio”.
Ciò che differenzia il console portoghese da altre figure esemplari, come Oskar Schindler, è il contesto in cui ha agito. Quando Sousa Mendes emise più di 1500 visti d’ingresso tra il 15 e il 22 giugno 1940, disobbedendo alle istruzioni del suo Governo, non si parlava ancora di “Soluzione Finale”; egli non sapeva che stava salvando quegli uomini dal genocidio, ma gli bastava - come disse la storica dell’Olocausto Edna Friedberg - salvarli dalla persecuzione. All’epoca il console aveva 54 anni e 12 figli da mantenere e proteggere, ma questo non gli impedì di rifiutare il protocollo nazionale che vietava l’emissione dei visti per ebrei, russi e altri rifugiati. Sapeva che sarebbe andato incontro a pesanti conseguenze personali e professionali, ma decise comunque di agire. Lo stesso Yehuda Bauer, celebre studioso della Shoah, ha descritto il gesto di Mendes come “forse la più grande azione di soccorso compiuta da un solo uomo durante l’Olocausto”.
Sousa Mendes fu radiato e finì la sua vita in povertà, senza mai ricevere un riconoscimento. Coloro che grazie al suo intervento ottennero il visto hanno invece potuto condurre, negli Stati Uniti o altrove, una vita dignitosa e talvolta anche di successo - che senza di lui non sarebbe stata loro concessa. Così si sono riuniti per onorarlo - o i loro figli lo hanno fatto per loro - per dire grazie a quell’eroe sconosciuto che non ebbe paura di fare una scelta.
La storia di Sousa Mendes è molto simile a quella di un'altra figura esemplare, Ho Feng Shan - riconosciuto Giusto tra le Nazioni da Yad Vashem nel 2000. Console cinese a Vienna, fu uno dei primi diplomatici che si impegnò nel soccorso degli ebrei, fornendo loro passaporti cinesi per fuggire dalle deportazioni e salvandone a migliaia nell’Austria occupata dai nazisti tra il 1938 - dopo l'Anschluss e la Notte dei Cristalli - e il 1939. Shanghai era sotto l’occupazione giapponese e non era richiesto il passaporto per entrare nel Paese; ma il tale documento era assolutamente necessario affinché gli ebrei potessero lasciare l’Austria.
Anche in questo caso l'opera del console cinese è rimasta sconosciuta - spesso anche agli stessi salvati -, ma oggi possiamo finalmente riconoscere il suo valore non solo perché ha salvato i perseguitati, ma anche perché lo ha fatto a discapito della propria posizione e di quella della sua stessa nazione, la Cina, che rischiava di alienarsi i rapporti con le potenze occidentali.
Questi esempi servono ora per mostrarci che spesso compiere un atto giusto significa avere il coraggio di rischiare, di guardare al di là dei propri interessi per perseguire un bene più importante, quello dell’Umanità.