Oggi più che mai, a causa dei problemi socio-economici scaturiti dalla emergenza migranti, ha preso sempre più piede il tentativo posto in essere dai vari paesi Europei, di incanalare il concetto di no-profit, a quelle attività che abbiano un’accezione ad iniziative di grande spessore sociale.
Attività riferite a lodevoli ed importanti iniziative soprattutto legate ad emergenze alimentari e di assistenza al terzo mondo. Ecco quindi la necessità giuridica di rigorose verifiche della corretta applicazione della moderna disciplina (oggi carente e lacunosa) onde salvaguardare la necessaria e rigorosa terzietà degli effettivi e finali beneficiari di iniziative di codesto tipo.
Esistono forme imprenditoriali e/o organizzative create appositamente al fine di perseguire specifiche finalità sociali operando, però, essendo esse imprese, all’interno di un mercato concorrenziale. Giuridicamente si rileva che, con “impresa sociale” si comprendono tutte quelle imprese private, anche le cooperative, che risultano avere un’attività di impresa economica stabile e un oggetto sociale specifico indirizzato alla produzione e/o scambio di beni e/o servizi di interesse generale e di utilità sociale.
Ecco allora evidenziarsi la distinzione giuridica del concetto di “imprenditoria” da quello di “finalità lucrativa”. Si riconoscono, generalmente, nel mondo, imprese con finalità diverse dal profitto, le quali producono servizi ad alto contenuto relazionale producendo così esternalità atte alla comunità in generale.
Si evidenziano per democraticità nell’organizzazione, coinvolgimento diretto di tutti i lavoratori nella gestione dell’impresa, acclaramento di valori importanti quali, pari opportunità, giustizia sociale riduzione al minimo delle diseguaglianze dei popoli anche di diversi paesi.
Nell’economia, si attua un commercio equo e solidale creando opportunità di autosviluppo sostenibile per quelle comunità escluse e svantaggiate oggi evidenziatesi con prepotenza nei paesi del nord Africa. Il proseguimento di tale obiettivo avviene oltre che nell’immediatezza con organizzazioni specifiche atte al salvataggio e prima assistenza, con altre che perseguono l’obiettivo di rendere il più possibile ed autonomi gli abitanti di tali aree. Ciò accade con l’utilizzo di strumenti operativi quali la crescita di consapevolezza nei popoli, una precisa ed adeguata informazione, l’educazione e l’azione politica.
Esistono organizzazioni economiche, quali le centrali di commercio alternativo (ATOS, Alternative Trade Organizations), che hanno ad esempio un forte potere di coordinamento al livello di prodotti atti al consumo. La finanza etica si pone al centro della sua attività la “persona” e non il “capitale”, l’idea e non il patrimonio, una ed oculata remunerazione dell’investimento e non la spavalda speculazione.
La finanza etica, tramite i suoi sportelli bancari garantisce il credito ai soggetti che hanno un progetto economicamente sostenibile e socialmente rilevante e quindi che NON otterrebbero finanziamenti dagli istituti bancari tradizionali perché sprovvisti di garanzie patrimoniali. La finanza etica coinvolge economia, politica, stabilità sociale perché riporta la finanza alla sua funzione originaria di garante del risparmio evitando impieghi puramente speculativi.
A livello sviluppo, cooperazione e solidarietà esistono le O.N.G., riconosciute in Italia dal 1979 con la legge n. 38 sulla cooperazione e quindi con la nuova legge di riforma n. 49 del 1987. Le 154 O.N.G. riconosciute si basano su finanziamenti pubblici, mentre il 90% delle restanti organizzazioni agiscono con volontari e forme di autofinanziamento: queste sono quelle oggi operanti, nel Mare Nostrum.