Nella storia dell’Italia repubblicana non sono mancate commissioni, indagini, sulla povertà e anche proposte e sperimentazioni per contrastarla. In particolare gli anni ’80 e ’90 registravano una significativa attenzione sulla povertà anche entro una proposta più generale di riforma del sistema assistenziale. (Scopri di più su:
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Ricordo i rapporti della Commissione di Indagine sui temi della povertà e l’approccio innovativo e riformatore espresso dalla Commissione Onofri e in sede istituzionale, grazie sopratutto all’impegno della Ministra Turco, la sperimentazione del Reddito Minimo di Inserimento (1999-2002) e l’approvazione della Legge quadro 328/00 che prevedeva (art. 23 e 24) la generalizzazione del RMI a tutto il territorio nazionale, sulla base degli esiti dell’attività di valutazione. Ma queste proposte e sperimentazioni non ebbero adeguato supporto politico e sindacale e vennero prima insabbiate e poi esplicitamente rifiutate . Seguiranno negli anni solo modestissime misure una tantum (bonus incapienti, bonus bebè, bonus gas, Social Card tradizionale del 2008, ecc.) oltre a alcune sperimentazioni regionali.
Evidentemente i poveri non avevano rappresentanza politica e intervenire contro la povertà si pensava non pagasse elettoralmente. Nel 2007 quando i dati sulla povertà cominciavano ad indicare una impennata che gli anni seguenti avrebbero purtroppo confermato e drammatizzato scrivevo su Prospettive Sociali e Sanitarie: “Chi si fa carico, ed è in grado di introdurre il tema del contrasto alla povertà in un’agenda politica che tende sistematicamente a toglierlo dalle priorità, a emarginarlo, proprio come accade nella società ai potenziali beneficiari di queste politiche?
Le condizioni che nel 2013 favoriscono l’iniziativa dell’Alleanza contro la povertà
Una politica sociale per essere assunta a livello istituzionale e affermarsi, ha bisogno di un forte sostegno che di per se la platea dei poveri, socialmente frammentata e politicamente non organizzata, non è in grado di produrre. Da questa consapevolezza e dalla lettura di una serie di situazioni e di fattori del momento storico che potevano favorire una iniziativa volta a aggregare più attori sociali per promuovere una politica di contrasto alla povertà nasce nel 2013 l’Alleanza contro la povertà. L’ideazione è di Cristiano Gori e l’iniziativa politica è assunta delle Acli con la Caritas. Gradualmente viene ad aggregare 35 organizzazioni, tra realtà associative, rappresentanze dei comuni e delle regioni, enti di rappresentanza del terzo settore, sindacati. Può presentarsi legittimamente affermando che ”una simile Alleanza non era mai stata costruita in Italia. È la prima volta, infatti, che un numero così ampio di soggetti sociali dà vita ad un sodalizio per promuovere adeguate politiche contro la povertà nel nostro paese”.
L’Alleanza assume e valorizza un capitale di elaborazioni e di esperienze prodotte nei decenni precedenti e le riorganizza in funzione di una iniziativa efficace in un momento in cui la crisi economica ha prodotto una crescente diffusione e espressione di disagio sociale e il raddoppio della povertà assoluta, dal 4% del 2007 al 8% del 2012, quasi 5 milioni di persone. Un effetto non inevitabile, ma dovuto anche alle carenze del nostro sistema assistenziale, privo di una seria politica di sostegno contro la povertà, quale le misure di reddito minimo di cui tutti gli altri paesi europei si erano dotati, e che l’Italia 12 anni prima aveva invece accantonato. Le sollecitazioni ricorrenti delle istituzioni europee e il confronto con i ben migliori esiti redistributivi e di riduzione della povertà delle politiche assistenziali di altri paesi europei lo evidenziano. Lo confermano anche analisi e proposte espresse in più anni dalla ricerca più impegnata (Irs, Fondazione Zancan, Fondazione Gorrieri, Caritas, per citare quelle più presenti nel dibattito pubblico, cui vanno aggiunte quelle prodotte dalla ricerca delle Università di Torino, Milano, Modena, Napoli, Roma, Bari) che, pur con varie declinazioni, convergono comunque verso l’introduzione di una misura di reddito minimo nel nostro paese.
L’esplosione del fenomeno evidenziata con dati sempre più adeguati dall’Istat oltre che da evidenze sociali diffuse documentate soprattutto dalla Caritas, e la sensibilità di alcuni attori avvia nel 2013 anche un primo prudente ma significativo mutamento delle politiche nazionali. La legge di stabilità 2014 cambia la denominazione della Social Card in Sostegno per l’inclusione attiva, Sia, mutuando il nome proposto dal gruppo di studiosi insediato dal ministro Giovannini e coordinato dalla viceministro Guerra e dal direttore Tangorra proprio per la graduale istituzione di un reddito minimo di inclusione nazionale. Si avviano anche nuove iniziative regionali di contrasto alla povertà, dopo la stasi succeduta all’insuccesso delle sperimentazioni regionali dei primi anni 2000, abbandonate a se stesse, malgrado le promesse di sostegno, dal governo nazionale.
Favorisce questi primi passi istituzionali come anche l’iniziativa per la costituzione dell’Alleanza il graduale ma rilevante cambiamento che avviene nelle tematiche che la Chiesa Cattolica richiama, in cui il contrasto alla povertà e alla disuguaglianza vengono ad assumere una attenzione e una priorità sempre più accentuata. L’avvento di Papa Francesco determina una accelerazione e accentuazione imprevedibile in tal senso.
Su altro piano e ben diversa portata va citata la sollecitazione che il Movimento Cinque Stelle esercita a livello di dibattito politico e di concorrenza partitica con la sua proposta di reddito di cittadinanza, anche se tale proposta ha un contenuto diverso da quelle di reddito minimo di inclusione.
Una strategia, con scelte di metodo e di contenuto
L’iniziativa dell’Alleanza parte quindi in un momento in cui può contare su alcune condizioni favorevoli ora richiamate: la gravità senza precedenti della povertà assoluta, la sua “non inevitabilità” evidenziata anche dai confronti internazionali, l’attenzione di fonti di orientamento spirituale e di soggetti culturali al tema della povertà, la percezione diffusa del disagio e la maggior sensibilità di molte organizzazioni e di certe aree di opinione, le prime disponibilità e attenzioni istituzionali. Potremmo riassumere: il contesto presenta condizioni di relativo favore per un’iniziativa non facile e quindi coraggiosa, il cui buon esito è affidato a come si presenta, come opera, cosa propone, come e cosa riesce a negoziare.
L’Alleanza evita saggiamente di coinvolgersi in dibattiti ideologici, o in affiliazioni partitiche. Con approccio e metodo “laico”, sulla base di alcune opzioni di base, circoscrive il proprio campo di intervento, individua obiettivi chiari e circoscritti, analizza e progetta su evidenze empiriche, e affida alle convergenze sui contenuti di determinare vicinanze e lontananze con i possibili interlocutori.
Altra scelta decisiva per il successo dell’Alleanza è stata quella di evitare di trattare tematiche non indispensabili che avrebbero potuto evidenziare posizioni differenziate e forse scatenare conflitti fra quanti era prioritario aggregare per dare forza all’iniziativa. Il tema del finanziamento, ad esempio, viene trattato in termini di quantità di risorse necessarie, facendo carico al governo e agli interlocutori politici di indicare come e dove reperirle, limitandosi l’Alleanza ad accennare ad alcune plausibili ipotesi. Altrettanto potrebbe dirsi in merito alla collocazione del Reis, la denominazione che l’Alleanza usa per il Rmi, entro un disegno più generale di riordino del sistema assistenziale. Confrontarsi e pretendere di dire di più su questi e altri temi avrebbe compromesso l’iniziativa e sarebbe quindi stato sbagliato, mentre grazie al percorso condiviso forse potrebbero ora essere maturate le condizioni per fare passi ulteriori.
Esprimo con convinzione questa valutazione che non entra per nulla in contraddizione con compito, diverso e complementare, che come Irs ci siamo assunti di elaborare e proporre al dibattito pubblico delle prospettive per un riordino complessivo del nostro inadeguato sistema assistenziale. Uno dei ruoli che la ricerca è chiamata a svolgere, non contradittorio rispetto a funzioni e compiti di implementazione e accompagnamento di situazioni concrete, nel qui e ora, che anche noi con convinzione svolgiamo.
Ulteriore elemento qualificante l’esperienza dell’Alleanza sta nel contenuto del progetto di Reis, fortemente riformatore rispetto alle tradizionali misure dell’assistenzialismo amministrativo. Le componenti qualificanti una misura di reddito di inclusione erano già state identificate e in parte sperimentate negli ultimi ventanni, ma il gruppo di ricerca dell’Alleanza con un lungo e scrupoloso lavoro le ha declinate e combinate nelle loro diverse componenti, configurando una proposta completa e molto articolata.
Non mi soffermo qui sulle diverse componenti dell’intervento (analisi e progettazione personalizzata e multiprofessionale; erogazione economica commisurata al bisogno; interventi di sostegno e inclusione sociale, formativa, lavorativa, ecc.) e la loro combinazione ottimale, per focalizzare l’attenzione sui due contenuti a mio parere più qualificanti e innovativi rispetto alle politiche sociali. Il primo sta nel superamento dell’approccio categoriale, proprio del passato e tuttora ricorrente. I beneficiari sono tali per la loro condizione di povertà, che è di per se lesiva di un diritto fondamentale della persona e della famiglia. Non occorre che abbiano versato qualche contributo, o abbiano una certa età, o abbiano svolto in passato un certo tipo di lavoro. Come per la sanità dove basta, o dovrebbe bastare, avere un problema di salute per accedere alle cure, anche qui la condizione di povertà basta, o dovrebbe bastare, per accedere al Reis. Naturalmente come al malato si chiede di collaborare perché solo così può riacquisire salute, anche al beneficiario del Reis si chiede di collaborare come insostituibile protagonista della propria collocazione e del proprio percorso nella società.
Il secondo contenuto qualificante che l’Alleanza ha presidiato con forza e con successo nella trattativa con il Governo sta nell’attenzione alla funzione di sostegno e inserimento e nella riserva di una quota delle risorse allo sviluppo dei servizi per renderla effettiva. Senza questa scelta cruciale e innovativa rispetto all’impostazione delle misure assistenziali nazionali tutto quanto viene scritto sull’ inserimento, la sua essenzialità, la sua qualità, sarebbe mera retorica. Si devono quindi sviluppare ovunque sistemi territoriali di servizi e interventi, che combinino e organizzino attorno alle responsabilità dell’ente pubblico le necessarie risorse professionali, operative, di volontariato, di vicinato. E per vincere questa impegnativa sfida occorre appunto disporre di risorse adeguate, da investire soprattutto dove attualmente i sistemi territoriali sono più carenti. La collaborazione centro – regioni – territori dovrà attivarsi e confrontarsi soprattutto su questo terreno.
A fine 2015 la Legge di stabilità per il 2016 introduce un finanziamento per la lotta alla povertà senza precedenti (600 milioni) e una delega al governo per la riforma. Ulteriori risorse strutturali si aggiugono nel 2016, fino a portare il finanziamento a 1.800 milioni, contestualmente al confronto nel merito fra Governo e Alleanza, fino al recente accordo formale e ai decreti delegati.
All’Alleanza, alla sua efficace gestione della comunicazione e della trattativa, va dato un ampio riconoscimento per tali esiti. In sua assenza il risultato non sarebbe stato quello presente. E un riconoscimento va dato anche a quanti, in vari ruoli governativi, parlamentari, ministeriali, hanno concorso dal versante pubblico a realizzare un significativo cambiamento di approccio e di impostazione dalle tradizionali misure assistenziali ad una moderna politica sociale.
Il cammino è ancora lungo e arduo
Si è ora tagliato il traguardo solo di una prima tappa di un cammino che è ancora lungo e difficile. Solo una consistente frazione della popolazione in condizione di povertà assoluta è infatti beneficiata dalle attuali misure, e anche questa con una integrazione di reddito troppo contenuta e potendo contare su interventi di sostegno diffusamente inadeguati e frammentati, che solo con anni di impegno potranno essere sviluppati
Il compito dei protagonisti remoti e prossimi del cambiamento è tutt’altro che concluso e occorre che l’attenzione e il monitoraggio della povertà, della “povertà assoluta” economica e di altre varie forme di povertà, continui e si approfondisca, e che continui e si consolidi anche la rappresentanza dei poveri che si è costituita e che ha proficuamente operato.
A mio parere le difficoltà maggiori che andranno affrontate, confidando che non venga meno un significativo impegno governativo sul tema, sono date dallo sviluppo generalizzato a tutto il paese dei sistemi di sevizi, dal forte incremento dell’investimento economico, dal riordino più ampio dell’esistente sistema assistenziale che risulterà allora necessario.
Rammento che l’affrontare positivamente tali sfide non risponde solo a esigenze umanitarie e di attuazione di diritti, ma risponde anche a esigenze di sviluppo generale e di crescita economica del paese. E’ importante rammentarlo sempre e a tutti.