Dal legame tra ambiente e salute alla resistenza dei virus ai farmaci antibiotici, le nuove sfide che il neo direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, si troverà ad affrontare. (Scopri di più su:
Sbilanciamoci.info)
Si è conclusa il 31 maggio a Ginevra la 70ma Assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), storica perché segnata dall’elezione del nuovo direttore generale, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, il primo africano a guidare l’agenzia internazionale. Il candidato etiope ha stracciato i suoi avversari, vincendo con il netto distacco di 133 voti (su 193 stati membri), contro i 50 voti a favore dell’inglese David Nabarro (uomo dell’Onu per la lotta all’Ebola e per il negoziato sui Sustainable Development Goals), e i 38 di Sani Nishtar, la candidata dal Pakistan, eliminata nel primo passaggio elettorale della settimana. Già ministro della salute in Etiopia dal 2005 al 2012, e poi ministro degli esteri dal 2012 al 2016, Tedros Adhanom Ghebreyesus è uomo di mondo, saldamente affermato nel circuito della diplomazia internazionale che si occupa di rapporti nord-sud. In un tempo in cui l’agenda della salute globale ha sempre più voce in capitolo nella politica internazionale, il prestigio di Tedros (così ormai lo chiamano tutti) attinge prima di tutto alle riforme sanitarie introdotte nel suo paese a favore delle fasce più vulnerabili e soprattutto dei bambini, poi al fatto di aver presieduto il board del Fondo Globale contro l’aids, la tubercolosi e la malaria. In qualità di ministro degli esteri ha esercitato poi un ruolo decisivo nel negoziato internazionale noto come Addis Abeba Action Agenda , il faticoso round che nel 2015 ha anticipato di poche settimane l’accordo sugli obiettivi dello sviluppo sostenibile, con l’intento di blindare un piano di impegno globale per il finanziamento, appunto, dello sviluppo sostenibile fino al 2030.
L’elezione del nuovo direttore generale demarca una novità procedurale, che è uno degli esiti positivi del processo di riforma dell’Oms. Per la prima volta, in settanta anni di storia, l’intera assemblea generale degli stati membri ha partecipato con voto segreto all’elezione della leadership dell’organizzazione. Fino all’elezione di Margaret Chan, dieci anni fa, solo i 33 membri del Consiglio Esecutivo erano delegati a questa responsabilità. Il margine amplissimo di vittoria di Tedros si presta a diverse e inedite letture, ma rimanda con forte probabilità alla convergenza di tutti i governi del sud del mondo sul candidato africano. Una sorta di alleanza transcontinentale del sud del mondo che nessun analista aveva previsto o in qualche modo anticipato. Forse, una indicazione neppure troppo obliqua di una reazione alle insistenti, prolungate e non sempre eleganti incursioni dei pochi paesi donatori (generalmente dell’emisfero nord) nelle dinamiche geopolitiche e nella definizione delle priorità dell’Oms.
Il combinato disposto della riforma manageriale dell’Oms (ancora in atto dal 2011), della devastante epidemia di Ebola in Africa occidentale (2014-2015) e del pericoloso virus Zika che dall’ America Latina è risalito fino ai paesi dell’America Centrale e agli Stati Uniti (2015-2016), ha fortemente contribuito a rimodulare negli ultimi anni la strategia dell’Oms. Più volte la capacità d’impatto dell’agenzia è stata messa in discussione in particolar modo dai paesi donatori, alle cui scelte programmatiche tuttavia è vincolato l’80% del finanziamento dell’Oms, a discapito di attività rispondenti al mandato normativo, vitali per l’ autorevolezza e la rilevanza dell’organizzazione.
I numerosi errori e ritardi nella gestione dell’Ebola hanno dato all’agenzia il colpo di grazia. A onor del vero, il fallimento è stato più volte conclamato dalla stessa ex direttrice Margaret Chan, incluso nel suo ultimo intervento alla 70ma assemblea il 22 maggio. Solo in parte però sono state chiamate per nome le ragioni distali che hanno determinato l’inerzia dell’Oms, tra priorità di ricerca trascurate in passato ed esiguità di risorse e di personale competente – lo staff dell’agenzia dal 2011 ha subito ridimensionamenti fino al 40%. Come un personaggio in cerca di autore, l’Oms oggi si dimena in cerca di una nuova appetibilità che le porti prestigio di risposte misurabili nel breve tempo e, così, fondi per colmare il buco finanziario che la depotenzia (500 milioni di dollari solo nel 2017). Non sorprende pertanto che la narrazione intergovernativa sulle priorità di salute globale veda affermarsi sempre di più la cultura della sicurezza sanitaria (health security) e della preparazione agli interventi di emergenza (emergency preparedness) come forma di rassicurazione per gli stati membri, malgrado il rischio per l’Oms di dover riorientare tratti del mandato e delle scelte organizzative.
Molti delegati hanno inasprito l’apprensione diplomatica rispetto alle conseguenze sanitarie della globalizzazione, come si è visto a più riprese nel corso dei dibattiti di Ginevra. Nuove crisi sanitarie potrebbero maturare in tempi non troppo lontani, è sotto gli occhi di tutti. Che l’amministrazione Trump lo riconosca oppure no, gli effetti dei cambiamenti climatici sono destinati ad aggravare l’ascesa già incontrollata delle malattie non trasmissibili, e ad accanirsi sulle fasce più a rischio della popolazione come i bambini, le persone anziane, le donne in gravidanza, le persone economicamente più vulnerabili. Gli studiosi americani stanno conducendo ricerche molto qualificate in merito. D’altro canto, gli inarrestabili flussi migratori già oggi determinati dai fenomeni del riscaldamento globale contribuiscono a favorire in molti governi la logica del cordone sanitario come altro muro di protezione necessaria, rispetto ai nuovi rischi all’orizzonte.
Oltre al legame fra ambiente e salute, una delle priorità della 70ma assemblea ha riguardato la resistenza dei virus ai farmaci antibiotici (antimicrobial resistance, AMR), un fenomeno complesso che colpisce inesorabilmente, seppure con dinamiche diverse, il nord e il sud del pianeta. L’azione su AMR richiede interventi urgenti di natura politica, oltre che tecnico-scientifica, su più fronti. Ci sono le 700.000 persone che muoiono ogni anno a causa dell’insorgenza di ceppi virali sempre più impertinenti e resistenti (se ne prevedono 10 milioni nel 2050), e dell’inefficacia degli antibiotici dovuta anche a cattive pratiche di somministrazione, certo. Ma ancora più cogenti solo le implicazioni legate all’uso parossistico di antibiotici nell’allevamento industriale degli animali, che poggia sui profitti delle grandi multinazionali, non solo quelle farmaceutiche. A meno di un drastico cambio di rotta, il mondo potrebbe ritrovarsi catapultato in un’era pre-antibiotica, nei prossimi 20-30 anni.
Il nuovo direttore dovrà cimentarsi sul difficile terreno di queste vecchie e nuove sfide, nella declinazione di un mandato oggettivamente ostico – un mix funambolico di capacità diplomatica, coraggio politico e sapienza gestionale – e per di più in un organismo davvero complesso che abbraccia uffici regionali nei cinque continenti. Alcuni delicati dossier hanno esasperato i rapporti di forza dentro l’organizzazione. Ad esempio il tema che potremmo definire dei determinanti commerciali della salute e la crescente prevalenza su scala globale di malattie croniche come il diabete e l’obesità, e quello tutto da verificare dei rapporti fra Oms e attori non statali – il mondo del settore corporate globale e i potenti attori del filantrocapitalismo (Bill Gates e non solo). Per non parlare della vecchia e sempre spinosa questione dell’accesso ai farmaci essenziali: una liturgia di risoluzioni e raccomandazioni che ancora oggi, dopo venti anni, il Segretariato dell’Oms spinge sotto il tappeto come la polvere, per non irritare sensibilità di paesi influenti. Intanto, il prezzo dei nuovi farmaci svetta sempre più in alto, e le condizioni dell’accesso si restringono, questa volta anche nei paesi ricchi.
E’ un caso che la prima dichiarazione di impegno politico di Tedros sia stata quella di portare finalmente anche dentro l’Oms la discussione sul rapporto dell’High Level Panel del Segretario Generale dell’ONU, proprio sul tema dell’accesso ai farmaci? Forse l’elezione del nuovo direttore dell’Oms sottende all’attesa di nuovi equilibri da mettere in campo. Chissà. Con l’aria che tira nei circuiti ristretti della diplomazia mondiale resta difficile prefigurare se la nuova leadership africana sarà in grado di incarnare la discontinuità necessaria, alla luce del sorprendente e fragoroso risultato elettorale. Anche l’effettiva tenuta della presunta e inedita unità transcontinentale dal sud del mondo è tutta da verificare, nel momento in cui gli stati membri dell’Oms si troveranno a duellare per l’ennesima volta intorno alle questioni dirimenti in agenda. Su cui, come sempre avviene, si giocano partite che riguardano solo marginalmente la salute.