«Prof non credo di farcela, non ho il profilo giusto». Così si lamentava una studentessa dopo aver letto un bando per la selezione di “animatori di comunità” nell’ambito di un importante progetto di rigenerazione urbana. (Scopri di più su:
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In effetti come darle torto scorrendo il lungo elenco di funzioni attese: organizzazione di attività di informazione e sensibilizzazione, stakeholder engagement, gestione di una piattaforma di partecipazione digitale, apertura e presidio di punti informativi territoriali, rendicontazione alle istituzioni pubbliche e filantropiche, tutoraggio e sostegno di progettualità realizzate nell’ambito dei processi di rigenerazione, gestione delle risorse materiali e delle call for ideas.
Il tutto con un chiusura – “ed ogni altra attività complementare ed integrativa che il soggetto gestore individuerà per l’accompagnamento al progetto nel suo complesso” – che, se possibile, alza ulteriormente l’asticella della complessità. Tanto da pensare che anche per un lavoratore sociale con buona esperienza non sia proprio una passeggiata aggiornare il curriculum per rispondere a questa chiamata.
Eppure le richieste di figure di questo tipo si moltiplicano, naturalmente con denominazioni diverse – community manager, host, operatori di comunità, ecc. – alle quali corrispondono declinazioni diverse, ma di competenze simili che, a grandi linee, si possono raggruppare in tre aree.
La prima corrisponde al classico lavoro di community organizing ovvero promozione di coalizioni dal basso intorno a un’istanza – caso tipico: il riuso di un bene immobile abbandonato – che viene riconosciuta come di interesse collettivo e che richiede quindi di rendere coeso il gruppo e di favorire il dialogo con soggetti istituzionali pubblici e privati che rispetto a quella istanza giocano il ruolo del “potere forte” (ad esempio perché proprietario del bene).
La seconda area è la gestione di un luogo – anche in questo caso fisico ma anche virtuale – che fa da catalizzatore di molteplici attività e iniziative frutto dell’azione di animazione e coinvolgimento. Interessante notare che questa funzione di “hub” spesso avviene dietro al bancone di un bar o comunque attraverso la gestione di un’attività commerciale che per funzionare ha bisogno di un forte collante aggregativo e relazionale, come nel caso dei manager della spesa di quartiere de L’alveare che dice sì.