"Morire per raggiungere l'Europa". I disperati viaggi degli Eritrei in cerca di sicurezza. (Scopri di più su:
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I pericolosi viaggi attraverso il deserto e il mare intrapresi da decine di migliaia di eritrei per raggiungere l’Europa sono un chiaro esempio dell’impatto devastante che le politiche migratorie restrittive stanno avendo sulle persone che cercano sicurezza fuori dai loro paesi d’origine. Lo affermiamo nel nostro nuovo rapporto intitolato
“Morire per raggiungere l’Europa: Eritrei in cerca di sicurezza”, basato sulle testimonianze dirette di rifugiati fuggiti dal piccolo ma altamente militarizzato paese dell’Africa orientale, che denunciano mancanza di libertà, reclutamento militare forzato per anni o addirittura decenni e rischio di prigionia, torture e morte per chi si oppone.
“Il novanta percento degli eritrei che riescono a raggiungere l’Europa via terra o via mare ottiene asilo. I governi europei riconoscono le loro testimonianze come reali, ma nonostante questo stanno facendo di tutto per impedire a loro e ad altri richiedenti asilo di raggiungere le coste europee” dice Arjan Hehenkamp, direttore generale di MSF.
Ogni giorno, le nostre équipe sono testimoni delle terribili conseguenze mediche e umanitarie dell’approccio sempre più restrittivo in tema migrazione. Nel caso dell’Eritrea, le équipe che assistono i rifugiati eritrei in Etiopia, Libia e nel Mediterraneo vedono le loro condizioni mediche, che comprendono ferite, cicatrici, pesanti traumi psicologici, che avvalorano le testimonianze delle persone.
Testimoniano l’isolamento senza speranza nei campi profughi in Etiopia, dove le persone dipendono completamente dagli aiuti per sopravvivere. In Sudan l’accesso alla protezione e all’assistenza è inadeguato e i rifugiati eritrei rischiano di essere arrestati e deportati di nuovo in Eritrea. Invece di passare la propria vita nell’attesa, in molti sentono di non avere altra scelta che rischiare violenze fisiche, psicologiche e sessuali, detenzioni arbitrarie e deportazioni in Libia, e la pericolosa traversata del mare, nella speranza di raggiugere sicurezza e libertà in Europa.
Nel 2015, i rifugiati eritrei sono stati il gruppo più numeroso ad attraversare il Mediterraneo, con 39.162 uomini, donne e bambini arrivati in Italia. Nel 2016, gli eritrei hanno rappresentato il secondo gruppo più numeroso, con 20.718 persone soccorse in barconi sovraccarichi e portate in Europa.
Invece di sviluppare vie sicure e legali per chi cerca protezione internazionale, l’Unione Europea sta collaborando sempre di più con l’Eritrea, la Libia, il Sudan e l’Etiopia per impedire agli eritrei di lasciare il proprio paese e transitare negli altri per raggiungere l’Europa. I tentativi dell’Europa di fermare la migrazione rafforzando i confini nazionali e le strutture di detenzione all’esterno dei propri confini non lasciano alle persone altra scelta che pagare i trafficanti per superare i controlli, attraversare frontiere e fili spinati, uscire dalle prigioni e infine salire su un barcone per attraversare il mare.
Ogni eritreo intervistato dalle nostre équipe sulle navi di ricerca e soccorso nel Mediterraneo ha affermato di essere stata vittima o testimone di gravi livelli di violenza, tra cui torture, in vari momenti del viaggio. Ogni eritreo intervistato ha dichiarato esser stato tenuto in qualche forma di prigionia, mentre più della metà ha raccontato di aver visto morire altri rifugiati, richiedenti asilo o migranti, il più delle volte a seguito di violenze. Ogni donna eritrea da noi intervistata ha vissuto in prima persona, o ha conosciuto qualcuno che ha subito stupri o violenze sessuali.
“È fondamentale che l’UE, gli stati membri e altri governi forniscano canali sicuri per raggiungere sicurezza e protezione per gli Eritrei, e per tutte le persone in fuga da conflitti e persecuzioni. Gli sforzi per gestire la migrazione non dovrebbero esternalizzare i controlli di frontiera a paesi non sicuri – dovunque essi siano – o fornire aiuti condizionati al blocco dei flussi migratori. Le persone in cerca di protezione non devono essere abbandonate o lasciate intrappolate in luoghi insicuri, senza alcuna altra opzione che rischiare la propria vita in un pericoloso viaggio. Il contenimento non è la risposta; le politiche migratorie non dovrebbero bloccare le persone o costringerle al pericolo. È atroce, ma le politiche attuali stanno facendo proprio questo” afferma Marco Bertotto, responsabile advocacy di MSF.