Un recente studio di Nomisma sull’impatto economico degli investimenti in cultura, analizza il caso Bologna su incarico di Fondazione Carisbo che ha fortemente investito nella propria rete museale di Genus Bononiae. (Scopri di più su:
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Nel 2015 la filiera culturale ha prodotto in Italia un valore aggiunto di 90 miliardi di euro (oltre 6% del PIL nazionale) e una occupazione pari a 1,5 milioni, con Bologna che rappresenta il 7% del valore e l’8% degli occupati. Per ogni euro prodotto dalla Cultura, l’effetto moltiplicatore sull’economia dei settori collegati è rispettivamente pari a 1,8 a livello nazionale e 2,2 a Bologna. La percezione della città è fortemente collegata alla sua dimensione culturale: il 74% dei turisti indica la cultura come ragione della visita. Oltre la cucina.
Per conoscere il ruolo della cultura nell’economia di una città – come paradigma complessivo per l’intero Paese – l’esperienza di Bologna è oggi un modello di assoluto interesse. La città, nota nel mondo per la sua antica Università, si è arricchita dell’articolata rete museale di Genus Bononiae, promossa dalla Fondazione Carisbo negli anni della presidenza di Fabio Roversi Monaco, che oggi la presiede.
Dopo i primi anni di attività, Genus Bononiae ha affidato a Nomisma – la società bolognese di ricerca e consulenza economica – un’analisi comparativa per verificare l’impatto degli investimenti culturali nell’economia complessiva a livello nazionale con un focus specifico sulla città e sull’apporto differenziale all’economia bolognese della sua rete museale.
L’analisi ha prodotto uno studio su “L’impatto economico degli investimenti in cultura. Il caso Bologna” presentato lo scorso 28 gennaio a Palazzo Pepoli, nell’ambito degli eventi di Arte Fiera - Art City. Rappresentativo il panel di discussione guidato da Marilena Pirrelli responsabile di ArtEconomy24 de Il Sole 24 Ore: dall’Assessore al Bilancio del Comune di Bologna Davide Conte al Presidente di Genus Bononiae Fabio Roversi Monaco, dal Presidente di BolognaFiere Franco Boni al presidente di Nomisma Piero Gnudi, dal direttore artistico di ArteFiera Angela Vettese all’economista della cultura dello IULM Pierluigi Sacco, dal direttore del Museo di Trento Michele Lanzinger al direttore di Federculture Claudio Bocci.
Il quadro che emerge evidenzia come la cultura - sia come impatto diretto sia come volano di sviluppo di altri settori collegati – sia un asset fondamentale dell’economia del nostro Paese: nel 2015 ha prodotto un valore aggiunto di 89,7 miliardi di euro (6.1% del PIL nazionale), con 1,5 milioni di occupati. Il patrimonio storico-artistico (musei, biblioteche, archivi, luoghi e monumenti) e l’insieme delle rappresentazioni artistiche, convegni e fiere a sfondo culturale rappresentano il 18% del valore aggiunto diretto della produzione culturale (9,9 miliardi).
Rilevante l’effetto indotto sul turismo nel nostro Paese: il 37,5% della spesa turistica italiana è alimentata dall’industria culturale; oltre un terzo degli arrivi in Italia sono stati registrati in località storico-artistiche, con un incremento negli ultimi 5 anni del 18%. Sono stati gli stranieri a fruire maggiormente del patrimonio culturale italiano: dal 2010 al 2015 i turisti italiani nelle città d’arte sono cresciuti del 10% contro il 23% dei turisti stranieri. Anche le affluenze registrate dai musei confermano la capacità attrattiva della cultura: nel 2016 44,4 milioni di ingressi (+4% rispetto al 2015), con incassi superiori ai 172 milioni di euro (+12% sull’anno precedente).
Sicuramente questo trend positivo deriva sia dalla straordinaria ricchezza del patrimonio storico italiano sia dalla rinnovata vivacità che sta interessando le attività culturali. E’infatti in atto una vera e propria rivoluzione nell'approccio tra istituzioni museali e fruitori, in cui è sempre più determinante l’utilizzo di social media come strumento di comunicazione con processi di innovazione che consentono di raggiungere pubblici potenziali sempre più vasti.
In questo contesto Bologna è tra le prime 10 province che maggiormente contribuiscono alla creazione di valore aggiunto, con il 7,1% del valore totale generato dal sistema cultura e il 7,6% degli occupati nei diversi settori culturali.
Partendo da qui, lo studio di Nomisma si è posto l’obiettivo di identificare l’attuale modello evocativo della città, di individuare l’attrattività della proposta culturale di Bologna e di misurare il contributo socio-culturale ed economico dell’offerta museale del polo Genus Bononiae.
Sottolinea Silvia Zucconi che lo ha curato: «Bologna è cultura e la sua brand image è trasmessa soprattutto da 3 icone: monumenti e portici, proposta di musei e mostre, università. Ma la cultura non contribuisce solo a connotare la nostra città, è anche un asset socio-economico che genera sviluppo. Il polo museale Genus Bononiae in questo senso è case history. Ma il ruolo di attivazione generato dalla cultura non è solamente di stampo economico. Nelle nostre valutazioni, infatti, non possono essere trascurati gli effetti intangibili – miglioramento della qualità della vita e dell’urbanistica, creazione di capitale umano e sociale – generati dall’offerta culturale e che concorrono a migliorare la qualità sociale della comunità».
La percezione di Bologna è infatti fortemente collegata alla sua dimensione culturale: il 74% dei turisti e degli escursionisti e il 91% del pubblico del percorso Genus Bononiae indicano la cultura come criterio determinante nella scelta di visitare la città.
Ne deriva un impatto economico molto positivo: nell’insieme la cultura ha avuto sul resto dell’economia bolognese un effetto moltiplicatore pari a 2,2 (per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 2,2 in altri settori).
Dal panel sono emerse alcune osservazioni sugli elementi di contesto che condizionano, in generale e in particolare nel caso bolognese, l’impatto dell’offerta culturale e sugli spazi di ulteriore miglioramento: dalla “accessibilità” della città richiamata dal Presidente Boni («sulla logistica si può migliorare») al turismo come risorsa da coltivare in tutte le sue variabili sottolineato dal Presidente Gnudi («i musei devono essere vissuti, altrimenti abbiamo mostre bellissime e pochi visitatori») alla managerialità nella gestione degli eventi efficacemente posta dalla Direttrice di Arte Fiera Angela Vettese («la cultura non va vissuta come un fiore all’occhiello, perché se ben organizzata è al pari della meccanica o dell’agricoltura, ma se è organizzata male genera solo perdite»).
In questo scenario il polo museale Genus Bononiae si dimostra fattore di indiscutibile successo nell’offerta culturale della città. Nel 2016 i visitatori sono saliti a 283 mila, con una crescita significativa rispetto al 2015 (+61%), con un impatto economico complessivo (diretto ed indiretto) superiore a 33 milioni di euro (0,1% del PIL cittadino). «Crediamo che l’aver creato una rete di musei, trattandoli come se si trattasse di un museo unico, possa rappresentare una riflessione per la città» suggerisce il Presidente Roversi Monaco.
E’in sostanza un approccio nuovo all’offerta culturale per «smettere di considerare la cultura come settore autoreferenziale», ha osservato Pierluigi Sacco, premessa di «una nuova generazione di politiche culturali». Perché «fare cultura deve significare necessariamente fare innovazione sociale, esplorare nuove forme di economia, incentivando una nuova produzione culturale creativa, con la capacità di collegarsi ad altri campi». Non dimenticando il welfare culturale perché si è dimostrato che una partecipazione attiva alla cultura si riflette in una più lunga aspettativa di vita.
Un orizzonte quindi in cui la cultura viene ad assumere un ruolo ampio di cittadinanza come «acceleratore della comunità e catalizzatore di innovazione».