Don Milani è ancora una spina nel fianco della scuola italiana e del nostro Paese. Nel rivedere le immagini di lui che insegna ai bambini più piccoli nella scuola di Barbiana, mi viene in mente la
Penny Wirton – la scuola di italiano per gli immigrati, dove alcuni studenti del liceo Pio Albertelli di Roma hanno insegnato l’italiano a Mohamed, Kalik, Omar, Salis: i minorenni non accompagnati sono i ragazzi di Barbiana di oggi. (Scopri di più su:
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Don Milani è vivissimo oggi più che mai, perché questi ragazzi che arrivano da noi ci ripropongono il suo tema fondamentale, rimasto per molti versi irrisolto: l’uguaglianza delle posizioni di partenza. Sebbene si voglia credere che sia così, non lo è ancora perché la famiglia conta moltissimo e l’insegnante è più solo del periodo di Barbiana. Oggi i genitori, le famiglie italiane si pongono spesso come ostacolo di fronte all’azione educativa dell’insegnante, rendendolo ancora più solo. Siamo rimasti gli unici, noi italiani, a dover ricondurre i nostri studenti verso i valori dell’applicazione, del rigore, della concentrazione, in un mondo che li porta invece verso il successo, la ricchezza, la sanità. E questo rende il nostro lavoro ancora più difficile.
Chi può dire oggi in Italia di avere la potenza etica di Don Milani? O la lacerazione di chi passa da un tavolo signorile – come quello che ho visto a Montespertoli, nella casa di lusso della sua famiglia – al tavolo grezzo di Barbiana? Dal bambino che scendeva dalle alture di Castiglioncello, con i mocassini ben lucidati e la camicetta bianca immacolata al priore che si è voluto far seppellire con le scarpe sporche di fango nella pietra sullo strapiombo? In tutto questo c’è la rivoluzione che lui ha fatto dentro sé stesso. Dove si può trovare oggi una simile radicalità? È molto difficile, quasi impossibile.
È vero, Barbiana è morta, ma Don Milani ci lascia un testimone che dobbiamo raccogliere, perché se non lo facciamo quella sua promessa sarà una promessa tradita.
La scuola di oggi vuole addestrare a superare l’ostacolo, mentre Don Milani ci aveva detto tutta un’altra cosa: dobbiamo fare in modo che la scuola diventi l’occasione per fare esperienze conoscitive. Ecco perché portava la piscina dentro la scuola, ecco perché inviava i suoi studenti in Algeria e a Stoccarda. Perché voleva creare esperienze di conoscenza. Per fare questo però dovremmo avere una scuola molto diversa da quella che vediamo. Noi abbiamo ancora oggi una scuola in cui le professoresse, nei consigli di classe, si comportano come quelle a cui si rivolgeva Don Lorenzo: fanno la media matematica, sono una sorta di “streghe del precetto” che molto spesso condizionano e mortificano la passione degli insegnanti che invece vorrebbero stare nella strada indicata dal priore.
Per fortuna, però, ci sono tanti Don Lorenzo Milani sparsi in tutto il mondo, che ho cercato di raccontare nel mio libro (“L’ uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani”, Mondadori, 2016 ndr): la suora di Benares, che mi portò sulle rive del Gange a vedere come imboccava gli ultimi della terra, quelli che noi metteremmo al cottolengo; l’educatore berlinese che mi fece giocare a pallone con Manfred, un naziskin di Berlino; il padre Giuseppino che mi fece conoscere Pedrito a città del Messico, che sembrava un ragazzino innocente e invece era un tossicomane, un rapinatore; in fondo lo stesso disertore che ho conosciuto a Volgograd, russo, che non voleva andare a combattere in Cecenia e che mi ha ricordato che Don Lorenzo è stato il padre dell’obiezione di coscienza in Italia.
Tutte queste figure mi fanno capire che dobbiamo davvero riconquistare quella forza che Don Lorenzo ci ha lasciato. È stato come una candela che ha bruciato da entrambi i lati, si è consumata in modo rapido, però ci ha detto quello che oggi dovremmo fare. Ecco perché ho voluto chiamare il mio libro “L’uomo del futuro” e sono contento che questo ciclo di incontri, dedicato anche a lui, si chiami proprio “Un futuro mai visto”.
Il prossimo anno ricorderemo i 50 anni della morte di Don Lorenzo, avvenuta a giugno del ’67. Molte delle sue intuizioni sono rimaste sul tappeto e sono ancora inascoltate. Io, nel mio piccolo, ho cercato di creare una rete di scuola, la Penny Wirton, per insegnare l’italiano ai ragazzi immigrati uno a uno, senza classi, senza burocrazie, senza voti, proprio nel solco pieno di Don Lorenzo Milani. Inoltre per l’alternanza scuola lavoro coinvolgiamo anche i ragazzi italiani che fanno tirocinio formativo con noi, nello spirito di Don Lorenzo.
Infine, voglio ricordare che Don Lorenzo non è stato soltanto un sacerdote, un profeta e un pedagogo. È stato anche un grande scrittore epistolare, nel solco più puro della tradizione letteraria italiana. Lui scriveva così come viveva, a fondo perduto, cioè senza pensare al risultato che avrebbe potuto ottenere. Aveva bisogno di un interlocutore, altrimenti non avrebbe scritto; poi lanciava le sue lettere come bottiglie nel mare, senza neppure ricopiarle in bella.
- Tratto dall’intervento tenuto il 29 settembre 2016 a Firenze all’incontro “Un futuro mai visto – Don Lorenzo Milani, la scuola che serve”