Il 2017 sarà un anno importante per la cooperazione allo sviluppo a livello europeo perché si arriverà all’approvazione del nuovo European Consensus on Development, il documento che riformerà le regole di base della cooperazione allo sviluppo oltre a ridefinirne gli obiettivi e i valori di riferimento. Siglato originariamente nel 2005 dovrà arrivare a un suo aggiornamento proprio entro metà di quest’anno con la conclusione della presidenza di Malta. (Scopri di più su:
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Il processo di discussione del nuovo Consenso Europeo sullo Sviluppo fornirà quindi l’occasione per definire gli obiettivi, i valori e principi condivisi per cui l’UE e gli Stati membri si sono impegnati nell’adozione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e dovrà costituire una solida base per un approccio comune per lo sviluppo sostenibile nel prossimo decennio. Un processo che in molti paesi europei ha mobilitato i governi nell’elaborazione di una posizione condivisa con gli stakeholders nazionali della cooperazione. Da noi, nonostante non manchino attenzione e mobilitazione sulla cooperazione allo sviluppo, stenta ad emergere una posizione dell’Italia e questa non sarà comunque discussa e/o condivisa con i molteplici attori del settore.
Eppure i temi all’ordine del giorno sono diversi e particolarmente delicati. Sono anni questi in cui la cooperazione allo sviluppo sta vivendo importanti innovazioni e cambiamenti sulla scia dell’Agenda 2030, della cosiddetta crisi migratoria, dell’avvento del settore privato profit e del passaggio forzato dell’attenzione dallo sviluppo alla crescita.
Non mancano quindi i rischi, soprattutto sul tavolo europeo (oggi più che mai condizionato dalle agende politiche nazionali), di mutazione genetica della cooperazione allo sviluppo e le tentazioni di chi vorrebbe tornare a rafforzare la condizionalità politica dell’aiuto.
La bozza attualmente disponibile del nuovo Consensus ha fatto suonare qualche campanello d’allarme soprattutto sul fronte della società civile. Il processo è monitorato soprattutto a livello europeo dalla Confederazione Concord Europe che ha sottolineato cinque punti critici su cui porre l’attenzione:
- il rischio che la Cooperazione allo Sviluppo sia sempre più al servizio di altri interessi politici a livello europeo (in primis il discorso sicurezza e securizzazione dell’Europa);
- un supporto incondizionato al settore privato profit non deve avvenire senza sufficienti prove che il suo coinvolgimento possa incidere veramente in termini di sviluppo sostenibile;
- l’attuale modello che vede la crescita economica e la creazione di occupazione come principali soluzioni alla disuguaglianza, l’instabilità, la migrazione irregolare non riconosce che la crescita economica e l’occupazione potrebbero invece accelerare la migrazione stessa;
- vengono sottovalutati i legami tra crescita economica e modelli di consumo/produzione insostenibili e il cambiamento climatico.
- viene minimizzato il ruolo della società civile, non si investe su reali partenariati e sull’ownership nazionale dei processi di sviluppo nei paesi partner.
La posizione Italiana rispetto al Consensus non è nota, almeno quella governativa che sta in capo al MAECI. Gli unici spunti li ha forniti pochi giorni fa il VM Mario Giro in un’intervista nella quale ha dichiarato che il dibattito sul Consensus è ancora in corso. “Noi riteniamo che sullo sviluppo si debbano seguire gli SDGs, in particolare l’eradicazione della povertà. Tutto deve essere focalizzato sullo sviluppo sostenibile, includendo le questioni legate ai diritti umani, le donne, il supporto alla società civile. E naturalmente c’è il grande interrogativo sulla battaglia contro la disuguaglianza. Abbiamo visto che la globalizzazione ha arricchito alcune parti del pianeta, ma che aumentato le diseguaglianze. Queste vanno assolutamente il più possibile diminuite in tutti i Paesi, in particolare quelli colpiti dalle crisi più gravi che alimentano i flussi migratori. Una delle conseguenze dell’allargarsi delle forbice della disuguaglianza è proprio la migrazione”.
Un dibattito quello del Consensus Europeo che meriterebbe uno spazio di discussione e scambio molto maggiore, soprattutto oggi che l’Italia ambisce a parlare e agire come sistema paese della Cooperazione. E’ davvero un peccato anche perché il luogo deputato ci sarebbe ed è stato istituito proprio dalla nuova legge 125 che riforma la cooperazione italiana. Si chiama Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo (CNCS), un organo di indirizzo composto da tutti gli stakeholders governativi e non del sistema cooperazione che per legge dovrebbe riunirsi più volte all’anno. Un vero peccato che la prima e unica riunione del Consiglio Nazionale sia ormai datata marzo 2016.
Il processo di finalizzazione del documento di Consensus ha però i tempi contati tanto che le organizzazioni della società civile italiana hanno recentemente tentato di portare il tema all’attenzione all’interno di uno dei Gruppi di lavoro del CNCS. La Commissione ha rilasciato da poco un secondo draft del documento che richiede in tempi stretti la reazione degli stati membri.
Discutere e contribuire alla definizione della posizione dell’Italia sulla Cooperazione europea (alla quale destiniamo il 68% del nostro APS) sembra essere proprio un compito da Consiglio Nazionale. Chissà che il CNCS non si riunisca a breve e che il Vice Ministro Giro non proponga proprio questo dibattito all’ordine del giorno.