Così scriveva John Donne, poeta inglese della fine del ‘500. Ma una parte del mondo sul quale siamo temporaneamente residenti pare andare in un’altra direzione, verso una santa alleanza tra populismo e nazionalismo, maxi raduni di xenofobi. (Scopri di più su:
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In molti paesi del nostro Continente è forte l’attrattività del protezionismo, espressa come chiara linea politica da USA e Inghilterra. Sono alle porte processi che richiedono un grande sforzo politico e culturale per ripensare la stessa idea di Europa in crisi, crisi che trascina anche i diversi paesi tallonati da urgenze. Uno sforzo con impegni sull’integrazione di politiche sulle migrazioni, sulla sicurezza interna nella lotta contro il terrorismo, la sicurezza esterna per rafforzare la cooperazione tra i sistemi nazionali di difesa, sulla politica economica e sociale. Interventi di ridisegno sul piano istituzionale, di governance dell’UE oltre che dell’Eurozona. “Nella crisi con implicazioni redistributive il consenso intergovernativo ha lasciato il passo a rapporti di forza, degi Stati più grandi (…) E’ evidente che se l’Europa fosse in grado di produrre beni e servizi in grado di migliorare la qualità della vita delle persone, la spinta antieuropeista verrebbe ridimensionata” afferma Sergio Fabbrini nell’efficace editoriale di scenario del Sole 24 Ore di Domenica 21.
Le diseguaglianze infatti non accennano a diminuire, anzi continuano a crescere. Dura la critica al neo-liberismo di Oxfam, una delle più antiche società di beneficienza, lanciata ai grandi della Terra riuniti al World Economic Forum di Davos con la presentazione del rapporto dal titolo emblematico “Un’economia per il 99%” (la percentuale delle persone che si spartisce le briciole). In Italia il 20% più ricco ha in tasca il 69% della ricchezza, un altro 20% ne controlla il 17,6%, lasciando al 60% il 13,3%. Il rapporto parla anche di “capitalismo clientelare” delle grandi corporation in grado di influenzare il potere politico. “In un mondo che sta cambiando impetuosamente stare fermi è un comportamento irresponsabile”, considera Fabbrini.
Un cambiamento in atto, nel quale il Giornale delle Fondazioni continuerà “a stare dentro”, e darne conto ai lettori, ascoltando in profondità, oltre la notizia. Un cambiamento che esige risposte strategiche e soprattutto “culturali”, della quale molte istituzioni filantropiche sono attori centrali. E offre al mondo della Cultura l’opportunità di farne parte, in risposta ai rischi di implosione, di perdita di coesione e di diritti, della democrazia per la quale molti, a lungo, a duro prezzo hanno lottato. Per trasformare le conquiste della ricerca scientifica e tecnologica del tempo di cui siamo figli in opportunità per la qualità diffusa della vita, in una società inclusiva.