Etico conviene? La risposta è no. Non ci sono dubbi, basta leggere l’ultimo numero di Altroconsumo, e la perentoria risposta data a un lettore che si domanda se investire in azioni di Banca Etica. (Scopri di più su:
NonConiMieiSoldi.org)
La risposta viene motivata: il rendimento è basso, non vengono distribuiti dividendi, la banca non si assume impegni per ricomprare le tue azioni. Anche dal punto di vista etico, a dire poco grossi dubbi: bisognerebbe verificare l’eticità di chi viene finanziato e «né noi, né altri “esterni” possiamo farlo. In ogni caso Banca Etica non sembra concedere prestiti a cuor leggero: al 31 dicembre 2015 i crediti difficili da recuperare ammontavano al 8,7% dei crediti concessi contro il 18,7% medio delle piccole banche».
Ricapitolando: dal punto di vista finanziario un disastro, da quello etico peggio ancora. La conclusione la ricorda l’articolo stesso: «Morale, per i tuoi investimenti punta su altri titoli, in particolare quelli che trovi consigliati alle pagine 6-9. Poi, potrai destinare i guadagni ottenuti come ritieni più opportuno: comprese, eventualmente, le donazioni alle organizzazioni umanitarie o di volontariato che riterrai più meritevoli e più vicine alla tua sensibilità».
Proviamo ad analizzare gli argomenti nell’ordine, partendo dalle questioni finanziarie. Negli ultimi 10 anni il valore delle azioni di Banca Etica è cresciuto del 11,35%. Un tasso sicuramente migliore di quello di molte banche italiane, a partire dalla stessa Intesa Sanpaolo che Altroconsumo utilizza – impropriamente – come termine di paragone, e le cui azioni nello stesso arco di tempo hanno perso il 14,88%. Altroconsumo segnala però come in Banca Etica ci sia il pericolo che l’assemblea dei soci deliberi una diminuzione del valore delle azioni.
Questo è in realtà un diritto dei soci delle banche dove vige il principio “una testa un voto” e comunque l’auto-valutazione del valore delle azioni viene fissata sulla base di regole e principi contabili ben definiti, sottoposti anche ai controlli delle autorità di vigilanza. Non è detto che la scelta di acquistare tali azioni sia più rischiosa dell’affidarsi a speculazioni di borsa e mercati al limite della schizofrenia per sperare giorno dopo giorno che il proprio investimento in una banca quotata non sia andato in fumo con lo scoppio di una bolla. Tutto questo tralasciando il fatto che chi diventa socio di Banca Etica comprando azioni non lo fa pensando al rendimento. È un capitale sociale e relazionale per fare crescere un diverso modello economico e finanziario, e quindi la “convenienza” va ben al di là di quella finanziaria.
Altroconsumo segnala poi che in Banca Etica c’è il rischio di non riavere il capitale, anche perché la banca non si assume impegni a ricomprare le azioni e bisogna aspettare – chissà quanto – di trovare un acquirente. Le azioni – di qualsivoglia impresa quotata o meno – sono per definizione capitale di rischio. Detto questo, le affermazioni riportate sono a dire poco fuorvianti: Banca Etica dal 2002 si è dotata di un Fondo per il riacquisto delle proprie azioni. Fino ad oggi il fondo ha sempre avuto capienza sufficiente a soddisfare le richieste dei clienti e nell’ultimo anno in media la banca ha impiegato meno di due settimane per dare esecuzione alle richieste di vendite pervenute dai soci.
Si passa poi all’accusa che non sia possibile giudicare l’eticità dei finanziamenti. Peccato che Banca Etica sia l’unica in Italia a pubblicare sul sito l’elenco completo di finanziamenti concessi alle persone giuridiche. Ancora prima, i soci in tutta Italia realizzano – su base volontaria e indipendentemente alla struttura e dall’istruttoria economica – un’istruttoria sociale e ambientale di ogni richiesta di finanziamento. Unicamente i progetti che superano entrambe le istruttorie vengono finanziati. Una procedura unica, studiata dalle banche etiche e alternative di tutto il mondo e descritta sul sito di Banca Etica, dove è evidentemente troppo faticoso farsi un giro per i segugi di Altroconsumo.
Uno dei passaggi più “creativi” dell’intero articolo è però nell’affermazione che Banca Etica presta poco, e che una conferma viene dal fatto che i crediti in difficoltà sono troppo pochi. Una differenza netta con le altre banche, che secondo Altroconsumo «può essere comunque sintomo di una certa “selettività” nel prestare soldi». Una vera e propria perla di pressapochismo e di superficialità. Legare il dato sulle sofferenze a quello sugli impieghi significa sommare le pere con le mele.
È noto che uno dei maggiori problemi delle banche italiane è l’enorme ammontare delle sofferenze. Banca Etica ha sofferenze nette intorno allo 0,6%, otto volte di meno (8!) della media del sistema bancario. Nello stesso momento, i finanziamenti negli ultimi anni sono cresciuti a un tasso intorno al 10% l’anno. Questo mentre gran parte delle banche italiane chiudeva i cordoni della borsa e diminuiva drasticamente i prestiti concessi a famiglie e imprese. Riassumendo, pochi prestiti e alte sofferenze per le banche italiane. Prestiti in crescita anche negli anni peggiori della crisi e sofferenze estremamente basse per Banca Etica. Lo specchio di un modo sano, efficiente ed efficace di fare banca? Nemmeno per idea. Secondo gli strateghi di Altroconsumo, potrebbe essere la prova che si presta poco e che non si è etici. Complimenti vivissimi per la fine comprensione dei meccanismi bancari.
Ci sono poi altre chicche nell’articolo, ma è nella conclusione, anzi nella sua “morale” per citare l’articolo stesso, che vengono toccate vette davvero ineguagliabili: tenetevi alla larga da Banca Etica, investite nei titoli consigliati da Altroconsumo, poi se volete, con i soldi guadagnati potrete fare beneficenza. Si stanno moltiplicando negli ultimi tempi articoli e saggi di chi difende apertamente i paradisi fiscali: se le imprese pagano meno tasse, avranno più utili a disposizione anche per fare beneficienza e per iniziative umanitarie. È questo il principio che guida Altroconsumo? Veramente un’associazione di consumatori riesce a non vedere che seguendo questo filone, si può giustificare tutto? Va bene inquinare, va bene sfruttare i lavoratori, va bene – perché no? – truffare i consumatori. Qualsiasi cosa nel nome del profitto, i propri soldi devono andare unicamente a chi da il rendimento più alto nel più breve tempo possibile, poi chi vuole può darli in progetti umanitari.
Non è un’esagerazione. Basta leggere i nomi delle imprese consigliate da Altroconsumo. Altro rispetto a cosa, verrebbe da dire. Limitandosi alla finanza si va da BNP Paribas a Barclays, da Bank of America a UBS a molte altre. Molti dei più grandi gruppi bancari del mondo. Soprattutto, molte banche coinvolte anche negli anni più recenti in truffe, condanne, presenza massiccia nei paradisi fiscali, dopo essere state salvate con migliaia di miliardi di soldi pubblici. Soldi dei contribuenti. Ma questo evidentemente non deve essere un problema per un’associazione dei consumatori.
Così come non è evidentemente un problema che diverse delle banche nelle quali Altroconsumo propone di investire sono quelle che hanno dovuto pagare multe miliardarie per la manipolazione del Libor. Il Libor è un tasso al quale sono legati milioni di mutui sulla casa e altri prestiti. Un tasso che veniva manipolato a piacimento da pochi broker senza scrupoli. Come dire che milioni di persone hanno pagato una rata del mutuo più alta di quello che dovevano per ingrassare alcuni dei più grandi colossi bancari del mondo.
Secondo questa logica vale tutto: Frodi, paradisi fiscali, truffe. L’unico obiettivo deve essere il massimo profitto, sulle spalle di consumatori e clienti, per permettere di distribuire più dividendi agli azionisti. Una logica forse un filino contorta e paradossale per chi per mission dovrebbe tutelare i consumatori. Nelle avventure del barone di Munchhausen c’è un episodio in cui il protagonista cerca di uscire da una palude tirandosi per i capelli. Forse è questo il geniale consiglio di Altroconsumo: proporre ai consumatori di fregarsi i soldi da soli.