In aumento da secoli, crollata drasticamente solo "grazie" alla peste nera e a due guerre mondiali. Perché? I risultati di una ricerca italiana. (Scopri di più su:
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Venerdì si è chiusa a Davos l’edizione 2017 del World economic forum (Wef), dove le ricche élite mondiali non si sono stancate di ripetere che
i maggiori rischi che il mondo si troverà quest’anno ad affrontare riguarderanno da una parte la partita ambientale e dall’altra quella della disuguaglianza economica. Sono ormai numerosissimi gli autorevoli report in merito, alcuni dei quali riproposti all’interno dello stesso Wef. Tra questi spicca
il documento recentemente elaborato dal McKinsey Global Institute, che tratteggia un ritratto tutt’altro che lusinghiero per il nostro Paese: dal 2005 al 2014 il 97% delle famiglie ha sperimentato un calo nei redditi, percentuale che l’intervento dello Stato non solo non ha arginato, ma ha addirittura accentuato: dopo tasse e trasferimenti risulta infatti del 100% (contro il 2% della Svezia), la peggiore performance al mondo.
I tradizionali strumenti redistributivi dello Stato italiano hanno evidentemente fallito nel proprio compito, e anche per questo nel mentre sono aumentate le disuguaglianze economiche:
come documentato da Oxfam, il 20% degli italiani ha ormai nelle proprie tasche il 69% della (ingente, 9.973 miliardi di dollari) ricchezza del Paese. Com’è potuto accadere?
Per rispondere, è utile allargare lo sguardo alla storia degli ultimi secoli. Un originale quanto robusto approccio adottato da un economista italiano, Guido Alfani, docente alla Bocconi di Milano e protagonista del quinquennale progetto di ricerca Economic inequality across Italy and Europe, 1300-1800 (Einite), finanziato dall’Unione europea.
Per ricostruire l’andamento della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza nell’arco di cinque secoli, Alfani ha raccolto dati relativi alle aree di sotto il dominio di Firenze, Stato sabaudo e Regno di Napoli.
I risultati dello studio, sintetizzati nel grafico a fianco, mostrano come in media poco meno del 70% della ricchezza fosse in mano al 10% della popolazione più ricca ai tempi di Dante, nel 1300. Nel 1800 la stessa fetta di popolazione aveva in mano una quota ancor più rilevante di ricchezza, attorno al 77%. Per integrare i risultati con quelli dei secoli successivi, fino ai nostri giorni, Alfani utilizza le serie elaborate dall’economista francese Piketty (a sua volta basate su dati storici raccolti in Francia, Uk e Svezia): «Sorprendentemente – osserva Alfani – la serie di Piketty per il periodo 1810-1910 mostra che la quota dei più ricchi cresce quasi esattamente allo stesso ritmo che ho calcolato per la serie tra il 1550 e il 1800». Il picco secolare della disuguaglianza viene raggiunto nel 1910, quando il 10% della popolazione aveva in mano il 90% della ricchezza, mentre ai nostri giorni (2010) la quota è scesa ad “appena” il 64%.
Sono solo due le fasi storiche che hanno inciso più in profondità di ogni altro sulla diminuzione della disuguaglianza, secondo Alfani. La prima è quella dove imperversava in Europa «la più terribile epidemia nella storia umana», ovvero la peste nera. La seconda emerge osservando il lavoro di Piketty, e sono le due guerre mondiali. Il risultato finale è sotto i nostri occhi: «La quota di ricchezza in mano al 10% più ricco oggi è circa – osserva Alfani – la stessa presente in Europa (o almeno, in Italia) immediatamente prima della peste».
Davvero solo la morte – che arrivi sottoforma di guerra o di pestilenza – è più forte della disuguaglianza? Quali sono i motivi di fondo che portano la ricchezza a concentrarsi in poche mani, in una tendenza che si è manifestata ben prima dell’arrivo del capitalismo?
Le risposte a queste domande, dichiara lo stesso Alfani, non sono ancora chiare: «La nostra ricerca ha trovato prove del fatto che la disuguaglianza economica ha registrato una crescita continua nel corso dei cinque secoli, con la notevole eccezione del periodo successivo alla Peste Nera di metà del XIV secolo. La disuguaglianza sembra avere la tendenza ad aumentare, a meno che non si verifichino shock drammatici, come la Peste Nera o la Seconda Guerra Mondiale, nel caso degli studi di Thomas Piketty sulla disuguaglianza economica contemporanea. La parte difficile è spiegare perché. Non si individua una ragione sufficiente, ma una molteplicità di ragioni necessarie».
Come la seconda legge della termodinamica dimostra che in un sistema isolato l’entropia non fa che aumentare, forse è semplicemente nell’ordine naturale che la concentrazione della ricchezza faccia altrettanto. In entrambi i casi sta a noi lavorare perché nonostante tutto le cose funzionino. Secondo gli esperti di Davos se la disuguaglianza aumenta la colpa non è (solo) del capitalismo,
ma della politica che non interviene in modo adeguato. Come? Le proposte non mancano. Da quella di Piketty (una tassa globale e progressiva sui patrimoni) alle
molte riassunte da Oxfam.
L’unica certezza è che da un livello di disuguaglianza più umano avremmo tutti da guadagnare: «A medio-lungo termine –
riassume oggi per lavoce.info il direttore scientifico dell’Istituto per la ricerca sociale, Emanuele Ranci Ortigosa – le disuguaglianze hanno un effetto negativo, statisticamente significativo, anche sulla crescita. L’aumento di 0,3 punti dell’indice Gini negli ultimi vent’anni ha ridotto la crescita dell’insieme dei paesi dello 0,35 per cento all’anno, cumulativamente dell’8,5 per cento (tavola 2). Per l’Italia, se la disuguaglianza fosse rimasta al livello del 1985, la crescita dal 1990 al 2010 avrebbe registrato un +6 per cento cumulativo».