Milano. Cresce la responsabilità sociale di impresa insieme con i laboratori di cittadinanza attiva e le iniziative che coinvolgono gli studi professionali e il variegato mondo delle cooperative. (Scopri di più su: Sociale.Corriere.it)
  • di Fabio Savelli
L’Italia «resiliente» sembra pronta ad attivare una rete di mutuo soccorso a fronte di un welfare pubblico che non riesce più a sostenere molti costi. E siamo gli unici con gli Stati Uniti ad aver avviato una terza via tra il profit e il no profit

«Tutti i popoli sono periti per mancanza di generosità. Sparta sarebbe sopravvissuta più a lungo se avesse interessato gli Iloti alla sua sopravvivenza». La frase viene attribuita ad Adriano ed è riportata nel celebre romanzo della francese Marguerite Yourcenar che narra le memorie dell’imperatore e le sue lettere indirizzate a Marco Aurelio, che sarebbe diventato suo successore al trono. La riscoperta dei classici suona paradigmatica di un fenomeno che si sta palesando sempre più. Lo potremmo identificare come responsabilità sociale di impresa, ma è soltanto una parte del tutto.

Perché la definizione non serve a ricomprendere anche una serie di esperimenti nati per migliorare le comunità in cui viviamo e che vanno al di là del perimetro aziendale. Laboratori di cittadinanza attiva e iniziative down-top che investono anche gli studi professionali e il variegato universo delle cooperative.

Molte di queste si legano a doppio filo alle reti d’impresa, nate come funghi (sono ora 2.800) in questi ultimi sette anni anche per effetto di una fiscalità di vantaggio per chi ha messo a fattor comune una serie di servizi sfruttando le sinergie dei rapporti di fornitura tipiche delle filiere e dei distretti industriali.

«L’Italia resiliente», per dirla con le parole di un recente rapporto della fondazione Symbola fondata da Ermete Realacci, sembra testimoniare che c’è un Paese pronto ad attivare una rete di mutuo soccorso laddove il welfare pubblico non riesce più a sostenere il costo per effetto delle politiche di riduzione della spesa pubblica. L’ultimo esempio è il terremoto nel Reatino, che ha interessato anche Umbria e Marche.

La rete di solidarietà è scattata immediatamente. Ha coinvolto aziende private come Cucinelli e Moncler con risorse e interventi per restaurare opere architettoniche oppure per alleviare gli effetti dell’inverno per gli sfollati. Assume risvolti importanti anche il volontariato di impresa. Sempre più realtà offrono ai propri dipendenti l’opportunità di dedicare alcune giornate lavorative alla comunità.

Il valore economico medio annuo dei programmi di volontariato di tipo corporate, registra la fondazione Sodalitas (nata per volontà di Assolombarda), è di 155 mila euro. Le donazioni aziendali al no profit raggiungono i 380 milioni di euro (anno 2015), a cui vanno aggiunti gli oltre 200 milioni erogati dalle fondazioni bancarie (tra le quali si distingue Cariplo) che per statuto hanno finalità filantropiche.

Il nostro Paese, è doveroso sottolinearlo, al momento è persino una best practice . Con gli Stati Uniti si è dotato di una nuova forma giuridica d’impresa: le società-benefit, che inaugurano una terza via tra il profit e il no profit e che man mano cominciano a prendere piede. D’altronde anche l’Europa sta stimolando la responsabilità sociale di impresa. Una direttiva comunitaria obbliga da quest’anno a rendicontare, per tutte le imprese oltre i 500 dipendenti, ogni iniziativa che abbia una positiva ricaduta sociale per il territorio, redigendo un bilancio ad hoc in un’ottica di trasparenza.

I consumatori sono diventati estremamente più esigenti. E anche la rivoluzione della sharing economy, con i loro pionieri Uber e Airbnb, testimonia un approccio più condiviso negli acquisti. Perché è in atto una totale disintermediazione nel rapporto tra cliente e fornitore in settori come la mobilità e la ricerca di alloggi, ma al tempo stesso fa nascere movimenti di protesta se le condizioni minime di lavoro non vengono rispettate (come il caso dei fattorini di Deliveroo a Londra e di Foodora per il cibo a domicilio a Torino).

Sono infiniti gli esempi di economia etica nel nostro Paese. È un bel buongiorno per l’Italia che fa registrare tassi di povertà in crescita in gran parte del Paese. In cui ci sono aree depresse, come il Mezzogiorno, che stentano a creare occupazione e sviluppo. Per le quali finora neanche un ministero per la Coesione, oggi rispolverato dal governo Gentiloni e affidato alla regia di Claudio De Vincenti, è riuscito ad attenuare le enormi disparità territoriali. Ecco perché conviene citare due casi-scuola. Che arrivano proprio dal Meridione. La rete del packaging 100% Campania, in cui sei aziende attive nella produzione della carta si sono messe insieme per creare delle economie di scala nel rapporto con i fornitori e i clienti. Accentrando gli acquisti. E migliorando lo smaltimento dei rifiuti in una regione in ritardo su questo tema. E soprattutto la sartoria Angelo Inglese di Ginosa, nel Tarantino che qualche anno fa ha ricevuto un’importante offerta di acquisto da una blasonata sartoria britannica, ma ha deciso di non vendere per scommettere sul territorio. Si è impegnata in un progetto di recupero della lana locale. Nella zona di Altamura ha avviato un’opera di sensibilizzazione degli allevatori di lana di pecora e degli acquirenti di questo tipo di prodotti.

Altro scenario rilevante è senz’altro l’accoglienza dei rifugiati. Su questo tema si è distinta Ferrovie dello Stato che ha permesso l’utilizzo di alcuni scali ferroviari per ospitare profughi che hanno chiesto diritto d’asilo e che scappavano da contesti di guerra e di povertà. Ma vale la pena ricordare anche Refugees Welcome Italia, un’associazione presente da noi e anche in altri Paesi europei, che si occupa di favorire il processo di integrazione dei rifugiati. L’obiettivo è di formarli professionalmente attraverso una serie di corsi. Per aiutarli ad inserirsi nel mercato del lavoro.

Tra le società-benefit, interessante è il caso Nativa che assicura la massima flessibilità ai propri dipendenti nella gestione del lavoro. Ad esempio, ha deciso di eliminare le riunioni dopo le 17.30 investendo anche sul benessere fisico del personale, collaborando con Ismerian, istituto di medicina rigenerativa. Sono state proprio le attività di Nativa a contribuire alla stesura della legge italiana sulle benefit corporation, approvata dal Parlamento a dicembre scorso. Corollario è il welfare aziendale, su cui stanno investendo tutte le aziende anche per una de-fiscalizzazione e una de-contribuzione dei benefit per il personale introdotti dalle ultime leggi di Bilancio.

Asili nido per i figli, contributi per le spese di trasporto e per il carburante, risorse per l’assistenza di familiari non auto-sufficienti. Finora era mancata una politica che incentivasse anche le piccole e medie imprese ad investire sul welfare che hanno minori possibilità di spesa e spesso neanche una persona dedicata. Da qui la nascita di una serie di società che mettono insieme servizi di welfare per le aziende.

La più importante è Jointly, una rete che si occupa di far incontrare domanda e offerta di servizi. Non si tratta di una forma mascherata di paternalismo di impresa o di ottimizzazione fiscale. Ma una leva per rendere più felice il personale. Anche in prospettiva del lavoro agile, lo smart working, progetto di legge incardinato in Parlamento che introduce la possibilità del lavoro a distanza o in remoto.

L’ultimo filone è quello della valorizzazione dei borghi locali. Riscoperti, recuperati da cooperative come la Valle dei Cavalieri, la prima cooperativa di comunità in Italia nata a Succiso, in provincia di Reggio Emilia, un borgo sull’appennino tosco-emiliano a oltre mille metri di altitudine.

I primi volontari della Pro Loco hanno cominciato ad investirci nei primi anni Novanta. Nel tempo riaprirono l’unico bar e il mini-market, che cominciò ad acquistare solo il pane prodotto a Succiso. Poi un ristorante e un agriturismo con prodotti a chilometro zero. Ora è un albergo con 20 posti letto. Ospita 15 mila persone all’anno.

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