L'anno che si chiude sarà ricordato per l'esplosione del fenomeno Art Bonus che riaccende il dibattito sulle donazioni in ambito culturale, sulle giuste leve da usare, ma anche sul ruolo delle organizzazioni culturali che sempre più dovranno muoversi verso nuovi sostenitori anche con figure professionali dedicate e nuovi strumenti di fundraising. (Scopri di più su:
IlGiornaleDelleFondazioni.com)
- Autrice: Marianna Martinoni*
Dal 2016 il tema del dono è tornato a essere di moda in ambito culturale: in gran parte grazie all’
Art Bonus, che da fine 2014 consente un credito di imposta pari al 65% dell’importo donato a chi effettua erogazioni liberali a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano. A dicembre 2016, a due anni dalla sua introduzione, si è raggiunto e superato l’inimmaginabile risultato di 132 milioni di donazioni raccolte e oltre 3.790 di soggetti1 che ad oggi hanno dimostrato di avere a cuore la tutela del patrimonio culturale nazionale e di essere disposti – ebbene sì – a donare risorse economiche proprie a questo scopo. I donatori ancora in minima parte sono privati cittadini (il 4% del totale), mentre fondazioni bancarie (45%) e imprese (51%) confermano il loro ruolo strategico a sostegno delle arti e la cultura.
La creazione e la stabilizzazione di un credito di imposta tra i più favorevoli in Europa sembra aver aperto quindi la strada alla partecipazione anche a quel ristretto numero di privati cittadini che desiderano essere protagonisti della conservazione, della valorizzazione e della promozione del proprio patrimonio e dei beni di proprietà pubblica, rendendo le organizzazioni culturali più legittimate nel chiedere donazioni.
La vera domanda resta però: possiamo immaginare un futuro prossimo in cui le donazioni alle arti e della cultura anche in Italia non siano più fanalino di coda rispetto ad altre tipologie di cause (Doxa 2016) 2? E, soprattutto, quali leve dunque – esistenti o da mettere ancora in campo – potranno far crescere – perdonate l’ossimoro – una cultura delle donazioni per la cultura anche in Italia?
La leva fiscale ha un peso innegabile: se guardiamo a quanto accade in paesi come gli Stati Uniti o il Regno Unito dove esistono incentivi fiscali fortemente premianti per i cittadini e per le imprese che donano, il donatore dona molto più volentieri, due o più volte la cifra media italiana stando ai dati3.
Ma, come ha sottolineato il 9 dicembre scorso Paolo Fresco4 in un convegno a Firenze: “Non basta una semplice deduzione fiscale per incoraggiare qualcuno a fare una donazione, ci vogliono anche motivazione e partecipazione”.
E allora forse il messaggio puramente incentrato su risparmio, sul credito di imposta, sulla leva fiscale non è sufficiente per fare crescere la cultura della donazione anche per ciò che attiene le arti e il patrimonio.
E soprattutto la leva fiscale è condizione necessaria ma non sufficiente affinché le organizzazioni culturali si sentano pronte e legittimate a chiedere. Facendo una fotografia dell’esistente sembra che sia il mondo della cultura, quello più istituzionale, a non credere affatto che tutti – siano imprese, fondazioni o cittadini - possano essere donatori per la cultura. Nel settore culturale pochi, anzi pochissimi, hanno il coraggio di parlare di DONO: è quantomeno paradossale che nel Paese che acclama la Cultura come principale asset strategico per il suo futuro, non si riesca a riconoscere dignità propria per chi dona a favore delle arti, del patrimonio, della cultura e per chi sceglie di esprimere in questo modo il proprio impegno sociale a favore delle arti, di nuovi talenti o del patrimonio di tradizioni che costituiscono l’identità di una nazione.
Un interesse che invece viene confermato anche dai dati delle raccolte fondi attivate grazie al crowdfunding5 o dai casi eclatanti in cui cittadini privati, non necessariamente facoltosi, hanno deciso di fare un dono nel testamento6 a favore del patrimonio culturale, magari legando il lascito al restauro di un bene sul proprio territorio.
Casi e storie che definiscono poco a poco un profilo nuovo di donatore per la cultura, lontano dallo stereotipo tradizionale, che magari non ha elevatissime capacità di dono, che si sente tale senza bisogna di epiteti particolari, né santo né eroe, non per forza di nobile stirpe o figlio di grande casata: un donatore 3.0 che, senza scomodare tutte le volte Gaio Clinio Mecenate per dare dignità al suo gesto, ne ritrova il significato soprattutto laddove è vissuto come gesto di impegno e responsabilità nei confronti di una comunità o di un territorio e che usa il web anche come canale per donare e verificare che il progetto da lui sostenuto vada a buon fine.
Siamo al paradosso dunque: da un lato sembra dunque esserci un pubblico di potenziali donatori, italiani e non solo, che vogliono essere coinvolti, lasciare il segno, poter fare la differenza anche attraverso una donazione a sostengo di progetti culturali. Dall’altro ci sono organizzazioni culturali, operatori del settore ancora non pronti a sollecitare donazioni e men che meno a educare nuove generazioni di cittadini a divenire anche donatori per la cultura.
Iniziative che incoraggiano a credere in questa nuova forma di collaborazione pubblico privato tuttavia non mancano, sia da parte di aziende sia di fondazioni che sempre più si propongono come attori di primo piano all’interno di operazioni che vanno nella direzione di capacitare le organizzazioni culturali da un lato e i cittadini dall’altro: cito solo ad esempio Wind for Fun (
www.windforfund.derev.com/) e C10 di Coca Cola (
www.coca-colaitalia.it/c10) in cui l’azienda è coprotagonista all’interno della campagna di crowdfunding e si impegna a destinare risorse proprie ai progetti in grado di coinvolgere donatori attraverso le piattaforme; o la ancor più interessante operazione +Risorse (
www.eppela.com/it/mentors/crt) portata avanti da Fondazione Sviluppo e Crescita CRT, nata con lo scopo di promuovere l’innovazione e valorizzare i talenti personali e le peculiarità territoriali piemontesi, collaborando allo sviluppo e alla crescita del territorio attraverso il trasferimento di competenze.
Ma proprio perché alla base del dono vi sono motivazione e partecipazione, il dono per la cultura potrà crescere solo se cambierà il rapporto tra mondo della cultura e cittadini, se trasparenza e accountability daranno modo ai cittadini di comprendere come lavorano e quale impatto (culturale e sociale ancorchè economico) le organizzazioni e le attività culturali sono in grado di generare
sui territori.
Solo andando oltre la logica del
leisure and pleasure, le organizzazioni saranno in grado di dimostrare agli stakeholder tutti, ma soprattutto ai potenziali sostenitori come queste ultime rispondono ai bisogni espressi da un determinata comunità o da un territorio. Dal crowdfunding ai
lasciti, dalle donazioni on line al fundraising territoriale c’è un enorme potenziale tutto da scoprire e lasciare esprimere. Tutto questo a patto che le organizzazioni culturali si muovano in prima persona, mettendoci la faccia e anche il cuore, aprendo porte e cancelli, raccontando le loro storie e svelando i loro tesori a pubblici diversi, per reddito, formazione, età e provenienza culturale.
Si aprano dunque tutti i canali possibili, togliendo lacci e lacciuoli giuridico-fiscali alla possibilità di donare a musei, teatri, biblioteche, centri culturali - siano essi di proprietà pubblica o privata non profit. Ma soprattutto si inizi a investire in figure professionali dedicate a questo anche all’interno delle organizzazioni culturali stesse: figure non solo competenti sui temi della fiscalità o sulle technicalities sottese alla raccolta fondi, ma anche pronte a mettere in campo quel prezioso processo che gli anglosassoni ben riassumono con due parole: DONOR CARE. Ovvero “prendersi cura del donatore”: che sia esso piccolo o grande, “mecenate style” o donatore 3.0.
- *Marianna Martinoni. Docente del Corso Il fundraising per la cultura presso The Fundraising School, da 15 anni è fundraiser e consulente nel settore del fundraising per le organizzazioni non profit, in particolare per quelle che operano nel settore culturale. È relatore e docente di workshop, giornate di studio, master e convegni concernenti il fundraising, sia su tematiche specifiche per il fundraising in ambito culturale sia su temi comuni a tutti settori. Ha pubblicato e pubblica articoli in Italia relativi al tema del fundraising per la cultura, è autrice con Pierluigi Sacco de “Il fundraising per la cultura” (2005). E’ socio senior dell’Associazione italiana Fundraiser – ASSIF, di cui dal 2011 al 2014 è stata membro del consiglio direttivo.
Note al testo:
1 A livello territoriale l’83% delle donazioni viene raccolto al Nord, il 15% al centro e soltanto l’1% al Sud. Tra i beneficiari ben 500 Comuni italiani, molti dei quali hanno iniziato a beneficiare delle erogazioni liberali solo grazie all’Art Bonus.
2 Per poterlo dire con maggiore sicurezza sarà interessante in un futuro prossimo indagare un po’ più a fondo le motivazioni che hanno spinto cittadini e imprese a sostenere beni di proprietà pubblica, teatri di tradizione e fondazioni lirico sinfoniche in tutto il Paese, magari facendo una cosa molto semplice: chiedendo loro il perché di una scelta che ai più sembra quasi un miracolo, andando a scoprire legami, storie personali, valori e percorsi condivisi! Dati interessanti sono stati in questo senso presentati il 15 dicembre a Milano al Convegno “Il ruolo dei Commercialisti nel rapporto tra politica e sistema culturale” da Marilena Pirelli, Carolina Botti e alcuni degli studenti del Master in Economia e Management dell’Arte e dei Beni Culturali della Sole24 Ore Business School
3 753 dollari la donazione media individuale negli USA, 162 sterline la donazione media individuale in UK, a fronte dei 116 euro in Italia – Fonte Vita 2015
4 Paolo Fresco nel 2015 ha donato 25 milioni di dollari per la costituzione della fondazione Marlene e Paolo Fresco per la ricerca sul morbo di Parkinson e sui movimenti motori: il 9 dicembre 2016 ha ricevuto il Premio Rinascimentale dell’anno della Palazzo Strozzi Foundation e le Chiavi della Città.
5 Tra gli esempi più noti ed eclatanti ricordo la campagna di Palazzo Madama a Torino (oltre 80.000 euro raccolti nel 2013 per l’acquisizione del servizio di porcellana Taparelli D’Azeglio), o il crowdfunding per il restauro del Portico di San Luca a Bologna a quella per far risuonare l’Orchestra Mozart, o infine le due campagne fiorentine portate a termine su Kickstarter, ovvero #crazyforpazzy (per il restauro della Cappella Pazzi a Firenze), o “Opera for everybody”, l’ultima straordinaria operazione compiuta dal Maggio Musicale Fiorentino nel giugno scorso
6 La dimensione del legacy fundraising in Italia vale oggi 1,1 miliardi di euro, ma secondo i dati di da qui al 2030 al non profit potrebbero arrivare, da lasciti ed eredità, 129 miliardi di euro (
Rapporto Giving Italy 2015, VITA).