Pubblicato il quarto rapporto sul Bes. Istat: «Disuguaglianza saldamente sopra la media europea. I segnali positivi sembrano non coinvolgere quanti vivono in condizioni di forte disagio economico». (Scopri di più su:
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Il benessere di una persona come di una popolazione non può essere misurato soltanto in termini di Pil, ma tentando il difficilissimo esercizio di osservarne la vita attraverso le sue innumerevoli sfumature. Gli indicatori scelti dall’Istat per la redazione del rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes),
giunto alla sua quarta edizione, sono in tutto 130 e a loro volta articolati come in 12 macrodomini: Salute, Istruzione e formazione, Lavoro e conciliazione dei tempi di vita, Benessere economico, Relazioni sociali, Politica e istituzioni, Sicurezza, Benessere soggettivo, Paesaggio e patrimonio culturale, Ambiente, Ricerca e innovazione, Qualità dei servizi.
Come sta dunque l’Italia, vista attraverso questo complesso prisma? Complessivamente, meglio rispetto al 2010 – anno in cui inizia la reportistica sul Bes – come anche rispetto a una tappa intermedia, il 2013. Entrambi gli anni, è importante sottolinearlo per calibrare conseguentemente i risultati, hanno rappresentato per l’Italia e non solo duri anni di profonda crisi. «Dal confronto con la situazione relativa al 2010 – evidenzia dunque l’Istat – emergono trend positivi per salute, ambiente, istruzione e un recupero completo per l’occupazione; livelli lievemente inferiori si registrano per reddito, relazioni sociali e soddisfazione per la vita. I divari sono invece ancora rilevanti per condizioni economiche minime e qualità del lavoro. Il quadro che emerge rispetto al 2013 è quindi di miglioramento o stabilità per tutte le componenti del benessere; il recupero è invece ancora parziale se il termine di confronto è il 2010».
Del resto, si tratta di
una conclusione simile rispetto a quella raggiunta poche settimane fa ancora una volta dall’Istat: il benessere percepito dalla popolazione italiana è tornato in crescita, seppur modesta. Più inquietante è domandarsi a quale prezzo. Un confronto con il contesto internazionale evidenzia come il nostro Paese mantenga una delle performance economiche peggiori di tutta la zona euro. Anche all’interno dei patri confini non sono poi molti i motivi di soddisfazione.
Sfogliando il rapporto sul Benessere equo e sostenibile si nota come nel 2015 la vita media alla nascita in Italia sia scesa leggermente, da 82,6 a 82,3 anni, mentre rimane stabile la speranza di vita in buona salute alla nascita (58,3 anni); il tasso di occupazione dei 20-64enni è tornato a superare la quota del 60% ma – al contrario della media europea – si mantiene ancora lontano dai livelli pre-crisi (62,8% nel 2008); soprattutto, «il tasso di occupazione aumenta in modo sostenuto soltanto per gli ultracinquantacinquenni» che tardano a uscire dal mercato del lavoro a seguito delle riforme previdenziali, mentre «le differenze intergenerazionali continuano ad ampliarsi». Abbiamo il più alto numero assoluto di Neet d’Europa (il 25,7% dei nostri ragazzi e ragazze), e al contempo una quota di sovraistruiti in crescita al 23,6%.
Al contempo, la «moderata crescita del reddito disponibile pro-capite», pari a +1% rispetto al 2014, «non ha modificato la disuguaglianza – nel 2015 il valore è identico a quello del 2013, il più alto dell’ultimo decennio – che si conferma saldamente sopra la media europea». Il reddito percepito dal 20% della popolazione più benestante è 5,8 volte più alto rispetto a quello del 20% con i redditi più bassi. Per questo, conclude l’Istat, i segnali positivi «sembrano non coinvolgere quanti vivono in condizioni di forte disagio economico».
Non va molto meglio spostando il focus dall’economia ai rapporti sociali e all’ambiente. La soddisfazione per le relazioni interpersonali «è molto bassa nel nostro Paese», e diminuiscono sia la soddisfazione per la rete familiare e amicale sia la partecipazione politica. Anche le risposte «alle problematiche di salvaguardia dell’ambiente, in gran parte guidate dalle normative europee o dall’insorgere di specifiche emergenze, appaiono ancora frammentate», e per lo più all’insegna della stabilità, con una «leggera flessione la soddisfazione per la qualità ambientale della zona di residenza».
È dunque difficile rispondere al perché, nonostante tutto, gli italiani che esprimono una soddisfazione elevata per la propria vita siano in aumento. «Un aspetto importante della soddisfazione complessiva è quello legato al giudizio sul tempo libero», suggeriscono dall’Istat, e questo induce a riflessioni ottimistiche sulla possibilità di un modello di sviluppo che non sia esclusivamente consumistico.
D’altra parte è inevitabile pensare che concorra al risultato anche un’ormai consolidata abitudine al peggio, instillata da lunghi anni di crisi: non a caso diminuisce nel 2016 la quota di quanti guardano al futuro con ottimismo (al 26,6%). La speranza è in Italia merce sempre più scarsa, e dunque più preziosa.