“L’importanza del rapporto tra imprese e comunità”. Intervista a Cesare Azzali, Direttore Unione Parmense degli Industriali. (Scopri di più su:
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Dottor Azzali, lei dirige la struttura operativa dell’Unione Parmense degli Industriali dal 2000. In questi 16 anni di presidenza lei ha assistito a varie fasi storiche ed economiche, dall’adozione della moneta unica alla crisi economica più recente. Quale è stato il ruolo dell’Unione in questi anni?
Il ruolo dell’Unione Industriali credo che possa essere sintetizzato nello sforzo di affiancare le aziende in un processo di trasformazione dei loro rapporti con il mercato, che ha evidenti impatti, sia nelle relazioni con le persone occupate nell’azienda, sia nella riorganizzazione e nella ristrutturazione dei processi produttivi, con modalità il più possibile efficaci nella direzione di introitare, nell’attività aziendale, sia i profili di compatibilità ambientale che di coinvolgimento della comunità territoriale in cui le imprese sono inserite.
La città di Parma è molto attenta ai temi della sostenibilità. Lei ritiene che sia una caratteristica che deriva da una precisa volontà politica o piuttosto da una naturale e sedimentata cultura della cittadinanza locale?
Mi pare che, nell’attenzione ai temi della sostenibilità, entrambi gli elementi giochino un loro ruolo combinato e sinergico. Mi pare infatti evidente che la comunità in cui operano le nostre aziende è, per cultura e per crescita della sensibilità verso i temi della sostenibilità nell’attività delle aziende, molto attenta a conoscere, e quindi a poter valutare, la qualità dello sviluppo. Allo stesso modo, certamente, la politica, nello sforzo di interpretare la volontà dei cittadini, ha sicuramente impresso un’accelerazione al processo di rafforzamento della conoscenza degli impatti che le aziende producono sulla crescita, non solo del benessere, ma anche, e soprattutto, della qualità di vita della comunità.
Come si è evoluto in questo territorio l’approccio alle tematiche che oggi vanno sotto il comune denominatore della responsabilità sociale delle imprese? E che ruolo hanno avuto in questo senso le vicende di Parmalat?
Mi pare di poter dire che le aziende sono oggi molto più consapevoli e convinte che non nel passato che un fattore determinante per il successo dell’impresa è il rapporto con la comunità in cui opera, sia sotto il profilo del reperimento di personale qualificato e motivato a perseguire il buon successo dell’azienda, sia sotto il profilo della valorizzazione nell’interesse dell’azienda di tutti quei contributi indiretti ma determinanti, che la qualità di vita della comunità offre come elemento di qualificazione e accreditamento presso il consumatore o il cliente finale. In questo contesto, credo che la vicenda Parmalat abbia contribuito a rendere più consapevole il sistema delle imprese che le attività di un’azienda non riverberano i loro effetti solo dentro al perimetro dei confini aziendali ma incidono in maniera rilevante sull’immagine stessa del sistema imprenditoriale e della comunità in cui opera.
Recentemente ha pubblicato un articolo sul “Sole 24 Ore” sul tema del rapporto tra innovazione tecnologica e redistribuzione dei redditi: secondo lei le aziende sono maggiormente consapevoli dei cambiamenti in atto rispetto alla politica? Possono sostenerla in maniera autorevole nell’assunzione di decisioni e correttivi in grado evitare gli effetti dell’esclusione sociale legata alla “non possibilità di contribuire con il proprio lavoro” al benessere della società?
Penso che la riflessione sui temi dell’impatto che l’innovazione tecnologica produce sul ruolo del lavoro umano sia ancora nelle sue fasi iniziali, e che, pertanto, anche il sistema delle aziende stia iniziando a prendere conoscenza e consapevolezza di una serie di profili di impatto sociale che, ad oggi, ritengo non siano stati ancora sufficientemente compresi, analizzati e valutati nel loro impatto. Sono convinto che gli imprenditori ed i loro collaboratori che sono, per ragioni oggettive, esposti in prima linea rispetto agli effetti che l’innovazione produce sul lavoro umano, dovranno e vorranno dare un loro determinante contributo di analisi e di proposta su cui poi la politica sarà chiamata a fare valutazioni complessive d’impatto sul resto della società. La complessità del tema e l’impatto rivoluzionario che il processo di innovazione tecnologica avrà sulla nostra società, credo comporterà l’ineludibile esigenza di ripensare radicalmente i nostri assetti politici e sociali. Gli esiti di questo mutamento di civiltà sono ancora troppo incerti e lontani, posto che la fase di transizione in corso ha contenuti ancora non evidenti ai più, sia in termini di impatto sul lavoro che di effetti sociali; ragione che porta ad auspicare una fase di coinvolgimento il più ampio possibile di tutte le intelligenze per orientare l’innovazione, valutarne gli impatti, organizzarne gli effetti sulla distribuzione del reddito e sui contenuti e gli stili di vita delle persone.
Riferendosi a quanto sopra, in definitiva che scenario prevede per l’Europa e l’Italia? Cosa non è all’ordine del giorno nella riflessione politica?
Le previsioni di macropolitica sono, credo, strettamente dipendenti dagli esiti di quella riflessione comune sugli effetti che la trasformazione dell’economia, conseguenza dell’innovazione tecnologica, produce sull’Europa e sull’Italia, a fronte della constatazione che oggi, essendo uno il mercato mondiale, una deve diventare la comunità politica ed istituzionale. All’interno di questa prospettiva, il nostro continente, e, nel nostro continente, l’Italia devono contribuire a costruire un metodo di confronto fra le diverse storie, culture, religioni, sistemi politici, sensibilità sociali, che favoriscano il confronto e l’integrazione fra storie diverse per realizzare una dimensione unitaria della gestione dei problemi del mondo. Quello che manca nella riflessione politica del nostro paese è la consapevolezza, o, forse, più esattamente, la volontà di essere coprotagonisti, con i nostri valori e con la nostra identità, di questo processo di costruzione di un unico villaggio globale, anziché limitarsi a subirne le conseguenze, in un ruolo culturale, prima che politico, di sostanziale soggezione agli interessi ed alle culture egemoni.
Manca la consapevolezza che un Paese piccolo per dimensioni, e per popolazione, ma ricco di storia e di cultura, con un patrimonio molto rilevante di attenzione alla centralità della persona umana, ha, non solo l’interesse, ma anche e soprattutto la responsabilità di dare un proprio contributo di idee e di proposte che orientino al meglio l’evoluzione del mondo.