È stato presentato a Roma il Rapporto 2016 sulla Protezione Internazionale in Italia, curato da Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, ANCI/SPRAR/CITTALIA e in collaborazione con l’UNHCR. Nel 2015 sono stati 65,3 milioni i migranti forzati nel mondo, di cui 21, 3 sono rifugiati, 40,8 sfollati, e 3,2 milioni richiedenti asilo. (Scopri di più su: Labsus.org)
Il 51 percento dei rifugiati sono minori e sono 98.400 le domande di asilo di minori non accompagnati o separati dai genitori. Afghanistan, Eritrea, Siria e Somalia sono i principali paesi di provenienza e Turchia, Pakistan e Libano si collocano ai primi posti nella classifica dei paesi di accoglienza.

Numeri elevati che evidenziano il cambiamento strutturale nell’ambito di un fenomeno come quello migratorio, da sempre caratterizzato da una estrema variabilità. Alle ragioni economiche si aggiungono altri fattori determinanti: carestie, cambiamenti climatici (il Bangladesh da anni sta sprofondando sotto il livello del mare), conflitti, terrorismo sono all’origine di questi spostamenti di massa.

Come si legge nel Rapporto, nel corso del 2015 in Europa sono state presentate 1.393.350 domande di protezione internazionale, di cui il 94,9 percento nei 28 Paesi membri dell’Unione europea. La Germania è al primo posto, coprendo da sola il 36 percento delle domande presentate nell’UE, seguita a notevole distanza da Ungheria (13,4 percento) e Svezia(12,3 percento). Non tutte le domande ottengono il riconoscimento della protezione internazionale: a fronte di 776.160 decisioni da parte dell’Unione Europea solo il 43 percento (333.205) ha portato al riconoscimento di una forma di protezione internazionale.


L’Italia: porta meridionale dell’Europa

Nel 2015 in Italia sono sbarcate 153.842 persone, il 10,7 percento dei quali è costituito da minori. Il punto di partenza è la Libia, ma i paesi di provenienza sono: Eritrea, Nigeria, Somalia, Sudan.

Sempre nel 2015 le domande di protezione internazionale presentate in Italia sono state 83.970; nei primi sei mesi del 2016 53.729 con un incremento del 64 percento rispetto allo stesso periodo del 2015.

Nel caso italiano, la novità rispetto agli anni precedenti è data dall’incremento dei dinieghi (circa il 60%) pronunciati dalle Commissioni territoriali competenti sulle istanze per il riconoscimento della protezione internazionale o umanitaria.


L’accoglienza oltre l’emergenza

Le strutture di accoglienza, dopo una fase emergenziale, sembrano acquisire una loro funzionalità. Si va dai CPSA, CDA, CARA, CIE in alcuni casi tristemente noti per le condizioni di vita in cui i richiedenti asilo vengono a trovarsi anche per periodi superiori a quelli previsti dalla legge.

Lo Sprar costituisce un esempio di buone pratiche di accoglienza. Lo Sprar è il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), costituito dalla rete degli enti locali che, realizzano progetti di accoglienza integrata accedendo al fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Lazio e Sicilia ospitano il maggior numero di rifugiati in questi centri (rispettivamente il 22,4 percento e 20,1 percento).

Nel 2015 i progetti finanziati dal Fondo nazionale perle politiche e i servizi dell’asilo (FNPSA) per il Sistema di protezione richidenti asilo e rifugiati (SPRAR) sono stati 430 (per complessivi 21.613 posti in accoglienza). L’obiettivo della rete Sprar è quello di andare oltre la prima accoglienza e di dare forma a percorsi di inserimento dei rifugiati, che li pongano di fatto nelle condizioni di provvedere autonomamente a se stessi.

Nel Rapporto non mancano le storie di vita, casi di percorsi di integrazione di successo, come le a le donne rifugiate che a Canicattini Bagni riqualificano un’area della città attraverso l’iniziativa “Adotta un’aiuola” o le opere d’arte scolpite nella pietra da Sadiq Alizada, rifugiato afghano. Il lavoro e l’impegno in pratiche di cittadinanza attiva sembrano essere lo strumento migliore per evitare la degenerazione di situazioni a rischio.

Come ricordato nel Rapporto, gli scandali degli ultimi anni non possono oscurare il lavoro svolto, specialmente sul piano culturale, dal terzo settore che, in collaborazione con lo Sprar, le Istituzioni e gli enti locali assicura da anni la sostenibilità del sistema di accoglienza.


C’è sempre un’alternativa: i corridoi umanitari

È questo il caso dell’esperimento dei corridoi umanitari dai paesi in guerra. In Italia, un progetto realizzato grazie all’accordo tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese evangeliche italiane e la Tavola valdese da una parte, e il Ministero degli Esteri e quello dell’Interno dall’altra, ha già consentito a circa mille profughi di giungere nel nostro Paese con visti rilasciati dall’Ambasciata italiana per “motivi umanitari”. Il progetto prevede l’ingresso in Italia di profughi in condizioni di “vulnerabilità” come donne sole con bambini, anziani, persone affette da disabilità o serie patologie, e soggetti riconosciuti dall’UNHCR come rifugiati; le spese per il viaggio e l’ospitalità saranno sostenute dalle stesse associazioni. Si tratta di una buona pratica, che evidenzia come anche in quelle che sembrano essere situazioni al limite, esiste un’alternativa rispettosa della sicurezza e della dignità umana.

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