Prosegue la collaborazione tra Edizioni di Comunità e cheFare che ha l’obiettivo di divulgare il pensiero di Adriano Olivetti anche nel mondo dell’innovazione culturale italiana che molto deve alla pratica e alle teorie da lui elaborate. (Scopri di più su: Che-Fare.com)
La nuova società farà suo quel che d’eterno vi è nell’ideale democratico: la fondamentale eguaglianza di tutti gli uomini come essenze spirituali, cioè come persone, e quindi, sul piano politico, l’eguale diritto di tutti gli uomini a partecipare al governo della cosa pubblica. Ma questo ideale, profondamente inteso, guida verso istituzioni politico-sociali nuove una società che negli ultimi cento anni ha subìto trasformazioni talmente radicali che qualsiasi tentativo di reggerla secondo una filosofia politica e meccanismi costituzionali elaborati prima della rivoluzione industriale (e delle sue conseguenze) equivale a svuotare le forme democratiche di ogni contenuto concreto e preparare così il facile trionfo delle forze reazionarie.

Nessun dogma quindi d’infallibilità di maggioranze informi e indifferenziate che escono appena dalle tenebre in cui sono state tenute da un ordine ingiusto, ma:
  • 1) creazione di una pluralità di sfere d’interessi vivi entro le quali la volontà della maggioranza si determini con minori possibilità di errore e con più grande libertà;
  • 2) creazione di un sistema articolato di elezioni dirette e indirette rispettoso di quei due essenziali fattori che sono la provata competenza specifica dell’eletto e la provata sua preparazione morale e culturale. Solo così la società, liberata da qualsiasi privilegio di casta o di censo, avrà istituzioni adeguate alla complessità della sua odierna struttura differenziata e il principio dell’eguaglianza di tutti gli uomini innanzi a Dio troverà la sua applicazione terrena nella partecipazione, commisurata alle loro insopprimibili differenze morali e intellettuali, di tutti gli uomini alla cosa pubblica. (…)
Il nuovo ordinamento giuridico sarà inteso a conseguire un equilibrio politico, e di riflesso, un equilibrio sociale che, solo affidato al principio democratico dell’elezionismo, non potrebbe assurgere a quell’optimum che è soltanto di una società in cui ognuno, come personalità umana, raggiunge nel tempo più opportuno quella posizione, quella autorità, quegli incarichi che soltanto il suo orientamento spirituale e le sue attitudini specifiche, in una parola, la sua vocazione, gli assegnerebbero.

Il metodo democratico, come procedimento elettivo dal basso verso l’alto, rimane l’elemento insostituibile e preponderante degli svolgimenti superiori della vita politica. Nelle democrazie ordinarie è generalmente riconosciuta la necessità di tener conto dell’esperienza. Ma un tale riconoscimento è affidato a principi conservatori puri (l’età, la rappresentanza indiretta, la maggiore durata dei mandati, le designazioni per chiamata) affidati a Senati che nulla hanno di seriamente democratico. Lo Stato federale delle Comunità riconoscerà la necessità di taluni di tali mezzi, ma considera essenziale associare esperienza a valore. Se contenuta dalla considerazione dell’esperienza e illuminata dalla considerazione dei valori personali, la democrazia è il solo mezzo atto ad assicurare quella circolazione delle élite, quel ricambio equilibrato ed incessante che è condizione di libertà e vitalità di uno Stato.


La partecipazione politica dei lavoratori

Il marxismo e i movimenti sociali cristiani riconobbero l’incapacità intrinseca del sistema liberale-parlamentare a realizzare un ordinamento sociale giusto e umano, a eliminare cioè quelle forze incontrollabili che si oppongono all’elevamento morale e materiale delle classi inferiori.

Lo Stato federale delle Comunità, partendo dalle stesse premesse critiche del primo e dall’accettazione degli stessi valori spirituali dei secondi, propone riforme di natura istituzionale ed economica atte a garantire stabilmente una condizione della società più equa di quella che risulterebbe dal conflitto sinora esistente tra le opposte forze. La lotta sindacale quale si svolge fuori del quadro istituzionale attraverso scioperi, contratti collettivi o altri mezzi, può condurre, è vero, a una situazione in cui, dal punto di vista economico, le maggiori ingiustizie siano eliminate; ma la trasformazione sociale non può aver luogo, né mantenersi, senza la partecipazione diretta delle forze del lavoro al governo della Comunità.

In una società ordinata, ma fortemente evolutiva, non rimane aperta che la soluzione qui proposta: far partecipare al potere con una adeguatezza e una coerenza maggiore di quella che normalmente si sviluppa in un regime di democrazia pura, una libera rappresentanza dei lavoratori.

L’ordinamento della Comunità (dal quale deriverà l’intero edificio rappresentativo dello Stato federale) comprenderà pertanto un dispositivo di carattere costituzionale capace di esprimere le forze del lavoro, assegnando a queste, in modo esclusivo, la nomina dei due amministratori responsabili delle funzioni di maggior interesse diretto per i lavoratori. Poiché questi amministratori faranno parte di diritto del Consiglio esecutivo della Comunità e di organi politici superiori, essi stabiliranno nell’amministrazione generale della Comunità, dello Stato regionale e di quello federale, una componente politica importante, il cui risultato sarà di determinare ovunque una grande sensibilità e spirito di giustizia sociale e di opporsi al predominio diretto e indiretto del danaro e del potere. Anche in una società in cui larghi strati dell’economia sono dominio sociale, le possibilità di lesione dei diritti della Persona umana e di uso del potere in modo arbitrario o incomprensivo, sono evidenti.


L’umana cultura come elemento spirituale integrativo

La cultura, nel suo autentico significato di ricerca disinteressata di verità e di bellezza, sarà l’elemento caratteristico della nuova società e a tale fine le istituzioni sanzioneranno concretamente l’esigenza culturale. Si può manifestare una condizione della società formalmente libera, ma così interiormente povera, così culturalmente arretrata, così poco spiritualmente dinamica che tutti gli sforzi di elevamento urterebbero contro resistenze passive insormontabili. La cultura, accanto all’ideale democratico e alle forze del lavoro, costituirà un terzo fattore di equilibrio politico nel nuovo Stato, capace di determinare uno stato di cose generale sensibilissimo alle esigenze spirituali e a quelle aspirazioni superiori senza le quali la libertà stessa dell’uomo, che è affermazione di una intima vocazione, non potrebbe pienamente esprimersi.

La cultura acquisterà, come entità organizzata, un significato specifico di preparazione politica dottrinale e uno generale di conoscenza dei problemi superiori dell’umanità. L’opera di chi è chiamato a partecipare alla vita politica e amministrativa della Comunità, in virtù di un mandato culturale, sarà complessa e uscendo dall’ambito delle funzioni definite che gli verranno assegnate, sarà intesa a permeare di valori più completi ogni attività sezionale. Nell’ordinamento che verrà proposto, risulteranno evidenti le cautele affinché la cultura, nella sua manifestazione politica, non sia tradita, come fu nel passato, da atteggiamenti spirituali deformi, retrivi o servili.

Questi sono intimamente legati alla personalità morale dei suoi esponenti. Il giudizio democratico, sempre presente nella formazione del nuovo Stato, è l’unico mezzo consentito alla società per giudicare il valore morale di coloro ai quali vengono affidate responsabilità politiche. La Comunità è l’ambiente adatto alla formazione di un tale giudizio, perché nessuno vi può condurre vita corrotta, né operare con bassezza senza che la pubblica opinione venga, tosto o tardi, ad averne esattissima informazione, e non ci può essere nessuno che accompagnando a grande sapere magnanimità di sentimenti non venga debitamente apprezzato. Invece il livello delle conoscenze teoriche può soltanto essere accertato obiettivamente grazie a una procedura affidata alle tradizioni scientifiche delle università o di altri istituti scientifici superiori.

Il riconoscimento del fattore “cultura” nella struttura politica, della sua funzione complessa, integrativa, assumerà manifestazioni prudenti e molteplici (esperienza preliminare, successivi controlli democratici, speciali titoli di studio per l’esercizio di determinate funzioni politiche, ecc.). A misura che si svolgerà l’esame delle nuove strutture politiche, si rivelerà progressivamente la sua giusta posizione e i suoi limiti. Se la cultura costituisce, è vero, un ampliamento della capacità individuale, non può modificare l’intimo orientamento della Persona. Perciò essa sarà considerata un mezzo, importantissimo, d’espressione e non un fine esclusivo, il quale rimane sempre associato alla sfera etica.

Non si confonda la manifestazione scientifica e artistica, autonoma, libera, individuale, con le attività relative a quella particolare struttura organizzata della società che si chiama Stato, costituito per necessità di cose in funzioni politiche. Queste, poiché in definitiva hanno influenza diretta e indiretta sulle attività libere dell’uomo, debbono soggiacere a vincoli e accertamenti di cui le prime non necessitano affatto.

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