L'Eurostat, l'ufficio di statistica dell'Unione Europea, ha recentemente
pubblicato la terza edizione del volume “Culture statistics”, che offre
una panoramica dei principali aspetti socioeconomici connessi al
settore culturale europeo. Oltre a presentare un aggiornamento dei dati
relativi ai risultati economici e occupazionali raggiunti dal comparto
delle industrie culturali e creative, la pubblicazione dell'Eurostat
offre un approfondimento dei consumi culturali dei cittadini europei.
Confrontando le statistiche dell'Eurostat con altri studi e ricerche,
emerge l'importanza del capitale umano quale fattore in grado di
influenzare in maniera determinante la domanda e il consumo di cultura.
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All'inizio
dell'estate, in concomitanza con l'uscita in Italia del Rapporto
Symbola 2016 “Io sono Cultura”1, l'ufficio di statistica dell'Unione
Europea ha pubblicato la terza edizione del volume “Culture
statistics”2, che raccoglie una selezione di indicatori sull'andamento
del settore culturale a livello europeo. Oltre a presentare un
aggiornamento dei dati relativi ai risultati economici e occupazionali
raggiunti dal comparto delle industrie culturali e creative, la
pubblicazione dell'Eurostat offre una panoramica della partecipazione e
dei consumi culturali dei cittadini europei. In particolare, il capitolo
dedicato al coinvolgimento del pubblico in attività culturali fa
riferimento a un'indagine statistica condotta nel 2011 che ha coinvolto
un campione di cittadini europei con un'età compresa tra i 25 e i 64
anni3.
La partecipazione culturale in Europa
Con
l'intento di fornire un quadro sufficientemente rappresentativo delle
abitudini culturali degli europei, le rilevazioni dell'Eurostat si
concentrano su quattro principali tipologie di attività culturali: la
lettura di libri e giornali, la visione di film al cinema, la
partecipazione a spettacoli dal vivo, e la visita a musei e siti
culturali. Se si prende in considerazione il primo campo d'analisi, nel
2011 il Lussemburgo (82%) e la Germania (75%) risultano essere i due
Paesi europei con la più alta percentuale di popolazione che ha letto
almeno un libro nei 12 mesi precedenti. All'estremo opposto si trovano
Paesi come la Romania, il Portogallo, la Bulgaria e la Grecia dove la
maggioranza della popolazione dichiara di non aver letto nemmeno un
libro durante l'anno.
Interessante notare come tra i 19 Paesi
dell'UE, per cui i dati sono disponibili sia per il 2007 che per il
2011, l'Italia faccia registrare il più alto incremento del numero di
lettori, passando dal 47% del 2007 al 54% del 2011. Un dato che
rappresenta, tuttavia, una nota positiva solo parziale, se si prende
atto del fatto che l'Italia continua a essere un Paese di non lettori e a
occupare comunque una posizione non di rilievo tra i principali Stati
europei. A questo proposito può essere utile segnalare che la ripresa
registrata dall'Eurostat è stata in realtà solo temporanea, in quanto
dati recenti mostrano che nel nostro Paese nel 2015 meno di un italiano
su due, ossia il 42% delle persone di 6 anni e più, ha letto almeno un
libro per motivi non strettamente scolastici e professionali, con una
marcata disparità territoriale tra Nord e Sud dove la percentuale dei
lettori scende al 28,8%.4
Nello scenario europeo, la lettura di
giornali risulta essere un'attività culturale diffusa soprattutto in
Finlandia, Lussemburgo e Austria dove più del 75% della popolazione
dichiara di informarsi attraverso i giornali quasi tutti i giorni. Tra i
Paesi che presentano un numero di lettori di riviste e giornali
estremamente basso vi sono nuovamente la Romania e la Grecia, dove la
percentuale di coloro che leggono quotidianamente un giornale si attesta
interno al 30%. Maggiormente confortante in questo caso la situazione
dell'Italia in cui il 60% della popolazione legge i giornali con
frequenza quotidiana.
Tra le attività svolte durante il tempo
libero, andare al cinema registra un notevole seguito in Lussemburgo
(73%) e Regno Unito (65%), insieme a Finlandia, Austria, Germania,
Italia e Repubblica Ceca, dove più della metà della popolazione è andata
al cinema almeno una volta nel 2011. Confrontando i dati del 2007 con
quelli disponibili per il 2011, l'Eurostat evidenzia che è possibile
registrare un aumento del numero di persone che hanno visto un film al
cinema in 12 dei 17 Paesi per cui i dati erano disponibili per entrambi
gli anni. Tale incremento è stato particolarmente considerevole in
Lituania ed Estonia, mentre in Grecia il numero di utenti è sceso
drasticamente, passando dal 49% della popolazione nel 2007 al 42% nel
2011. Le rilevazioni dell'Eurostat indicano che per tutti i tipi di
attività culturali la partecipazione risulta essere più alta nella
fascia d'età compresa tra i 25 e i 34 anni. Analizzando i dati relativi
al consumo di cinema, l'ufficio statistico europeo ha trovato conferma
di ciò in tutti gli Stati Membri dell'Unione Europea.
Nel 2011,
in 10 Paesi europei5 più della metà della popolazione adulta ha
dichiarato di aver assistito almeno una volta a un'opera teatrale, a un
concerto, a un balletto oppure a uno spettacolo di danza nei 12 mesi
precedenti. Nella maggior parte degli Stati Membro vi è stato un aumento
della fruizione di spettacoli dal vivo nel periodo compreso tra il 2007
e il 2011: in particolare, l'Italia (+ 12 punti percentuali) e la
Slovacchia (+ 13 punti percentuali) hanno fatto registrare gli
incrementi maggiori. In termini di frequenza, Lussemburgo, Slovacchia,
Finlandia, Estonia, Repubblica Ceca e Portogallo sono le nazioni in cui
più del 10% della popolazione ha assistito per più di sei volte a uno
spettacolo dal vivo nei 12 mesi precedenti. Al contrario, Romania,
Bulgaria, Grecia e Polonia sono i Paesi in cui meno del 5% della
popolazione frequenta in maniera assidua teatri e concerti.
Le
statistiche dell'Eurostat relative alla partecipazione culturale,
collocano il Lussemburgo in posizione apicale anche per ciò che concerne
la visita a musei e siti culturali, con il 78% della popolazione che
svolge con una certa frequenza questo tipo di attività culturale.
Seguono Repubblica Ceca e Austria con il 60%, e Slovenia, Estonia,
Germania, Finlandia, Slovacchia e Lettonia con più del 50% della
popolazione che ha visitato un sito culturale nel corso del 2011.
Lussemburgo, Germania, Repubblica Ceca, Malta e Slovenia sono i Paesi in
cui più di una persona su dieci si è recata in un sito culturale almeno
sette volte in un anno.
Analizzando i dati elaborati
dall'ufficio di statistica dell'Unione Europea, sorprende l'assenza di
Paesi che gli studi internazionali ci hanno abituato a considerare come i
principali punti di riferimento nel campo delle industrie culturali e
creative. In realtà, le statistiche sulla partecipazione culturale
dell'Eurostat risentono della mancanza di dati disponibili – per il
periodo di rilevazione preso in esame - per Belgio, Danimarca, Irlanda,
Francia, Spagna, Croazia, Olanda, Svezia e Regno Unito, fornendo di
fatto una visione parziale della fruizione di cultura all'interno del
contesto europeo6.
Il livello di coinvolgimento nelle attività culturali
Una
fotografia d'insieme è contenuta, invece, nel rapporto intitolato
“Cultural access and participation”7, che raccoglie i risultati di
un'indagine voluta dalla Direzione Generale per l'Istruzione e la
Cultura della Commissione Europea con l'intento di valutare il grado di
coinvolgimento dei cittadini europei in un'ampia gamma di attività
culturali. Per facilitare la definizione dei livelli di partecipazione
culturale dei 27 Stati Membri dell'UE, lo studio ha elaborato un indice
di facile lettura basato sulla frequenza di partecipazione suddivisa in
quattro categorie: “molto alta”, “alta”, “media” e “bassa”. L'utilizzo
di tale indice ha posto in evidenza che la partecipazione culturale ha
subito una contrazione in tutti i Paesi europei, in cui i livelli di
coinvolgimento definiti “alti” e “molto alti” sono passati dal 21% al
18% nel periodo compreso tra il 2007 e il 2013. Al contempo il livello
“medio” di partecipazione è sceso di un punto percentuale, mentre la
frequenza considerata “bassa” è passata dal 30% al 34%.
Confrontando
l'indice di partecipazione culturale nei diversi Paesi dell'UE, lo
studio rileva che i Paesi dell'Europa del Nord mostrano i più alti
livelli di coinvolgimento in attività culturali. Se si sommano i
risultati ottenuti dalle categorie “alto” e “molto alto”, i punteggi
maggiori sono totalizzati da Svezia (43%), Danimarca (36%), Olanda
(34%), Estonia (30%), e Finlandia (29%) che presentano percentuali
superiori rispetto alla media europea pari al 18%. Anche la Francia e il
Regno Unito registrano una partecipazione “alta” e “molto alta”
considerevole, con una percentuale rispettivamente del 25% e del 26%. Al
contrario, solo l'8% degli intervistati in Svezia ha dichiarato un
livello “basso” di partecipazione culturale, rispetto al 63% di Grecia,
Portogallo, Romania, Ungheria e Cipro. Lo scarso coinvolgimento in
attività culturali evidenziato in questi Paesi, riflette secondo gli
autori dello studio gli effetti negativi prodotti dalla crisi economica
che si traducono principalmente nella mancanza di tempo e denaro da
dedicare alla fruizione di beni e servizi culturali.
Tra le
attività culturali preferite dai cittadini europei, l'indagine
dell'Eurobarometro indica che guardare la TV, ascoltare la radio e
leggere un libro sono le attività preferite dalla maggioranza della
popolazione, probabilmente perché sono poco costose e possono essere
fruite a casa. Il 72% degli intervistati ha risposto, infatti, di aver
visto un programma culturale in TV oppure di averlo ascoltato alla radio
almeno una volta nel corso dell'anno. Al contempo, il 68% del campione
ha letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti, e più della metà dei
cittadini europei ha visto almeno un film al cinema e ha visitato almeno
un monumento storico o un sito archeologico durante l'anno precedente.
Le attività culturali meno comuni risultano essere, invece, visitare
musei e gallerie d'arte (37%), assistere a concerti (35%), frequentare
biblioteche pubbliche (31%), andare a teatro (28%), e vedere balletti,
opere classiche o spettacoli di danza (18%).
Nei 27 Paesi europei
in cui è stata effettuata l'indagine, le persone intervistate indicano
nella mancanza di interesse e nella mancanza di tempo gli ostacoli
principali al consumo di cultura. In particolare, la mancanza di
interesse rappresenta la principale motivazione che spinge a non
assistere a concerti (29%), a non visitare musei e gallerie d'arte
(35%), a non andare a teatro (36%), a non frequentare le biblioteche
(43%), oppure a non partecipare a balletti, opere classiche e spettacoli
di danza (50%). La mancanza di tempo viene citata, invece, quale
principale impedimento per andare al cinema (30%), guardare o ascoltare
un programma culturale in TV o alla radio (31%), visitare un monumento
storico o un sito archeologico (37%), oppure leggere un libro (44%).
Anche il costo delle attività culturali risulta essere un ulteriore
ostacolo alla fruizione, e l'essere eccessivamente dispendioso è una
motivazione che induce a non andare, oppure ad andare meno, a teatro
(20%), al cinema (22%), oppure a un concerto (25%). In ogni caso, può
essere utile rimarcare che la motivazione economica non viene mai citata
dagli intervistati come l'ostacolo principale alla fruizione culturale,
qualunque sia l'attività culturale a cui si faccia riferimento.
Le determinanti comuni della partecipazione culturale
A
questo proposito, una recente ricerca condotta da Martin Falk e Tally
Katz-Gerro8 ha cercato di identificare alcune determinanti comuni capaci
di influenzare le abitudini culturali dei cittadini europei. Prendendo
in considerazione i dati di 350.000 persone di età compresa tra i 16 e i
44 anni, residenti in 24 Paesi dell'Unione Europea, i due ricercatori
hanno esaminato in che modo le caratteristiche demografiche e
socioeconomiche condizionano sia il numero di visite da effettuare che
la decisione di visitare o meno musei, gallerie d'arte, monumenti
storici e siti archeologici.
Dall'analisi dei dati raccolti, Falk
e Katz-Gerro mostrano che coloro che vivono in famiglie con un elevato
reddito pro-capite, le persone più istruite, coloro che occupano
posizioni lavorative di alto profilo, gli studenti, e gli adulti che
vivono in grandi agglomerati urbani fanno registrare sia una elevata
probabilità di visita che un più alto numero di visite. Al contrario, i
disoccupati, le persone con più di 65 anni, i disabili e i pensionati
sono meno propensi a partecipare ad attività culturali oppure ne
fruiscono con una frequenza minore. L'analisi degli effetti marginali di
tali variabili ha portato i due autori a concludere che la probabilità
di essere coinvolto in attività culturali aumenta all'aumentare del
reddito famigliare pro-capite e del livello di istruzione conseguito,
mentre gli effetti marginali legati al genere e all'età risultano essere
molto meno rilevanti. Ne consegue che la partecipazione culturale
dipende molto di più da quello che Falk e Katz-Gerro definiscono lo
“status raggiunto” (“attained status”), piuttosto che dalle
caratteristiche intrinseche di una persona (“ascribed characteristics”),
come l'età e il genere.
Questo risultato svela due importanti
conseguenze. In primo luogo, la partecipazione culturale risulta essere
determinata in maniera rilevante da fattori quali l'istruzione, il
reddito e la posizione lavorativa. Tale effetto sembra essere diffuso in
tutti i Paesi europei e come i due autori suggeriscono, ciò potrebbe
significare che le politiche culturali progettate in questi anni per
rendere i siti culturali accessibili a un pubblico più ampio, non siano
state capaci di centrare l'obiettivo. In secondo luogo, la ricerca
evidenzia che il grado di istruzione esercita un'influenza maggiore
rispetto al reddito famigliare nell'aumentare sia la probabilità che la
frequenza delle attività culturali a cui si decide di partecipare.
Quest'ultimo dato trova conferma anche nelle statistiche culturali
dell'Eurostat, da cui si evince che per tutte le tipologie di attività
culturali analizzate, le persone con un'istruzione universitaria sono
quelle che partecipano di più, mentre il coinvolgimento in attività
culturali è sovente molto raro tra coloro che presentano un livello
scolastico di base. Non ci rende orgogliosi ricordare a questo proposito
che nel 2015 l'Italia si è posizionata all'ultimo posto tra i Paesi
OCSE per numero di laureati – meno del 20% - nonostante le aspettative
per il 2020 auspicano che almeno il 40% della popolazione giovanile, con
un'età compresa tra i 25 e i 34 anni, sia in possesso di una laurea.
Data
la maggiore rilevanza dell'istruzione rispetto al reddito, lo studio di
Falk e Katz-Gerro indica che il capitale umano è più importante del
capitale economico quale variabile in grado di esercitare un'azione
determinante sulla capacità di accesso alla cultura. L'aver identificato
una regolarità cross-nazionale nelle determinanti della partecipazione
culturale, in grado di informare le teorie del capitale e della
stratificazione culturale, può essere letto come un invito a
intraprendere una riflessione seria e coerente sul ruolo dell'istruzione
quale nuova leva su cui fare perno per porre al centro delle politiche
culturali non più l'economia ma la società. Considerati in termini di
rimozione di ostacoli e aumento delle opportunità, la partecipazione
culturale e l'accesso alla cultura dovrebbero essere interpretati come
processi sociali e dinamici - e non come una concessione straordinaria
da fare una tantum – in virtù della loro capacità di contribuire allo
sviluppo culturale e all'inclusione sociale. In un periodo storico in
cui la struttura umana e sociale dei luoghi sta ritornando ad essere il
punto di partenza e di arrivo dell'economia locale, o la società civile
riuscirà a fare pressione perché si crei una progettualità politica che
sappia affrontare alla radice questo tipo di tematiche, sviluppando
inclusione a partire dai sistemi educativi, oppure ad essere in pericolo
non sarà soltanto la nostra capacità creativa ma anche la nostra
capacità di essere cittadini consapevoli e informati.