Abbiamo tecnologia, conoscenze e risorse, mancano urgenza e volontà politica. (Scopri di più su:
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Cesvi e Alliance 2015, in collaborazione con Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), promuovono un incontro , hanno promosso oggi un incontro per presentare l’edizione italiana dell’
Indice Globale della Fame 2016 (Global hunger index – Ghi) dell’International food policy research institute (Ifpri), uno dei principali rapporti internazionali e strumento di misurazione multidimensionale della fame nel mondo.
L’Indice Globale della Fame, giunto al suo 11esimo anno di pubblicazione, registra lo stato della fame in 118 Paesi e si inserisce nel quadro dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Onu, che propone una visione olistica e trasformativa di sviluppo chiedendo una collaborazione tra tutti gli attori della società, dai governi alle Nazioni Unite, dalle imprese ai singoli cittadini. L’Ifpri evidenzia che «Il messaggio di quest’anno, Obiettivo Fame Zero, basato sull’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile n. 2, è un’esortazione a porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile».
Per riflettere la natura multidimensionale della fame, il Ghi combina 4 indicatori Denutrizione: la percentuale di persone denutrite come percentuale della popolazione (che riflette la quota di popolazione il cui apporto calorico è insufficiente; Deperimento dei bambini la percentuale di bambini sotto i 5 anni che soffrono di deperimento (vale a dire, basso peso per la loro altezza, che mostra una malnutrizione acuta); Arresto della crescita dei bambini: la percentuale di bambini sotto i 5 anni che soffrono di arresto della crescita (cioè, altezza ridotta per la loro età, che mostra una malnutrizione cronica); Mortalità infantile: il tasso di mortalità dei bambini sotto i 5 anni (in parte riflette la sinergia fatale della nutrizione inadeguata e di ambienti insalubri).
Le notizie non sono buone: secondo l’Indice Globale della Fame 2016, «La comunità globale è ben lontana dal raggiungimento dell’Obiettivo “Fame Zero” entro il 2030. Infatti, se il livello di fame dovesse diminuire allo stesso tasso registrato dal 1992 ad oggi, nel 2030 più di 45 Paesi – tra cui India, Pakistan, Haiti, Yemen, e Afghanistan – avrebbero ancora un livello di fame tra il “moderato” e l'”allarmante”. Il numero di persone che soffrono la fame nel mondo resta inaccettabilmente alto. I denutriti cronici sono circa 795 milioni, un bambino su quattro è affetto da arresto della crescita e l’8% da deperimento».
Come ha detto il direttore generale dell’Ifpri, Shenggen Fan, «In poche parole, i paesi devono accelerare il ritmo con cui si stanno riducendo la fame o non si riuscirà a raggiungere il secondo Obiettivo dello sviluppo sostenibile. Porre fine alla fame nel mondo è certamente possibile, ma sta a tutti noi che abbiamo fissato le giuste priorità per garantire che i governi, il settore privato e la società civile dedicare il tempo e le risorse necessarie a centrare questo importante obiettivo».
Il Cesvi sottolinea che «Il rapporto di quest’anno evidenzia anche alcuni segnali positivi nella lotta alla fame globale: il livello di fame nei Paesi in via di sviluppo è diminuito del 29% dal 2000 ad oggi. Inoltre, per il secondo anno consecutivo, nessun Paese in via di sviluppo, tra quelli di cui si dispongono i dati, è risultato nella categoria “estremamente allarmante”».
Ma per il Ghi I livelli della fame in 50 dei 118 Paesi analizzati rimangono “gravi” in 43 Paesi o “allarmanti” in 7 Paesi. L’area del mondo con il livello di fame più alto è l’Africa sub-sahariana, seguita da vicino dall’Asia meridionale. I Paesi dove i livelli di fame sono più alti sono: Repubblica Centrafricana, Ciad, Zambia, Haiti, Madagascar, Yemen, Sierra Leone, Afghanistan, Timor-Est e Niger. Ma il Cesvi avverte che «Per 13 Paesi non è stato possibile raccogliere dati completi per calcolare il punteggio di GhiI. Dieci di questi, tra i quali Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Libia, Sud Sudan e Siria, hanno indicatori come arresto della crescita, deperimento e mortalità infantili che lasciano supporre alti livelli di fame e suscitano notevole preoccupazione».
Alla base delle raccomandazioni strategiche contenute nell’Indice Globale della Fame 2016 c’è «la necessità di trasformare l’Obiettivo Fame Zero in un impegno esteso a tutte le istituzioni dando priorità, a livello nazionale e internazionale, alla coerenza delle politiche per uno sviluppo sostenibile, per rendere effettivo l’impatto sulla riduzione della povertà e della malnutrizione».
Il rapporto è stato presentato da Daniela Bernacchi, amministratore delegato Cesvi, e Loris Palentini, capomissione Cesvi in Zimbabwe, che hanno illustrato i dati dell’Indice Globale della Fame 2016 e il caso studio sullo Zimbabwe, il Paese africano nel quale Cesvi lavora da anni e che e al 99° posto nella classifica del Ghi2016. Al Cesbvi spiegano che lo Zimbabwe sotto il giogo della gerontocrazia autoritaria di Robert Mugbe «E’, uno dei Paesi dell’Africa a sud del Sahara maggiormente colpiti da El Niño con oltre 2,8 milioni di persone affette da insicurezza alimentare». Il caso studio del progetto “Shashe Citrus Orchard” descrive il lavoro di Cesvi che dal 2011 gestisce insieme alla comunità di Shashe, località al confine con il Sudafrica e il Botswana, un aranceto di oltre 90 ettari: il progetto è riuscito a trasformare una zona desertica in un’opportunità economica per la popolazione locale.
Dominic MacSorley, direttore di Concern Worldwide conclude: «Mentre il mondo ha fatto progressi nella lotta contro la fame ci sono ancora 795 milioni di persone condannate a far fronte fame ogni giorno della loro vita. Questo non è solo inaccettabile, è immorale e vergognoso. Risorse come il Global hunger index ci forniscono una visione critica nella portata della crisi fame nel mondo. L’Agenda 2030 ci fornisce l’ambizione e l’impegno per arrivare alla fame zero. Abbiamo la tecnologia, le conoscenze e le risorse per realizzare questa visione. Ciò che manca è sia l’urgenza che la volontà politica di trasformare gli impegni in azione».
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