Quasi una donna su due in Italia nel 2015 pur essendo in età da lavoro era fuori dal mercato (45,9%) con un tasso di inattività di 20 punti superiore a quello degli uomini (25,9%). Il dato è contenuto in uno studio di Eurostat sulle persone al di fuori del mercato del lavoro. (Leggi di più su:
http://www.acli.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=11126:eurostat-mercato-del-lavoro-meta-delle-donne-italiane-sono-fuori&Itemid=791#ixzz4LioUV2c8)
Il rapporto si concentra in particolare sulla fascia di età tra i 25 e i 54 anni, ovvero il periodo in cui si dovrebbe essere più “attivi” sul mercato. E’ proprio in questa fascia che si rafforzano le differenze di genere sull'inattività con appena l'8,6% di uomini inattivi (come media Ue) a fronte del 20,6% delle donne.
In Italia la percentuale delle donne inattive tra i 25 e i 54 anni è del 34,1% a fronte dell'11,4% in Slovenia e dell'11,6% in Svezia. Se poi si guarda al dato regionale si vede che le donne in età da lavoro inattive al Sud nel 2015 erano il 60,7% a fronte del 37,3% al Nord.
Così l’
Ansa il 18 settembre 2016 pubblica nel suo sito i principali dati, riguardanti in particolare il nostro Paese, contenuti nel rapporto Eurostat
“People outside the labour market”.
Sull'Huffington Post, la notizia viene pubblicata con il titolo
“Eurostat, le donne Italiane tra le più inattive in Europa (e non solo per i figli)”.
Un titolo analogo viene proposto da Il Fatto quotidiano:
“Una donna italiana su due fuori dal mercato. Ma l’inattività non dipende dagli impegni familiari”. Entrambe le testate sottolineano la poca incidenza dei figli nella condizione di inattività del campione.
Solo un piccolo trafiletto dedica invece al Rapporto il quotidiano La Stampa, con il titolo “Sono senza lavoro metà delle italiane”, nell’edizione del 19 settembre.
“I dati riportati nel Rapporto sono inquietanti”, ha affermato in proposito Agnese Ranghelli, responsabile nazionale del Coordinamento Donne Acli. “Le donne continuano a essere penalizzate. L’accresciuta presenza femminile nelle Istituzioni e perfino nel Governo non ha favorito reali politiche a favore delle donne.
Si chiede loro di fare più figli - anche con campagne come l’ultima contestatissima che ha lanciato il Fertility day - senza con ciò tutelare veramente la maternità, e dimenticando che la maggior parte delle giovani ha un lavoro precario o addirittura in nero.
Oggi siamo al paradosso che occuparci del “tetto di cristallo” diventa un lusso, costrette come siamo ad arroccarci in difesa dell’occupazione tout court.
È chiaro che il dato di partecipazione delle donne al mercato del lavoro non dipende solo dalla dinamica classica della domanda/offerta e non è tutto giocato all’interno dello stesso mercato. Altri elementi entrano in gioco, sui quali da tempo ci stiamo battendo, anche all’interno delle organizzazioni di cui facciamo parte.
La conciliazione dei tempi – che poi è un elemento importante della qualità della vita di tutti, donne e uomini, dentro e fuori il mercato del lavoro – è il primo fra questi. Al suo interno, c’è anche il grande tema del coordinamento dei servizi pubblici territoriali, rispetto ai quali esistono molte buone pratiche, rimaste purtroppo isolate o lasciate alla buona volontà di singole istituzioni locali.
Come Coordinamento Donne delle Acli ci sentiamo impegnate, insieme a tutta l’associazione, su questo versante, che chiama a responsabilità e partecipazione le donne e gli uomini per realizzare nel concreto il bene di una comunità. Ci sentiamo allo stesso modo impegnate a studiare e proporre possibili iniziative a contrasto del crescente e inarrestabile scoraggiamento femminile rispetto alla partecipazione al mercato del lavoro. A questi due prioritari versanti dedicheremo l’attività del Coordinamento, sia a livello nazionale che territoriale, chiedendo a tutto il sistema di aiutarci in questa sfida”.