I crimini ambientali alla sbarra all'Aia. Perseguibili come i crimini di guerra. La distruzione dell’ambiente, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali e l’esproprio forzato delle terre (land grabbing) potranno essere perseguiti come crimini dalla Corte Penale Internazionale (
International Criminal Court, ICC), che finora ha agito come tribunale per crimini internazionali come genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra in base allo Statuto di Roma del 1998, entrato in vigore nel 2002. (Scopri di più su:
http://it.gariwo.net/persecuzioni/diritti-umani-e-crimini-contro-l-umanita/i-crimini-ambientali-alla-sbarra-all-aia-15526.html)
L’ampliamento del campo di indagine da parte della Corte, con sede all'Aja era stato sollecitato da attivisti e organizzazioni internazionali, che si sono mobilitati in difesa dei diritti delle popolazioni a non essere cacciate dai propri territori su pressione delle multinazionali o di stati esteri. L’iniziativa della Corte Penale Internazionale, resa nota dal Procuratore dell’ICC Fatou Bensouda nel
documento che definisce i criteri per la selezione dei casi e l'assegnazione delle priorità, potrebbe rivelarsi determinante nei casi in cui le vittime di questo tipo di crimini non riescono ad ottenere giustizia dai tribunali nazionali.
Sotto esame da parte del Procuratore c’è già la denuncia presentata nel 2014 da avvocati attivisti contro imprenditori ed esponenti del governo cambogiano accusati di accaparramento illegali di terre. Accusa che il governo della Cambogia ha respinto.
La difesa dell’ambiente e dei diritti delle popolazioni indigene è già costata la vita a migliaia di attivisti secondo i dati di
Global Witness (ONG internazionale impegnata dal 1993 a fare luce sui conflitti per il possesso delle risorse naturali e sulla corruzione e le violazioni dei diritti umani e i danni all’ambiente conseguenti), che nel 2015 hanno registrato un'impennata con più di tre attivisti uccisi ogni settimana perché difendevano la terra, le foreste o i fiumi dalle distruzioni provocate da industrie, compagnie minerarie, dighe idroelettriche o imprese agricole.
“L'ICC si sta adeguando alle nuove dinamiche dei conflitti. Ciò significa che può cominciare a chiamare i dirigenti delle imprese a rispondere dell’accaparramento di terre su grande scala e degli spostamenti forzati di masse di persone avvenuti in tempo di pace”, ha detto Alice Harrison di Global Witness a
Thomson Reuters Foundation, la rete dell’agenzia Thomson Reuters dedicata alle questioni umanitarie, che diffonde notizie sui diritti delle donne, i traffici illegali e i mutamenti climatici.
Uno degli effetti della deforestazione di grandi aree conseguente al land grabbing è il cambiamento del clima, che sta creando drammatici problemi in molte aree del mondo, costringendo parte degli abitanti a migrare e a diventare "rifugiati climatici". Una questione che potrebbe arrivare all'attenzione dell'ICC.
Nel rapporto 2015,
“On Dangerous Ground”, Global Witness ha documentato 185 morti accertate in tutto il mondo, di gran lunga il peggior bilancio delle vittime finora registrato e in aumento del 59% rispetto al 2014. Considerati i pesanti limiti nell’accesso alle informazioni i numeri reali sono anche più alti, secondo la ONG. I paesi più pericolosi, per chi protegge la terra e l’ambiente, sono il Brasile (50 uccisioni) e le Filippine (33) - numeri record in entrambi i casi - seguiti da Colombia (26), Perù (12), Nicaragua (12) e Repubblica Democratica del Congo (11). I settori peggiori in termini di numero di morti sono quello minerario (42), l’agroindustria (20), il disboscamento (15) e la produzione di energia idroelettrica.
Tra le lotte in corso sul fronte della tutela dell'ambiente c'è quella degli abitanti della provincia di Artvin, nel nord-est della Turchia nella regione del Mar Nero, che da anni si battono per evitare la realizzazione di miniere di oro e rame sulla collina di Cerattepe, famosa per la straordinaria biodiversità e bellezza del paesaggio e importante come fonte di approvvigionamento dell'acqua per la città. Una vertenza che con 750 querelanti e 60 avvocati coinvolti si posiziona tra le più importanti cause legali su temi ambientali non solo in Turchia ma a livello mondiale.