Filiera Sporca è il titolo di una campagna promossa dalle associazioni Terra! Onlus, daSud e terrelibere.org che ha ricostruito il percorso che la frutta italiana compie per arrivare dai campi agli scaffali dei supermercati. (Scopri di più su: http://www.labsus.org/2016/09/filiera-sporca/)
Se l’attenzione dell’opinione pubblica è stata più volte attirata sul fenomeno del caporalato, questo costituisce solo un anello di una catena ben più articolata. Come emerge dal Secondo Rapporto 2016, presentato nel corso dell’Estate, la filiera del settore agroalimentare è composta da molti intermediari e si articola in diversi livelli: migranti, braccianti italiani sottopagati, manodopera minorile sono coinvolti ai livelli inferiori della filiera sotto il controllo di intermediari che si muovono in una zona grigia, dove i controlli sono scarsi e gli abusi quotidiani.


La filiera sporca

Tra le tante zone d’ombra, il Rapporto denuncia come i richiedenti asilo del Cara di Mineo – che con circa quattromila ospiti, è uno dei centri per rifugiati più grandi d’Europa – ogni giorno si rechino nei campi a raccogliere le arance.

L’arrivo massiccio di agrumi a basso costo dai paesi del Nord Africa a seguito della stipula di accordi di libero scambio con questi paesi, ha messo in crisi il settore, costringendo gli imprenditori a vendere il prodotto italiano alle industrie della trasformazione, con ricavi inferiori al previsto.

In questi casi, l’unico modo per difendersi è stato individuato nella riduzione dei costi della manodopera attraverso pratiche “lavoro grigio”, primo fra tutti il sistema dei voucher, utilizzati per retribuire legalmente solo alcune ore e il resto in nero.


Le etichettature trasparenti

Non mancano le iniziative che sono state messe in atto da supermercati e multinazionali per rendere più trasparente la filiera. Un passaggio fondamentale sono le etichettature trasparenti, in grado di mostrare per intero a chi compra, la fotografia del percorso attraversato dai campi alla tavola. Pur tra mille difficoltà burocratiche e resistenze da parte della grande distribuzione non mancano le buone pratiche. Alce Nero ha adottato l’etichetta narrante, inventata da Slow Food per descrivere i presidi di cibo genuino legato al territorio; nelle etichette dei prodotti AltroMercato, vengono indicati la modalità di coltivazione, e le caratteristiche della varietà per gli ingredienti principali, il nome dei singoli produttori nel caso di prodotti che non contengano molti ingredienti. Nella grande distribuzione Coop con la campagna “Buoni e giusti” ha cercato di porsi in linea con queste esperienze. Il fenomeno necessita però di interventi normativi più rigorosi: le aziende si devono impegnare a rendere pubblica la lista dei fornitori per permettere ai consumatori di risalire ai produttori.

A questo proposito, non sono mancate le iniziative parlamentari, anche sotto la pressione della campagna FilieraSporca, prima fra tutte la riforma del codice antimafia, attualmente al Senato, che prevede, tra le altre misure, la confisca e la responsabilità in solido per le aziende che sfruttano i lavoratori nei campi tramite il caporalato.

Migrazioni, crisi economica, mercato del lavoro sono temi che si incrociano nel cibo che arriva sulle nostre tavole: sempre più la qualità di ciò che mangiamo passa anche attraverso il modo in cui è stato prodotto.

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