Scempio ecologico, ecomafia, caporalato, poteri occulti, corruzione. I poteri sporchi di oggi venivano denunciati il 14 luglio 1994 nell'intervento di Luigi Ciotti in occasione della presentazione dell'associazione nazionale antimafia Libera tenutasi a Roma. Democrazia e solidarietà: le proposte di Libera, un documento di denuncia ma anche di proposta scritto 22 anni fa. Un documento capace di trasmettere fino in fondo lo spirito che ha animato Libera sin dalla nascita. (Scopri di più su: http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/12922)

L'incontro di oggi viene da lontano: dall'impegno, dalla sensibilità, dal lavoro ed anche dal sacrificio di associazioni, gruppi di volontariato, magistrati, realtà di base, Chiese e parrocchie, lavoratori, associazioni di imprenditori, forze di polizia, alcuni uomini politici veri e attenti, giornalisti, realtà giovanili. Un impegno, fatto di piccole e grandi cose, teso a costruire democrazia e solidarietà, cioè proprio quei valori che le mafie vogliono negare.

Democrazia e solidarietà non sono parole, belle ma astratte: sono due compiti che, con fatica e grande determinazione, ogni giorno ognuno di noi, partendo dal proprio specifico, cerca di costruire. Ed è proprio a partire da questa pratica che abbiamo imparato quanto centrale sia la legalità per realizzare quei valori. Senza legalità non c'è democrazia. Senza legalità la solidarietà rischia di ridursi a carità, a fatto di "buon cuore", a pur preziosa generosità, ovvero a sentimenti, più che a pratiche capaci di incidere sulla realtà per trasformarla, capaci di costruire giustizia. E se non c'è giustizia non c'è democrazia. La legalità è dunque una precondizione perché i valori si inverino nella vita concreta della gente, di ognuno di noi, della società. La legalità è, infatti la prima barriera contro la sopraffazione, contro l'arroganza dei forti. E' lo strumento che tutela i deboli, le vittime della prepotenza e della violenza. Educare alla legalità vuol dire educare alla democrazia e alla solidarietà, dunque alla giustizia. Perché non si tratta solo di rispetto formale delle norme, di un semplice e passivo adempimento delle regole formali della convivenza civile. E' questo ma anche qualcosa di più: è intima coscienza che legalità è partecipazione dei cittadini alla vita sociale, è rispetto reciproco e collaborazione tra istituzione e cittadini, è condivisione delle regole e del loro fondamento. La legalità, quindi, è cultura della partecipazione e senso dello Stato. Le storie che ognuno di noi si porta dietro sono diverse. La stessa coscienza e volontà di opporsi alla mafia non è semplice fatto "ideologico", astratta "scelta di campo". Nasce dall'esperienza concreta e diretta, dalla vita sociale, dai territori che abitiamo.

C'è chi ha imparato a riconoscere la pericolosità della mafia:
  • a partire dalle situazioni di emarginazione di tanti giovani;
  • chi dallo scempio ecologico che la logica affaristica e violenta dell'accumulazione criminale ha fatto dei territori e delle città;
  • chi dalla reazione alle piccole grandi ingiustizie quotidiane, dai soprusi patiti, dovei i privilegi, le clientele, l'inefficienza dei servizi pubblici, la mancanza di riconoscimento ai diritti umani e indispensabili, hanno sostituito uno Stato assente o distratto, che ha lasciato ad altri il potere di governare;
  • chi dal rifiuto della violenza diffusa, dalla militarizzazione dei territori, dalla forza delle armi vincente rispetto alla forza della ragione e del confronto nonviolento;
  • chi dall'impossibilità di lavorare senza dover piegare la testa ai "caporali", agli estorsori, alle richieste di tangenti, alla concorrenza sleale negli appalti, alle ditte che, foraggiate dal riciclaggio, sovvertivano le regole del mercato e del credito.
Tutti, insomma, abbiamo imparato che se non combattiamo e sconfiggiamo le mafie, i poteri occulti e corrotti è la nostra vita quotidiana, il nostro lavoro, la vivibilità delle nostre città, il futuro dei nostri giovani, la qualità delle relazioni sociali ad essere messa in discussione e disgregata. Questa coscienza è alla base del nostro essere qui. Ma, assieme, c'è anche una ulteriore preoccupazione per l'oggi, per un indebitamento della tensione che comincia ad emergere. Il rischio verso cui, poco tempo fa, ci aveva messo in guardia Giancarlo Caselli circa una conferma della regola dei "due anni", sembra preoccupantemente avverarsi. Caselli diceva che l'impegno e la decisione delle istituzioni e dello Stato nei confronti della mafia, ciclicamente, mediamente dopo due anni, tende a scemare e ad azzerare i risultati raggiunti. Dopo i due anni scorsi segnati da grande mobilitazione della società civile e da una grande efficacia dell'azione repressiva, ora sembra che si stia tornando indietro. Se questo è vero, se sono messi in discussione i risultati raggiunti, se la mafia recupera terreno e potere e il governo è in altre faccende affaccendato, questo non può scoraggiarci ma convincerci della necessità di una maggiore responsabilità e assunzione di impegno da parte della società civile. Non è solo una motivazione morale che ci ha raccolto quest'oggi. Noi abbiamo un ruolo sociale e politico, che sempre più sta diventando nevralgico e sempre di più dobbiamo imparare a riconoscere ed esercitare. Un ruolo che va al di là della pur preziosa testimonianza e che ci chiama a far pesare la nostra specificità.

Un ruolo sociale: perché se l'azione giudiziaria e repressiva deve ristabilire la sovranità della legge, il diritto, quest'ultimo, per essere efficace, deve essere accompagnato da tante altre azioni di giustizia sociale (sul fronte dei servizi, della sanità, del lavoro, della scuola, dell'informazione). Senza questo intreccio tra affermazioni del diritto e costruzione di giustizia sociale non si incide sulle cause e sui meccanismi che stanno a monte della scelta criminale e che creano condizioni di sua riproduzione e perpetuazione. Senza queste azioni non cambia la realtà, non cresce la mentalità e la coscienza della gente, non si rafforza la speranza, non si crede nello Stato, non ci si riconosce pienamente cittadini, chiamati a diritti e doveri, portatori di bisogni e di domande.

Un ruolo politico: perché, con la nostra specificità, noi rappresentiamo i bisogni di tanta gente che "non conta", che non trova canali per dire la propria fatica, le proprie esigenze, per affermare i propri diritti: gente che non è ascoltata, ma "celebrata" e "usata". La nostra politica è fatta delle tante azioni quotidiane a contatto con la gente, dall'accompagnamento sui problemi concreti ma anche dalla capacità di renderli visibili, di farli pesare nelle scelte più generali. Una politica che sa essere vicina ad agli altri soggetti e competenze, in particolare alla magistratura che non deve sentirsi isolata. Proprio la solidarietà concreta che la gente, le associazioni, stanno dimostrando in questi giorni a quei magistrati che hanno faticosamente costruito le inchieste su Tangentopoli e che sono indeboliti nella loro azione dal decreto governativo sulla custodia cautelare, è una concreta esemplificazione di quanto sia possibile e necessario per noi avere un ruolo politico. Ma la nostra deve essere una politica capace di denuncia ma anche di proposta. E' proprio per questo che siamo qui oggi: per costruire, assieme.

Un ruolo morale: perché è importante anche testimoniare, in modo vero, non formale che non vogliamo stare alla finestra; testimoniare l'impegno e la coerenza e la necessità di uscire dal recinto, dal parlarci addosso. Questa voglia di intrecciare le nostre tensioni e disponibilità con quelle di altri, di realtà, competenze ed esperienze diverse è forse il senso più alto della proposta dell'Associazione Nazionale Antimafia. Una proposta che vuole unire, non dividere, costruire non polemizzare. La necessità di contrasto del fenomeno mafioso travalica gli schieramenti, le differenze politiche ed ideologiche, la divisione tra maggioranza ed opposizione. Questa convinzione è un fondamento irrinunciabile del nostro lavoro, ma ciò non può significare una rinuncia alla chiarezza e ad un ruolo di sollecitazione, di confronto costruttivo, se occorre di denuncia, ferma e coraggiosa. E' necessario unire nella chiarezza dei ruoli, senza sovrapposizioni e ambiguità. Ognuno deve fare la propria parte, e noi siamo qui oggi anche per interrogarci e confrontarci ulteriormente sulla nostra parte, sui compiti che ci competono e che dobbiamo assumerci in fondo. Compiti che dobbiamo delineare nel concreto, sul piano dei principi e su quello delle priorità. Una prima proposta è senz'altro quella di lavorare a costruire una rete di servizio e sostegno alle tante piccole e grandi realtà del sociale, delle professioni, dei cittadini organizzati ed impegnati. Una proposta per "federare" le espressioni del sociale, capace di dare dignità e visibilità al patrimonio civile e culturale che in esso si è espresso con ricchezza. Ma deve essere chiaro che questa non è una proposta di costruire un ennesimo apparato, una scatola vuota, un'operazione di immagine, bensì di essere effettivo servizio.

Adempiere ai ruoli precedentemente descritti significa essere protagonisti di un impegno, in un quadro di grande chiarezza. Le differenze di ruoli, di prerogative, di collocazione sociale e politica ed anche di letture e proposte devono essere viste come una ricchezza, come un patrimonio cui attingere, non come un limite. Purché, beninteso, il confronto alla fine non si traduca in immobilismo ma produca iniziativa, risposte, provvedimenti legislativi, efficienza operativa, capacità organizzativa, in un quadro di unitarietà dei fini. Questo significa servizio alla gente, questo significa unire nel rispetto delle differenze. E' attraverso questa chiarezza e decisione che si costruisce la scelta di campo e non sterile schieramento. Una scelta di campo che signfica speranza, cioè voglia e possibilità di costruire un futuro diverso, senza le mafie, senza violenza per una società giusta in cui ognuno possa riconoscersi. In questo impegno che ci assumiamo oggi, questa nova realtà di cui stiamo cercando di gettare le basi non può che nascere dicendo un grosso "grazie" ai tanti, troppi, che hanno testimoniato con il sacrificio della loro vita quegli stessi principi che ci hanno raccolto qui oggi. Un "grazie" anche a coloro che hanno contribuito a far nascere una diversa e più alta coscienza civile. Grazie a tutti voi che siete qui oggi per lavorare affinché al dovere della memoria si unisca quello di costruire un futuro migliore che non abbia bisogno di eroi.
  • Intervento di don Luigi Ciotti in occasione della presentazione dell'Associazione Nazionale Antimafia (Roma, 14 luglio 1994). Scarica l'intervento (1.72 MB)

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