Era il 1965 quando a Teheran, in seno al Congresso mondiale dei Ministri dell’Istruzione, venne istituita con il patrocinio dell’UNESCO la Giornata Mondiale sull’Alfabetizzazione – sul calendario l’8 settembre, e venne varata la Raccomandazione di Theran, un documento di formidabile potenza valoriale che guardava al processo di formazione ed istruzione di adulti e bambini con rinnovato spirito, aprendo le porte ad un umanesimo illuminato e libero. Fu in questa sede che si sviluppò una sensibilità comune sul tema dell’alfabetizzazione nel mondo ed una convergenza di intenti sull’opportunità di promuovere iniziative che permettessero ad ogni individuo di raggiungere un livello di consapevolezza e di formazione tale da essere in grado di “esprimersi, comunicare, informarsi”. (Scopri di più su: http://www.mifacciodicultura.it/2016/09/08/la-giornata-mondiale-sullalfabetizzazione-leggere-il-passato-scrivere-il-futuro/)
Per la prima volta il problema non fu affrontato pensando solo ai bambini e alla necessità di garantire loro un’educazione permanente, globale e sostenibile nel tempo, ma si cominciò a parlare anche di analfabetismo funzionale degli adulti, inteso come barriera alla piena integrazione degli uomini e delle donne nella collettività e che richiedeva, quindi, un piano di formazione dedicato che facesse leva sui “bisogni economici e sociali” e garantisse a ciascun adulto una adeguata preparazione per affrontare il proprio “ruolo civile, economico e politico nella società”.

Oggi è l’8 settembre 2016, sono passati più di cinquant’anni dalla Dichiarazione di intenti contenuta nella Raccomandazione di Theran, e se ancora festeggiamo la Giornata Mondiale dell’Alfabetizzazione è per ricordare quanto è stato fatto per portare in giro per il mondo il seme della libertà, della consapevolezza e della coscienza critica, ma soprattutto quanto ancora resta da fare, in special modo nei Paesi minati dall’insidia della povertà e della guerra. Libertà, consapevolezza e coscienza critica. Sì, perché questo significa alfabetizzazione – non solo saper leggere e scrivere o acquisire nozioni elementari di storia, geografia e matematica, ma anche comprendere meglio il mondo e quello che accade attorno a noi, essere in grado di fare scelte consapevoli, creare una cittadinanza attiva, fatta di uomini e donne preparati e partecipi della vita politica, economica e sociale.

Significa, in poche parole, essere uomini liberi.
  • Reading the past, writing the future.
Con questo auspicio l’UNESCO si prepara a guidare la Global Conference on Literacy che si terrà a Parigi nelle giornate dell’8 e 9 settembre 2016 e che vuole essere proprio ispirata all’idea di questo ponte immaginario tra l’alfabetizzazione di ieri e quella di domani. Un ponte che ancora oggi dobbiamo continuare a lastricare di azioni, iniziative e aiuti concreti se vogliamo davvero abbracciare una visione moderna dell’Alfabetizzazione nel mondo, che ne recuperi il valore nella sua prospettiva più nobile, ovvero come fattore di sviluppo e di crescita culturale, umana e sociale.

ALFABET_3La Conferenza di quest’anno sarà anche la prima occasione per condividere le politiche e le buone pratiche da implementare sul campo in linea con le indicazioni contenute nell’Agenda di Sviluppo Sostenibile (un documento messo a punto nel 2015 sulla base della Incheon Declaration adottata nell’ambito del World Education Forum – WEF) e che prevede il raggiungimento entro il 2030 di un livello adeguato di alfabetizzazione in tutta la popolazione giovanile e in gran parte della popolazione adulta.

Ma oggi a che punto siamo? I dati del 2015 forniti dall’UNESCO ci dicono che l’analfabetismo colpisce 757 milioni di adulti in tutto il mondo, e sono 57 milioni i bambini che non frequentano la scuola. Tra gli adulti non alfabetizzati 2/3 sono donne, e si concentrano prevalentemente nell’Asia meridionale e occidentale e nell’Africa sub-sahariana. Il dato sui bambini, sebbene sia ancora molto preoccupante, ha, tuttavia, subito un importante miglioramento nel tempo. Basti pensare che nel 2000 erano centomila i bambini non scolarizzati, nel 2007 sessanta milioni, cinquantotto milioni nel 2012, fino ad arrivare al dato sopra citato del 2015.

La questione dell’Alfabetizzazione dei bambini nel mondo merita una riflessione a parte, più attenta e più approfondita e che deve partire dalla amara consapevolezza che il diritto all’istruzione è negato ai più piccoli principalmente nei Paesi minati dalla piaga della guerra e della povertà.

L’UNICEF ha documentato in uno studio i primi 10 Paesi al mondo con la più alta percentuale di bambini che non frequentano la scuola. La Liberia, martoriata in questi ultimi anni dalla guerra civile e da una violenta epidemia di Ebola, registra la più alta percentuale di bambini che non siedono tra i banchi di scuola (62%). Seguono il Sud Sudan e l’Eritrea dove la percentuale scende di poco (59%) e si alza, invece, il rischio che i piccoli uomini vengano reclutati come “bambini soldato” dagli eserciti in lotta nel Sud Sudan. In questa triste classifica compaiono a seguire Afghanistan, Sudan, Gibuti, Guinea Equatoriale, Niger, Mali e Nigeria.

Ma questa è solo la parte “alta” dell’elenco, mentre il problema è diffuso in moltissimi altri Paesi al mondo, come ad esempio la Siria, dove sono oltre 2 milioni i bambini in età scolare (tra i 5 e i 17 anni) che non frequentano la scuola, e ancora sono 600 mila i bambini che vivono insieme alle loro famiglie come rifugiati nei campi profughi allestiti nelle regioni o nei Paesi limitrofi.

Ma quando parliamo dei bambini, dei bambini e della guerra, dei bambini e della fame, dei bambini e della miseria, la retorica delle parole davvero non serve più. E allora consiglio a tutti di guardare e riguardare il bellissimo Reportage che la giornalista Valentina Petrini ha fatto per la trasmissione di approfondimento politico di La7, Piazza Pulita, che documenta la condizione dei bambini profughi siriani in Turchia:
  1. La fabbrica dei bambini – prima parte
  2. La fabbrica dei bambini – seconda parte
Qui in Turchia i bambini siriani scappati dalla guerra non sono “bambini soldato”, ma vittime di un’altra schiavitù, quella dello sfruttamento del lavoro minorile. I bambini profughi siriani in Turchia, laddove dovrebbero essere assistiti, curati e tutelati, invece lavorano. E lavorano per pochi euro e per moltissime ore nelle fabbriche del tessile, dove tagliano, cuciono e assemblano pezzi per confezionare scarpe, magliette, jeans ed altri prodotti che troviamo poi nelle vetrine e sui banconi dei nostri negozi occidentali. Le piccole mani di questi bambini, che dovrebbero impugnare colori, penne e matite, armeggiano, invece, con destrezza forbici, ago e filo. E spesso non sono bianche come il latte, ma blu. E non sono blu di gioia come quella bella canzone in cui l’autore racconta di un sogno in cui si dipingeva “le mani e faccia di blu”. Le loro mani sono blu perché sono corrose dall’acido contenuto nei colori delle stoffe che maneggiano per ore e ore. E’ un blu cupo e sporco anche il colore delle parole di questi bambini quando ti raccontano del loro desiderio di tornare a scuola perché da grandi vogliono fare il medico o l’insegnante. E ti dicono con speranza convinta che a scuola ci torneranno eccome, “quando finirà la guerra” – una frase che gela.

Nel servizio di Valentina Petrini potrete anche conoscere la storia di Azam. Ha 9 anni, ma dice di averne 6, è stato operato al cuore e ha paura degli aerei che volano nel cielo perché pensa sempre che all’improvviso buttino giù una bomba. Per mantenere la famiglia, Azam fa l’operaio in una fabbrica di jeans. A scuola, quindi, non ci va e fa una gran tenerezza quando dice di non ricordare più come si fa a leggere e a scrivere e racconta così il suo ultimo giorno di scuola in Siria:
  • Un giorno dal cielo è venuta giù una bomba, dopo un po’ è esplosa. Siamo scappati tutti dalla scuola. Sono uscito fuori e ho visto un’altra bomba grande per terra. Ho detto ai miei compagni: Scappiamo se no moriamo tutti! Abbiamo buttato penne, quaderni e cartelle, e siamo fuggiti.
Mi sembra di vederli, lì dentro alla polvere, in mezzo alle macerie, quei quaderni, quelle penne e quelle cartelle. E penso davvero che la guerra sia uno sporco affare, perché chi la fa è convinto di avere tutto mentre distrugge ogni cosa, e chi la subisce piange, i bambini dimenticano come si fa a leggere e a scrivere, e dentro alla polvere che si alza scura tra le macerie di un bombardamento puoi trovare quaderni, penne e cartelle, abbandonati accanto alle bombe.

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