L'ad Fiat: «mercato non ha morale». Vero, ma inizia a imporla. Il manager tiene una lezione in Luiss e accende il dibattito sul concetto che il «mercato non ha morale». Ma ciò che rileva è ciò che manca dal ragionamento. E cioè che il capitalismo, pur senza coscienza, sta imponendo di alzare l'asticella dell'etica. (Scopri di più su:
http://www.eticanews.it/csr/quel-che-manca-alletica-di-marchionne/)
Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat (oggi Fca), ha attirato l’attenzione per una lezione tenuta agli studenti della Luiss, della quale è stato sommariamente rilanciato il concetto: «Non possiamo demandare al funzionamento dei mercati la creazione di una società equa» perché «non hanno coscienza, non hanno morale, non sanno distinguere tra ciò che è giusto e ciò che non lo è».
L’assai articolato intervento del manager, per più parti condivisibile (specie dove fa riferimento a «l’affermarsi di una cultura egocentrica e guidata dall’avidità, e l’inadeguatezza dei meccanismi di pianificazione e controllo a livello di consigli di amministrazione»), è improntato sull’assunzione che la società sia cosa differente dal mercato, che quest’ultimo sia uno strumento della prima, e che, pertanto, sia la società (e l’integrità delle sue persone) a dover guidare il mercato. Non viceversa. A cominciare, appunto, dagli aspetti morali.
Il ragionamento di Marchionne ha scatenato il dibattito (e una pioggia di sfottò) per il pulpito da cui è stato pronunciato (in tanti hanno evidenziato come oggi Fiat abbia sede legale ad Amsterdam e domicilio fiscale a Londra).
IL TASSELLO MANCANTE
Tuttavia, la cosa che appare più interessante, nell’intervento del manager del gruppo automobilistico, è ciò che manca al ragionamento. Detto in termini hegeliani, manca quella negazione della tesi di partenza che, proprio per il contrasto che produce, ne completa la validità.
Ciò che Marchionne non ha menzionato, o che probabilmente ancora non ha registrato, è che il mercato o, più in generale, il capitalismo sta cominciando a dettare regole morali. E a dettarle in maniera assai più stringente di quelle vigenti nelle realtà sociali in cui i mercati si muovono.
IL CAPITALE ALZA L’ASTICELLA MORALE
Si leggono in questo modo le pressioni dei grandi investitori istituzionali per una maggiore trasparenza sui criteri Esg (environmental, social e governance) da parte dell’industria, movimento che è stato fatto proprio dal legislatore europeo con la
direttiva non financial. La cui implementazione, in Italia, resta ancora in sordina, per quanto entro l’anno debba essere implementata a livello nazionale (
c’è in corso una consultazione che termina il 7 settembre) e porterà una sorta di “obbligo di Csr” che sarà una scossa al sistema.
Si leggono sempre in questo modo gli spostamenti delle analisi finanziarie delle banche d’affari verso i fattori Esg, l’emissione di giudizi sugli aspetti sostenibili di un’impresa o di un business, la moltiplicazione di
indici Sri (socially responsible investing).
Si leggono in tale direzione anche gli sforzi dei grandi gruppi di rating di integrare nelle valutazioni anche il rischio etico di un investimento (vedi
la recente acquisizione di Trucost, provider di dati sulla sostenibilità, da parte di S&P).
GLI INVESTITORI DEL MODELLO INCLUSIVO
E, infine, possono essere testimonianza di questo risveglio del capitalismo, le recentissime prese di posizione di due investitori eccellenti. La prima è quella di un investitore come George Soros a favore di una ancora più stringente morale sostenibile (vedi la sua introduzione nella pubblicazione dell’Ocse:
“Development Co-operation Report 2016: The Sustainable Development Goals as Business Opportunities”).
La seconda è quella di Martin Gilbert, co-fondatore e Chief Executive of Aberdeen Asset Management, il quale,
in un articolo di qualche giorno fa ha spiegato che è il momento di creare «una cultura di capitalismo inclusivo che crei benefici non solo per azionisti, clienti e dipendenti, ma per la società allargata». Per fare questo, occorre non limitarsi ad attendere il legislatore, ma «occorre un’azione proattiva» da parte delle imprese. Insomma, il capitalismo «si aggiorna come si aggiornano modelli di auto o di motori». E, ha concluso Gilbert, «i soggetti che non agiscono con integrità sono puniti dal meccanismo del mercato».
Insomma, i mercati non avranno morale, ma hanno la capacità di crearla, chiederla e, prima o poi, di farla rispettare. E ciò che stanno introducendo è la morale dell’inclusione, cioè dei benefici condivisi tra azienda e ambito sociale di appartenenza. Pena, il restare fuori dai giochi.
Qusto è il concetto che, per ora, sembra essere sfuggito alla Fca anglo-olandese.