Due anni di Isis scanditi da barbarie. E ora a reclutare minori sono anche le tribù sunnite che combattono a Mosul con Baghdad. Scoperte 72 fosse comuni tra Iraq e Siria: 15mila cadaveri stimati. (Scopri di più su:
http://www.arcsculturesolidali.org/it/2016/09/01/dalle-fosse-comuni-ai-bambini-soldati-il-medio-oriente-ai-tempi-del-califfato/)
Roma. Il 20 agosto, poche ore dopo il massacro di Gaziantep (un kamikaze si è fatto esplodere ad un matrimonio kurdo, 56 morti), il presidente Erdogan ha individuato in un minorenne di 12-14 anni il responsabile. Di lì a poco la smentita, poi una nuova conferma: di anni ne avrebbe 17. Fonti kurde negano si fosse trattato di un bambino, almeno questo raccontano i sopravvissuti.
Nelle stesse ore, mentre Gaziantep piangeva una strage invece che festeggiare un matrimonio, a Kirkuk le forze di polizia kurdo-irachene fermavano un ragazzino con la maglietta di Messi. Sotto la divisa a strisce del Barcellona aveva una cintura esplosiva. È stato arrestato due ore dopo che suo fratello si era fatto saltare in aria nella stessa città, di fronte ad una moschea sciita senza provocare vittime.
Ancora, pochi giorni fa, sono stati dei bambini a giustiziare a colpi di pistola cinque prigionieri kurdi. Tutto ripreso dai video e le macchine fotografiche dell’oliata macchina della propaganda del “califfo”.
I due casi, insieme, hanno risollevato la questione dei bambini reclutati dallo Stato Islamico tra Siria e Iraq. Per ovvie ragioni buona parte dei minorenni che si uniscono alle fila dell’Isis non arrivano da fuori, non sono foreign fighters, ma locali spesso in cerca di una paga. Secondo i dati raccolti in questi anni dal think tank Combating Terrorism Center, sarebbero attualmente 1.500. Vengono addestrati in campi specifici, in molti casi al martirio e ad azioni suicide. Il loro numero, avverte il Centro, è in costante aumento: su base mensile, il tasso di bambini impiegati in operazioni kamikaze è salito da sei a undici dal gennaio 2015 al gennaio 2016.
Il nuovo problema che sorge è però il “contagio” delle pratiche belliche: secondo Human Rights Watch per combattere l’Isis a Mosul due milizie tribali sunnite usano i suoi stessi mezzi. Reclutano bambini, minori di 15 anni. Ad oggi, dice Hrw sarebbero almeno sette i bambini portati vicino Mosul, per prepararli alla prossima offensiva sulla città. Secondo alcuni testimoni, che hanno visto i bambini reclutati e portati via, il governo di Baghdad li pagherà per il lavoro svolto, 375 dollari al mese.
Atrocità che si sovrappongono e si moltiplicano. Siria e Iraq sono devastate dalla guerra e dalle barbarie. A darne la misura, ieri, la macabra scoperta resa pubblica dall’Ap: 72 fosse comuni sono state individuate tra Siria e Iraq. Conterebbero tra i 5 e i 15mila cadaveri, una stima basata sull’analisi di mappe, documenti forniti dai funzionari locali e testimonianze dei sopravvissuti.
Non è la prima volta che accade, la fossa comune è uno dei marchi di fabbrica dell’Isis che la usa sia per generare terrore che per “comodità”, visto l’elevatissimo numero di esecuzioni compiute in singole comunità.
Tanti i massacri noti. La strage di Camp Speicher ha inaugurato il “califfato: a soli due giorni dalla presa di Mosul, il 12 giugno 2014, 1.500-1.700 cadetti sciiti dell’esercito iracheno furono giustiziati a Tikrit, appena occupata. Due mesi dopo, agosto 2014, toccò alla tribù siriana al-Sheitaat: 700 persone, soprattutto civili, furono uccisi nella provincia di Deir Ezzor in Siria, per aver combattuto l’occupazione islamista. Uccisi, decapitati, gettati in svariate fosse comuni.
Pochi giorni dopo i massacri più famosi, quelli subiti dal popolo yazidi. Con l’occupazione della zona di Sinjar e della strategica piana di Ninawa, in centinaia di migliaia furono costretti alla fuga e all’assedio. E se molti arrivarono stremati ma vivi nel Kurdistan iracheno, in migliaia furono giustiziati mentre donne e ragazzine venivano trasformate in schiave sessuali vendute al mercato di Mosul. Oggi sono i sopravvissuti a quel genocidio a chiedere la tutela delle fosse comuni yazide ritrovate dopo la liberazione di Sinjar, almeno 25: abbandonate al degrado perché difficili da salvaguardare, rischiano di scomparire insieme alla memoria delle stragi.