Con il termine di “Learning Organisation" si definiscono quelle organizzazioni che facilitano l’apprendimento continuo dei loro membri e che, a loro volta, sono capaci di apprendere e dunque di cambiare. In una dimensione ancora più ampia - “meta” - possono dirsi tali le forme organizzative che insegnano e, a loro volta, imparano ad “apprendere ad apprendere”. (Scopri di più su: http://www.generativita.it/it/workshop/2016/08/05/organizzazioni-che-apprendono/165/)

Il concetto, che si è affermato alla fine degli anni Ottanta soprattutto grazie ai lavori di Peter Senge e colleghi, ha avuto vasta eco nel business. Il modello è apparso vincente a fronte delle continue pressioni di un ambiente instabile e in continuo mutamento che richiedeva - e ancora oggi esige - una crescente capacità di adattamento. In questa prospettiva, la risposta più sensata alla complessità da parte delle organizzazioni è un’incessante disponibilità a modificarsi in sintonia con le richieste emergenti dal reale.

Con il Working Paper, “What makes a school a learning organisation. A guide for policy makers, school leaders and teachers” l’OECD-UNICEF rilancia l’idea di Learning Organisation per ripensare la scuola.

L’istituzione scolastica – e quella italiana non si discosta sostanzialmente da questa fotografia – appare quasi ovunque in vistoso ritardo sul proprio tempo, ancorata com’è a modelli e metodi ormai superati, quando, invece, la rapidità e l’entità delle trasformazioni in atto richiederebbero una postura diversa, più aperta e dialogante con la realtà, e maggiormente capace di interloquire criticamente e creativamente con le spinte del proprio tempo. A fare le spese di questa inabilità sono soprattutto gli studenti, ma ciò ha evidentemente ricadute più ampie, dalle famiglie e agli stessi corpi docente, alla società nel suo complesso, fino alle generazioni future.

Non sorprende, dunque, che l’invito dell’OECD-UNICEF sia rivolto proprio alle scuole. Se oggi ogni tipo di organizzazione è sollecitata a diventare luogo di long-life learning per se e i propri membri, collaboratori e leader, sono soprattutto le forme organizzative investite socialmente del mandato dell’apprendimento ad essere chiamate a riconcettualizzarsi nei termini di Learning Organisations.

La questione richiama molte delle riflessioni sviluppate fino ad oggi attorno al tema della generatività e delle organizzazioni generative.

La posta in gioco è alta. Da un lato, si tratta, evidentemente, della sopravvivenza e della continuità nel tempo delle organizzazioni. Dall’altro - ed è il punto più sensibile – parliamo dell’attitudine di queste stesse organizzazioni a dare significato al loro stesso esistere, che è da rintracciarsi non nel loro mero perpetuarsi, ma nell’abilità di rigenerare il mandato per cui sono nate. Nel caso della scuola, quello di diventare spazio in cui l’essere umano in crescita scopre, nella relazione con altro e altri, la sua propria forma, il suo miglior essere.

Tale mandato rischia oggi di evaporare, quando di snaturarsi del tutto, nel momento in cui l’organizzazione disimpara a dialogare con la vita e diventa impermeabile alle sue sollecitazioni per trasformarsi, invece, in luogo “ossessivo” in cui si reiterano i medesimi pattern di azione (programmi, modelli didattici, linguaggi) che, se nel passato hanno dimostrato di funzionare, oggi appaiono evidentemente fuori quadro.

E’ questa un’organizzazione che ha cessato di apprendere. Che crede di sapere già tutto e continua autoreferenzialmente e in modo decontestualizzato a dispensare soluzioni standardizzate e omologanti che invitano alla replica acritica e non all’iniziativa, all’innovazione, all’intrapresa.

Non si tratta solo di reagire più o meno rapidamente al cambiamento. La questione non è evidentemente solo funzionale, se sopravvivere o scomparire, da parte dell’organizzazione. Semmai si tratta di restare o meno connessi con la propria anima. Di avere senso. Di produrre senso. Di custodire, aggiornandola continuamente, la propria vocazione. L’organizzazione che apprende è un’organizzazione che si ricorda perché esiste.

Ciò che queste forme organizzative perseguono non è tanto il cambiamento in sé e per sé, quando un’apertura sapiente che conduce a una altrettanto sapiente malleabilità delle forme che vengono poste a costante servizio dell’incessante dinamismo della vita. La ricerca è quella di un nuovo equilibrio tra azione e struttura, custodia e innovazione, ed è evidentemente nello spazio educativo e formativo della scuola che una tale consapevolezza appare più urgente.

Apprendere è un’azione relazionale e dialogica, non solipsistica.

E’ un atto creativo, e aiutare ad apprendere è un movimento transitivo e contributivo che partecipa al rigenerarsi della vita (culturale, sociale, istituzionale, economica). Ancor più lo è, evidentemente, “apprendere ad apprendere”, ovvero consegnare agli altri le chiavi della conoscenza, le sue grammatiche, così da autorizzare l’altro a “prendere il largo” rispetto al suo stesso maestro, e, a sua volta, insegnare ad altri.

Ma come si diventa un’organizzazione che apprende? Il paper indica una serie di step che vanno in questa direzione. Interessante è sottolineare come il mandato dell’apprendimento diventi una pratica espansiva e al contempo riflessiva. Espansiva, in quanto apprendere diventa un metodo, un modus operandi dell’organizzazione che essa applica a tutto e tutti – se al centro viene posto l’apprendimento degli studenti, non manca l’attenzione all’apprendimento di tutto lo staff, a livello individuale e di tema; si sostiene la generazione di una leadership che apprende e di un cultura dell’innovazione e dell’esplorazione; ci si muove in uno scambio di apprendimento reciproco con l’ambiente esterno e con la comunità di riferimento.

Riflessiva, perché l’apprendimento diventa criterio di valore e di giudizio per l’organizzazione medesima.

Numerose sono le esperienze organizzative raccolte dall’Archivio della generatività che rimandano a questa duplice dinamica, espansiva e riflessiva, con un’indubbia centralità: l’abilitazione dell’altro, la sua capacitazione. L’accompagnare altri ad “apprendere ad apprendere” costituisce probabilmente la forma più elevata di empowerment e una tra le più generose e lungimiranti coniugazioni del prendersi cura.

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