Il pianeta degli sprechi (di cibo). In Italia 8 miliardi di euro all’anno finiscono nella spazzatura. Il problema è globale: nel mondo vengono gettate 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti che potrebbero dare da mangiare a circa 2 miliardi di persone. Non si tratta solo di una questione etica, ma anche ambientale. Il nostro Paese ha fatto un primo passo con l’approvazione di una legge. (Scopri di più su: http://www.corriere.it/extra-per-voi/2016/08/04/pianeta-sprechi-di-cibo-italia-8-miliardi-euro-all-anno-finiscono-spazzatura-d1c8157c-5a78-11e6-bfed-33aa6b5e1635.shtml)
  • di Silvia Morosi

Lo spreco di cibo, è proprio il caso di dirlo, è un problema difficile da digerire. Uno dei grandi paradossi del nostro tempo. Immaginate ogni giorno di cucinare un piatto di pasta e poi gettarlo direttamente nella spazzatura, anziché ad esempio riscaldarlo per cena. Non si tratta di una situazione paradossale, ma della realtà. Secondo la Fao — infatti — si spreca più di un terzo del cibo che viene prodotto e distribuito: più di 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti ancora consumabili (oltre un terzo del cibo prodotto), che potrebbero dare da mangiare, per un anno intero, a circa 2 miliardi di persone. Una popolazione che crescerà fino a 9 miliardi nel 2050. Lo spreco alimentare è tanto più illogico quanto più aumentano la produzione di rifiuti e la crisi ambientale, oltre che l’impoverimento e la denutrizione (oltre 1 miliardo di persone attualmente).


L’approvazione della legge

Una questione di grande attualità della quale si è recentemente tornati a parlare nel nostro Paese dopo l’approvazione il 2 agosto della legge contro lo spreco. Con il via libera definitivo del Senato (181 sì, due no e 16 astenuti), l’Italia si è dotata di un provvedimento organico — prima firmataria la deputata del Partito democratico Maria Chiara Gadda — sul recupero delle eccedenze e sulla loro donazione per solidarietà sociale. Il problema è molto sentito nel nostro Paese: secondo i dati diffusi dalla Coldiretti gli sprechi alimentari costano all’Italia 12,5 miliardi che sono persi per il 54% al consumo, per il 21% nella ristorazione, per il 15% nella distribuzione commerciale, per l’8% nell’agricoltura e per il 2% nella trasformazione.


Due tipologie di spreco

La Fao indica che sono 222 milioni le tonnellate di cibo buttato nei Paesi industrializzati, una cifra pari alla produzione alimentare dell’Africa Subsahariana (circa 230 milioni di tonnellate). Per comprendere questa «cattiva» abitudine è necessario fare un distinguo. Quando si parla di «Food losses» si prendono in considerazione le perdite che si determinano a monte della filiera agroalimentare, principalmente in fase di semina, coltivazione, raccolta, trattamento, conservazione e prima trasformazione agricola. Invece con il termine «Food waste» si considerano gli sprechi che avvengono durante la trasformazione industriale, la distribuzione e il consumo finale. Fra le cause di questo spreco di massa ci sono le cattive abitudini di milioni di persone, che non conservano i prodotti in modo adeguato. Ma anche le date di scadenza troppo rigide apposte sugli alimenti, le promozioni che spingono i consumatori a comprare più cibo del necessario, i numerosi passaggi dal produttore al consumatore nelle catene di montaggio dei cibi industriali.


Acqua, terra e gas serra: i rischi per l’ambiente

Nessuno si deve sentire assolto: gli sprechi colpiscono indistintamente tutti i Paesi. Come riportato nel «Global Food Losses and Food Waste», i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo sperperano, rispettivamente, 670 e 630 milioni di tonnellate di cibo all’anno. Nel documento, commissionato nel 2011 dalla Fao all’Istituto Svedese per il cibo e la biotecnologia (Sik) in occasione di «Save the Food. Solutions for a world aware of its resources» si ricorda come il cibo che viene prodotto e non consumato, sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga. Non solo: utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno — quasi il 30 per cento della superficie agricola mondiale — ed è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Nel mondo industrializzato, la maggior parte degli alimenti che gettiamo vengono da consumatori che ne comprano troppi e poi li buttano. Diversamente, nei paesi in via di sviluppo si tratta di sprechi dovuti a un’agricoltura stentata o alla mancanza di modalità di conservazione.


Uno sguardo tra Europa e Italia

In Europa la grande distribuzione rappresenta il 5 per cento di tutti gli sprechi alimentari, ma la maggior parte della dispersione avviene a livello domestico, con il 42 per cento del totale (i calcoli si basano su stime della Commissione europea con dati del 2006). Il Vecchio Continente fa la sua parte: stando alla classifica dei Paesi spreconi illustrata dal quotidiano inglese Guardian il Regno Unito è il Paese che spreca di più, con oltre 12 milioni di tonnellate di cibo buttato ogni anno; seguono Germania, Paesi Bassi, Francia e Polonia, tutti con 9 o più milioni di tonnellate di alimenti che finiscono nell’immondizia ogni 365 giorni. Anche l’Italia fa parte della classifica, siamo al sesto posto con quasi 9 milioni di tonnellate di alimenti sprecati ogni anno. Il valore? Quasi mezzo punto di Pil. Ogni anno le famiglie italiane buttano nella spazzatura il 19 per cento del pane acquistato. Finisce nel cestino il 17 per cento della frutta e della verdura, il 4 per cento della pasta e addirittura il 39 per cento dei prodotti freschi: dai latticini alle uova, fino alla carne. Lo spreco domestico vale circa l’8 per cento dei nostri costi alimentari. E quasi 42 chilogrammi a testa finiscono nella spazzatura quando sono ancora commestibili. E così, alla fine dell’anno, finiscono letteralmente tra i rifiuti oltre otto miliardi di euro. Circa 400 euro a famiglia. Impressionante il dato degli Stati Uniti che eccedono lo spreco alimentare di Regno Unito, Italia, Svezia, Francia e Germania messi insieme.


Cosa succedeva prima?

Sino all’approvazione della legge, i ristoranti o supermercati che intendevano regalare le proprie eccedenze — anche a organizzazione come il Banco alimentare — deve per forza passare per una dichiarazione preventiva, da presentare cinque giorni prima della donazione. Una pratica che il più delle volte ha comportato rinunce: con la nuova legge basterà una dichiarazione riepilogativa a fine mese, abbattendo quindi i tempi burocratici. Oltre alla semplificazione burocratica, la legge prevede, come anticipato, incentivi per chi dona, maggiore chiarezza sulle date di scadenza, maggiore sensibilizzazione per i consumatori e per le imprese e un incremento dei fondi stanziati per le onlus.


Una curiosità?

Per i farmaci la legge consente la donazione di medicinali non utilizzati e non scaduti alle onlus, ad eccezione però delle sostanze stupefacenti o di quelle dispensabili solo in ospedale. A loro volta, se dotate di personale sanitario, tali organizzazioni potranno distribuirle – con ricetta medica, se necessaria – direttamente gratis a chi ne ha bisogno. Oltre le onlus, anche gli enti pubblici potranno essere considerati “soggetti donatori”. Infatti, anche le mense scolastiche, aziendali e ospedaliere saranno coinvolte nella prevenzione dello spreco. Non sarà più richiesta, inoltre, la forma scritta per le donazioni gratuite di cibo, farmaci e altri prodotti.


La nuova legge ispirata alla Francia

Rispetto alla norma approvata in Francia lo scorso 3 febbraio, che si basa sulla penalizzazione, quella italiana punta sugli incentivi e sulla semplificazione burocratica. Ed è coerente gli obiettivi dell’Unione europea dove, secondo il commissario europeo alla Salute e alla sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitis, lo spreco alimentare si stima ammonti a circa 100 milioni di tonnellate l’anno. Tutti i Paesi dell’Unione hanno sottoscritto l’impegno del nuovi target di sviluppo sostenibile dell’Onu, che prevede di dimezzare lo spreco alimentare per il 2030, in ogni passaggio della filiera, dal campo alla tavola. «Questa norma – fa eco il ministro delle politiche agricole Maurizio Martina – è una delle più belle e concrete eredità di Expo Milano 2015. È una traduzione in fatti dei principi della Carta di Milano. Un provvedimento che conferma l’Italia alla guida della lotta agli sprechi alimentari, che ancora oggi hanno proporzioni inaccettabili. Con questa legge ci avviciniamo sempre di più all’obiettivo di recuperare un milione di tonnellate di cibo e donarle a chi ne ha bisogno attraverso il lavoro insostituibile degli enti caritativi».


Buone notizie dall’Ortomercato di Milano

Mentre a Rio de Janeiro, in occasione delle Olimpiadi, è stato aperto il «RefettoRio», che raccoglierà cibo non consumato all’interno del Villaggio Olimpico, a Milano continua l’esperienza del recupero delle eccedenze alimentari all’interno del mercato Ortofrutticolo. Quattro tonnellate di frutta e verdura destinate a essere buttate via sono state raccolte in tre mesi rimesse nel circuito della solidarietà, grazie alla partnership tra Caritas Ambrosiana e Sogemi, la società che gestisce il Mercato Ortofrutticolo di Milano. L’intesa, operativa dai primi giorni di giugno, è nata per sostenere le esigenze del Refettorio Ambrosiano, la mensa solidale nel quartiere Greco gestita da Caritas Ambrosiana, che ogni sera dà da mangiare a 90 persone, recuperando esclusivamente le eccedenze alimentari donate dalla grande distribuzione, proprio come previsto dalla Legge. Ogni mattina, i volontari raccolgono, in un magazzino di 120 metri quadrati, i prodotti ancora in perfetto stato ma ritirati dal circuito della vendita per ragioni per lo più commerciali. I bancali vengono trasportati nella sede della cooperativa Il Grigio a Lecco. Da qui, i prodotti ancora freschi sono smistati al Refettorio Ambrosiano e nelle altre cinque mense solidali gestite da istituti religiosi o associazioni a Milano e nel territorio della diocesi. Il resto viene lavorato. Le confetture e le minestre surgelate, che si ricavano da questo processo, vengono distribuite alle persone in difficoltà, attraverso i pacchi viveri preparati dai volontari delle parrocchie oppure attraverso gli empori della solidarietà di Cesano Boscone e Varese, dove rispettivamente 600 e 60 famiglie fanno la spesa con la tessera a punti. Di questa filiera fanno parte oltre a Sogemi donatori stabili: 2 punti vendita di Coop Lombardia (ma se ne aggiungeranno altri a breve); l’azienda di ristorazione Elior (dal centro di produzione di Vimodrone); Eataly (ristorante Eataly Milano Smeraldo); le mense scolastiche gestite dalla Società «Settimopero Welfood srl», 5 produttori locali.


Una app per comprare avanzi al ristorante

Anche la tecnologia «scende in campo» contro lo spreco con un’applicazione per smartphone e tablet che consente di comprare, a prezzi molto vantaggiosi, le pietanze invendute nei locali. «Too good to go» sottolinea il concetto di un cibo che è troppo buono per andare sprecato. Creata in Danimarca, la app è arrivata a Parigi e a Berlino, dove consente di acquistare pietanze a partire da 2 euro. Adesso, dopo città come Manchester e Birmingham, approda a Londra, grazie all’adesione di un centinaio di ristoranti. Direttamente dall’applicazione gli utenti possono ordinare i cibi, che costano tra le 2 e le 3,80 sterline, e pagarli via carta di credito, per poi andarli a ritirare nei locali all’ora indicata, generalmente dopo gli orari di pranzo e cena. Durante l’ordinazione i clienti possono anche donare una sterlina per offrire un pasto a chi è in difficoltà. «Mangia bene, risparmia e salva il Pianeta» è l’essenza della app, che nelle intenzioni degli ideatori porta vantaggi ai ristoranti che vendono ciò che altrimenti butterebbero, ai cittadini che godono di forti sconti e, soprattutto, alla Terra, attraverso la lotta agli sprechi alimentari.

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