Sessione parallela, giovedì 15/09, ore 14. A cura di Luca Fazzi (Università degli Studi di Trento), Paolo Fontana (Euricse). (Scopri di più su: http://workshop.irisnetwork.it/wis16-sessione-parallela-impresa-sociale-giustizia/)

Il tema della giustizia è una parte integrante dell’emersione dell’impresa sociale in Italia. L’avere cercato di ampliare il perimetro dei diritti e avere favorito l’empowerment dei soggetti più deboli e svantaggiati ha consentito alle imprese sociali, organizzate in forma di cooperative e associazioni, di ottenere un riconoscimento normativo, sociale e fiscale favorevole nell’ambito delle politiche pubbliche e di welfare.

Nel corso del tempo si sono affermate diverse concezioni di giustizia, non sempre coerenti tra loro, anzi alle volte contraddittore e in tensione reciproca, ma che a diverso titolo hanno accompagnato il processo di sviluppo delle imprese sociali. In alcuni casi la giustizia è stata interpretata come condizione di “sufficienza di benessere” in un’ottica riparativa, in altri in chiave emancipativa e trasformativa.

Negli ultimi anni i processi di esternalizzazione dei servizi da un lato e l’emergere di una visione utilitarista dell’imprenditorialità sociale dall’altro, hanno fortemente affievolito la messa a tema di questo concetto. La sostituzione o l’affiancamento di concetti come diritti, empowerment, equità, pari possibilità di accesso alle dimensioni base del benessere umano e sociale, con la comparsa di nuove “parole d’ordine” come social investment, start up, imprese business like, social innovation e shared economy, ha probabilmente contribuito a confondere e sfumare i piani del discorso.

Fare impresa sociale rischia di diventare oggi, in questa ottica, il tutto e il contrario di tutto: si fa impresa sociale creando nuovi posti di lavoro, aprendo uno spaccio di prodotti biologici, finanziando iniziative di cohousing ecc., e in tutte queste legittime e interessanti attività non sempre ci si chiede qual è il posto dedicato alla costruzione di sistemi di giustizia. La giustizia tuttavia è tale solo se risponde a due condizioni: assicurare a tutti una condizione di vita degna e perseguire la trasformazione delle condizioni che creano diseguaglianza e esclusione.

Per capire quanto la giustizia sia ancora oggi connaturata all’azione delle imprese sociali, è necessario osservare i criteri di giustizia nelle pratiche, nelle decisioni concrete e nelle scelte strategiche che sottendono alle attività d’impresa, decostruendo le dichiarazioni retoriche e gli slogan (del tipo: “vogliamo un welfare buono e giusto”, “vogliamo essere i costruttori di una nuova economia”) per andare invece a verificarne in profondità il succo normativo.

Sono le persone più deboli, nella pratiche dell’impresa sociale, ad essere considerate secondo un’ottica di giustizia? E se sì, di quale giustizia si tratta? Una giustizia riparativa o emancipativa? E di quale sentimento di giustizia deve e può alimentarsi l’impresa sociale per svolgere una funzione distintiva e trasformativa, non annacquata nel mare magnum di quell’imprenditorialità che considera sociale il tutto e l’inverso di tutto?

Riteniamo importante e utile che i criteri di giustizia adottati di volta in volta siano riconosciuti e resi visibili, e qualora non siano praticati ne vadano capite le ragioni e svelate le contraddizioni. E è altrettanto importante capire chi definisce l’idea normativa di giustizia: se la giustizia è un dato statico stabilito dall’alto, o se invece assume una dimensione processuale e interattiva che coinvolge in primis i diretti interessati alle questioni dell’esclusione e della subordinazione sociale.

La sessione intende approfondire questi temi illustrando una serie di esperienze empiriche di impresa sociale che idealizzano modelli di azione corrosivi da un lato e rinforzanti dall’altro del principio di giustizia.

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