L’affannosa ricerca di una politica comune europea sulle migrazioni sta producendo una serie di paradossi che, come evidenziato negli
articoli precedenti, limita il diritto alla mobilità e alla protezione. Mentre il diritto a rimanere viene strumentalizzato affinché “non vengano a casa nostra”, traducendosi quindi nel diritto ad escludere. Le relazioni europee con i paesi terzi vengono ridotte all’emergenza migrazioni, al loro controllo e freno, condizionando aiuti e commercio, senza una visione per il futuro. (Scopri di più su:
http://www.focsiv.it/news/i-paradossi-europei-sulle-migrazioni-rapporti-e-prospettive-con-i-paesi-terzi/)
- Andrea Stocchiero, Policy Officer FOCSIV
Il primo evidente paradosso è che l’Unione europea nei trattati è presentata come un faro dei valori umanistici, dei diritti umani, e quindi anche dell’accoglienza, mentre nella pratica è incapace di solidarietà:
- incapace di solidarietà verso chi fugge dalle guerre, scaricando il dovere alla protezione sugli Stati limitrofi agli scenari di guerra;
- incapace di solidarietà interna tra i Paesi membri, visto che la ricollocazione non è messa in atto, e che con il regolamento di Dublino si lasciano Grecia e Italia da sole nel gestire le richieste di asilo (la riforma proposta dalla Commissione è assolutamente insufficiente);
- incapace di solidarietà esterna verso i Paesi vicini e lontani, visto che i finanziamenti reali per la cooperazione sono poco significativi (nonostante la proposta di creare una nuova linea di investimento di 62 miliardi di euro per l’Africa, che però dipenderà in gran parte dalla mobilitazione di capitali privati incerti e volatili, mentre i finanziamenti reali sono quelli del Trust Fund per l’emergenza migrazioni per l’Africa, pari a soli circa 1,9 miliardi di euro per 5 anni per 28 Paesi).
E a quest’ultimo riguardo si può evidenziare un secondo paradosso: Il Trust Fund è nominato di emergenza sulle migrazioni, quando invece è a conoscenza di tutti che la questione è di carattere strutturale di lungo periodo. Continuiamo a trattare le crisi in modo emergenziale, quindi con soluzioni tampone, mentre non sviluppiamo sistemi istituzionali e rapporti internazionali di carattere strutturale. Le risposte devono riguardare le cause profonde: povertà, disuguaglianza, sfruttamento delle persone e dell’ambiente. Ed in effetti il Piano de La Valletta le indica, e parte del Trust Fund è speso su questi problemi, ma, oltre che in modo insufficiente, si può aggiungere anche in modo incoerente, e qui veniamo al terzo fondamentale paradosso.
Il terzo paradosso: da un lato l’Unione chiede ai Paesi terzi più cooperazione per gestire le migrazioni, magari con un po’ di più risorse, mentre dall’altro impone la firma di accordi di partenariato economico e di libero scambio che mettono in crisi le produzioni e quindi l’occupazione locale, generando nuove spinte all’emigrazione, così come continua ad essere blanda nell’imporre regole sui movimenti di capitali, contro i paradisi off-shore e le fughe di capitali. Manca coerenza, ma soprattutto non si mette in discussione il modello di sviluppo che genera disuguaglianze, insicurezza umana, precarietà e scarti, e quindi migrazioni. Come ci ha scritto Papa Francesco nella “Evangelii Gaudium”, questa è una economia che uccide.
L’incapacità, ma meglio si dovrebbe dire assenza di volontà politica tra gli Stati membri di solidarietà interna, si scarica all’esterno sulle spalle già provate dei Paesi terzi; pensiamo ad esempio al Libano che ospita oltre 1 milione di rifugiati su una popolazione totale di 4 milioni di abitanti. Per salvare Schengen, la mobilità dentro all’Unione, si rafforzano le frontiere esterne: chiaro esempio è il recente trattato Ue-Turchia e la creazione di una agenzia Frontex potenziata con una comune guardia frontaliera; ma ancor di più si esternalizzano il controllo e il freno alle migrazioni.
La recente Comunicazione della Commissione europea sul Nuovo Quadro Partenariale con i Paesi terzi, adottata al Consiglio europeo di giugno, prevede la realizzazione di accordi-compact con alcuni Paesi chiave, come l’Etiopia, il Niger, la Nigeria, … e in prospettiva la Libia, ma anche l’Iraq e l’Iran, per rafforzare le loro frontiere in modo da fermare le migrazioni verso l’Europa. Prima priorità diventa il rimpatrio degli irregolari, e per questo si condizionano gli aiuti alla firma di accordi di riammissione. Si genera così una prospettiva di relazioni internazionali frammentate, fondate su interessi di corto respiro, senza una visione per il futuro e senza principi comuni.
Al contrario accordi realistici, con una programmazione pluriennale vincolante in materia di ammissione dei migranti, permetterebbero ai Governi europei di pianificare e governare il fenomeno migratorio con efficacia. Oltre al sostegno dell’Unione europea alla creazione di un programma di re-insediamento globale guidato dalle Nazioni Unite, come proposto nella Comunicazione, l’Ue, e in particolare il concerto dei suoi Stati membri, dovrebbe sviluppare un quadro giuridico che fornisca opzioni regolari per la mobilità sia per i lavoratori altamente qualificati che poco qualificati. In effetti, assicurare canali regolari per la migrazione permette alle persone a rischio di cercare la sicurezza e realizzare i loro diritti senza ricorrere a reti criminali, proteggendo così anche i valori fondamentali e l’etica che dovrebbero assicurare all’Unione una leadership morale nel mondo.
Mentre la Comunicazione fa riferimento alla necessità di affrontare le cause profonde delle migrazioni nel lungo periodo, nel breve termine aggira il punto fondamentale che riguarda l’impegno politico di alto livello per prevenire e gestire le crisi. Questo punto avrebbe un impatto maggiore di qualsiasi altra azione sulle migrazioni forzate. È necessario che l’Europa si doti di una vera e propria politica estera comune, centrata sul prevenire o sbloccare le crisi prolungate.
Decidere di migrare può essere un modo per migliorare le condizioni vita e contribuire allo sviluppo, che è anche il motivo per cui i migranti sono considerati come attori chiave nell’Agenda 2030 sugli obiettivi di sviluppo sostenibile. Se l’Unione assumesse una prospettiva di sicurezza umana nella sua politica di migrazione, invece di una più ristretta visione centrata sul controllo delle frontiere, i benefici delle migrazioni risulterebbero chiari ed evidenti.