I 4 milioni di giovani a Cracovia o quelli che ogni anno frequentano Taizé.
Le migliaia di SVE (Servizio Volontario Europeo) o SCI (Servizio Civile
Internazionale) che attraversano l'Europa o, giusto per dire che anche
noi facciamo nel nostro piccolo qualcosa, le centinaia di giovani da
tutta Italia del progetto “Terre e libertà”
appena partiti per quattro continenti, nonostante i genitori
giustamente apprensivi, ci dicono una cosa sola: non abbiamo paura!
È la paura la bestia contro la quale dobbiamo lottare.
Abita nelle oscure profondità del nostro inconscio ed è iscritta nel
DNA. Se si risveglia la prima cosa che fa è “offuscare la mente” e
prendere il governo del corpo. Anziché “spremere le meningi” si hanno
“contrazioni al basso ventre” e si reagisce in modo compulsivo. La massa
di persone aumenta l'irrazionalità e non v'è differenza tra coloro che
stavano sotto il balcone di Piazza Venezia ad inneggiare al Duce a
quelli che oggi inneggiano al vuoto di Trump, tra coloro che sgozzavano
bambini nei grandi laghi ai psicopatici che infestano la Francia o gli
altri che bombardano il Medio Oriente.
E allora? Dovremmo
ringraziare, nell'era dell'antipolitica, tutti coloro che hanno
edificato Istituzioni transnazionali che sono riuscite a rielaborare la
paura. Cos'era la CECA (Comunità Economia del Carbone e
dell'Acciaio) se non una struttura politica che aiutò il dialogo tra
Francia e Germania – le due artefici sia della prima che della seconda
guerra mondiale – a calcolare quanto carbone e quanto ferro potevano
estrarre entrambi? Era la “non conoscenza” delle risorse altrui che
incuté paura. Paura che l'altro avesse più acciaio per fare più armi,
più cannoni. E poi la CEE per iniziare una prima cooperazione economica
affinché i produttori di spumante nostrani non temessero oltremodo i
produttori d'oltralpe e poi l'Euratom per convertire la paura atomica in
opportunità per il civile.
E poi le bistrattate Nazioni Unite onnipresenti al mondo ove c'è un'emergenza vive il pieno delle sue contraddizioni.
Il principale candidato alla carica di Segretario generale è Irina
Bokova, direttore generale uscente dell'Unesco, l’Organizzazione delle
Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, molto meno
notevole di tutte le altre donne che sono state candidate. Allora, per
vedere a che punto siamo nel declino dell'internazionalismo, si
impegnerebbero gli Stati Uniti a finanziare il 25% del bilancio
ordinario delle Nazioni Unite, come fecero all’atto della sua creazione?
Potrebbe oggi essere approvata la Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo? Sono domande che si pone Roberto Savio, fondatore di IPS.
Ma il pensare globale, come fa Unimondo, non ci esime dall'agire localmente.
Che peraltro è l'unica arma che abbiamo per sconfiggere le paure. Per
cui l'appello che ho rivolto ai giovani di Terre e Libertà, prima della
loro partenza, era che la cooperazione internazionale è molto, il
turismo responsabile un'aggiunta, il servizio civile un'esperienza...ma è
giunto il tempo di sporcarsi le mani ed impegnarsi “a casa propria”.
Una volta rientrati.
Lo stesso cercheremo di fare noi di Ipsia del Trentino che siamo in partenza per il Mali;
lo Stato che sarebbe dovuto diventare, secondo qualche teorico
dell'Isis, interamente islamico. Il progetto fu interrotto dalla
Francia. L'Isis rispose prima con Bataclan e poi con Nizza.
Hollande richiamò le truppe francesi e la Merkel inviò di proprie in
sostituzione. L'Isis rispose puntualmente con un attacco ad un bus di
turisti tedeschi ad Istanbul e poi ad Ansbach in Germania.
I più grandi alleati dell'Isis sono i media ed i social. Come scrive il direttore di Unimondo Piergiorgio Cattani sul Trentino:“La
moltiplicazione delle immagini, rimbalzate in tempo reale sullo
smartphone di ciascuno di noi, nutre l’orrore, il raccapriccio, ma pure
l’impotenza e la rabbia. I siti informativi esplodono anch’essi di
video in cui le tragedie vengono vivisezionate come i corpi delle
vittime saltate in aria o falciate sulla strada. Perché bisogna
insistere su questi particolari? Per amore della cronaca? Per suscitare
compassione? Non saprei, ma l’esito è sicuramente l’opposto.”
Noi di Ipsia saremo in Mali per ospitare le ragazze delle scuole superiori che fuggono dall'Isis,
dai cancelli chiusi delle proprie scuole nel nord del Mali per
rifugiarsi al Sud. A Sevarè di Mopti. Lì abbiamo acquistato un piccolo
hotel che abbiamo scaramanticamente denominato “Hotel de la Paix” e lo
stiamo ristrutturando a mò di foresteria al fine di garantire pace,
sicurezza e diritto allo studio ad una cinquantina di giovani ragazze.
La Provincia Autonoma di Trento ci ha sempre aiutato in queste sfide
oltremare. Ci ha sempre aiutato a non aver paura.
Chiudo con la speranza: la notizia che ho ricevuto la scorsa settimana è che tutti i ragazzi che abbiamo formato nella prima scuola alberghiera dei grandi laghi
– in Burundi – sono stati assunti dai grandi alberghi. Tutti. E le
suore operaie nostre controparti stanno aprendo una scuola anche in Mali. Dove? A Mopti. Non c'è paura che tenga.
Fabio Pipinato, Presidente di IPSIA del Trentino