La comunicazione sociale. Manuale per le organizzazioni no profit, da poco pubblicato nella collana Manuali Laterza è l’ultimo lavoro di Gaia Peruzzi e Andrea Volterrani che da anni fanno ricerca e lavorano in questo campo. (Scopri di più su: http://www.labsus.org/2016/07/la-comunicazione-sociale/)
Come si legge nella presentazione dell’editore, è “un manuale pensato e scritto per gli studenti e per i professionisti del settore non profit [destinato a diventare] una guida essenziale per conoscere tutti gli aspetti fondamentali, teorici e pratici di un settore in costante crescita”.

Ne parliamo insieme ad uno degli autori, Gaia Peruzzi, ricercatrice del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza Università di Roma, dove insegna Strategie di comunicazione per pubbliche amministrazioni e non profit.

Come si legge nella presentazione, è “un manuale pensato e scritto per gli studenti e per i professionisti del settore non profit […] una guida essenziale per conoscere tutti gli aspetti fondamentali, teorici e pratici di un settore in costante crescita”. È un po’ il riconoscimento ufficiale di questo settore della comunicazione?

Almeno nelle nostre intenzioni c’era senz’altro questo obiettivo: l’abbiamo vissuto fin dall’inizio come il tentativo di ottenere un riconoscimento per questa disciplina. Perché la comunicazione sociale è una forma di comunicazione ambigua che negli ultimi anni ha permeato diversi ambiti. A praticare la comunicazione sociale, sia che lo si riconosca esplicitamente sia che non ci si identifichi con questa etichetta, sono sia i media generalisti che quelli di informazione, così come percorsi di studio che non riportano esplicitamente questa dicitura.

Il problema è che pur essendoci corsi di studio e docenti che se ne occupano, questa disciplina faticava ad emergere come tale. C’è un fiorire di pubblicazioni e attività e, soprattutto negli ultimi dieci/quindici anni, si registra una domanda fortissima da parte delle associazioni di corsi sulla comunicazione sociale. Secondo noi era arrivato il momento di fornirgli un riconoscimento. L’abbiamo chiamato manuale perché l’idea era appunto quella di rivolgersi a studenti, operatori e a chiunque avesse intenzione di lavorare, progettare o studiare una comunicazione ritagliata per le organizzazioni del settore non profit. Abbiamo inteso il manuale come una riflessione critica sullo stato della disciplina, cercando di fare un discorso a tutto tondo che permettesse il riconoscimento ufficiale di questo settore della comunicazione sociale.

Il Manuale affronta infatti la comunicazione sociale a 360° – dall’Ufficio stampa alla comunicazione organizzativa, dai nuovi media alla valutazione di impatto – cosa è cambiato negli ultimi anni nel settore della comunicazione sociale?

Negli ultimi dieci anni si è registrato un cambiamento forte perché le organizzazioni del sociale quindici anni fa sapevano di aver bisogno di comunicazione, ma traducevano questo bisogno nella creazione dell’ufficio stampa.

Ora la situazione si presenta a macchia leopardo: per molte associazioni piccole il problema della gestione quotidiana della comunicazione con i media locali rimane l’ufficio stampa, anche se hanno capito che non è più l’unico problema. Le grandi reti nazionali si trovano invece a dover soddisfare un bisogno di comunicazione più complesso, che spesso non sanno neanche leggere fino in fondo e che è un bisogno di comunicazione a tutto tondo. Infatti, se le organizzazioni del terzo settore vogliono stare sulla sfera pubblica, vogliono essere soggetto politicamente rilevante, devono fare comunicazione come tutti gli altri enti, entrando in una logica competitiva di visibilità. E per essere competitivi, se le grandi multinazionali e gli enti pubblici hanno una comunicazione a tutto tondo, non possono non averla anche le organizzazioni non profit. Questa è una responsabilità che devono assumersi le grandi reti, perché le associazioni piccole non hanno la forza per individuare il bisogno e per reclutare professioni.

In diversi passaggi del libro fate riferimento all’approccio narrativo, di grande attualità nel campo della comunicazione. Come si “narra” il Settore non profit?

La scelta di questo tema risponde a due logiche che si intrecciano: da una parte abbiamo concepito la comunicazione per il terzo settore per tutti i settori che vogliono fare innovazione, cioè anche per quei settori che intendono occuparsi di comunicazione con una logica di responsabilità sociale e di attenzione ai temi del sociale. Quindi abbiamo pensato di fornire al lettore una panoramica delle strategie innovative di comunicazione, tra cui si collocano gli approcci narrativi.

In secondo luogo riteniamo che il terzo settore più di altri, abbia bisogno di logiche di narrazione, perché non è abituato a raccontarsi nella sua complessità. Spesso continua a pensare che la comunicazione si risolva in uno spot, mentre secondo noi il messaggio che deve passare è che devono imparare a raccontare la loro complessità. La gente non può continuare a pensare che il terzo settore sia fatto da volontari che si dedicano a determinate attività nel tempo libero, ma devono capire che sono organizzazioni fatte da professionisti esperti, che sono coadiuvati dalla presenza di volontari; deve sapere che occuparsi di questioni sociali non significa che in queste associazioni non circolino soldi. Bisogna far percepire una visione più complessa delle organizzazioni per cui è necessario che le organizzazioni imparino a raccontarsi.

Raccontarsi per noi significa, oltre alle tecniche di storytelling classiche, far capire che è necessario avere format più lunghi che non siano il comunicato stampa sul singolo evento. Storytelling quindi come strategia comunicativa innovativa e come tecnica di narrazione che permette di affrontare le questioni dell’identità complessa del terzo settore.

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