I servizi di welfare sono soggetti a mutamenti strutturali che riguardano, anche, la dimensione economica. La quota di finanziamento pubblico tende a ridimensionarsi e a orientarsi verso il sostegno della domanda dei cittadini e delle famiglie piuttosto che al cofinanziamento dell’offerta da parte dei fornitori. Il welfare assume quindi un peso maggiore nei “modelli di consumo“, rappresentando spesso una voce critica del budget familiare e, al tempo stesso, una modalità nuova di fruire di servizi di protezione sociale al di fuori dei circuiti tradizionali. (Scopri di più su: http://workshop.irisnetwork.it/economia-del-welfare-possibile-rendere-piu-accessibili-servizi-sociali-sanitari-educativi-qualita-universalismo/)

La variabile del costo, da questo punto di vista, è riconducibile sempre meno alle tariffe prestabilite dai capitolati d’appalto e sempre più ad un prezzo che incorpora diverse componenti: risorse out of pocket, contributi pubblici riconosciuti attraverso voucher e buoni servizio, defiscalizzazioni, livelli di reddito, ecc.

“Far di prezzo” è sempre più una competenza da imprenditori sociali, nel momento in cui il valore economico deriva non esclusivamente da esigenze di contenimento del “fattore costo” (che può mettere a repentaglio la qualità), ma da un insieme di variabili (risorse donative, contributi in kind, discrimine di prezzo ecc.) che consente di mantenere i servizi sociali, assistenziali ed educativi nel campo di una protezione sociale autentica. Un welfare che ridefinisce l’universalismo, garantendo, come ricorda Maurizio Ferrera, “ugual trattamento per uguali bisogni“.

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