Under35, laureato, occupato e donna: l’identikit del cittadino nell’ottica del lifelong learning. In Italia il vantaggio economico di possedere un titolo post-diploma è apprezzabile solo dopo 45 anni di età. (Scopri di più su:
http://www.greenreport.it/leditoriale/quali-investimenti-conoscenza-la-formazione-continua-raggiunge-solo-l8-degli-italiani/)
Il
XVI Rapporto sulla formazione continua curato da Isfol (Ministero del Lavoro, Direzione generale per le politiche attive, i servizi per il lavoro e la formazione) contiene elementi di informazione e, soprattutto, di analisi sui provvedimenti legislativi e sui dati relativi agli ultimi anni. La lettura del rapporto è interessante perché, collocandosi in una fase di trasformazioni legislative e organizzative di un sistema non solo complesso, ma sicuramente anche confuso, offre una specie di fotografia dello stato attuale, che evidenzia slittamenti verso nuove prospettive e, nello stesso tempo, persistenza di vecchie normative. Due sono gli approcci sviluppati nella prima parte del rapporto: la lettura del contesto italiano nel confronto internazionale [prospettive Europa 2020] e nuovo quadro normativo e modalità/tipologie di finanziamento,a questo dedichiamo di seguito una breve un’analisi.
Il Quadro europeo – Europa 2020 auspica che, a partire dall’anno 2020, almeno il 15% della popolazione in età lavorativa (25-64 anni) dei vari paesi sia coinvolta in attività di studio, formazione, qualificazione, riqualificazione. Nel 2014, il tasso di partecipazione dei paesi Eu28 non arrivava all’11%, e il dato attualmente disponibile (Eurostat-Lfs) registra situazioni molto diverse: la Danimarca supera il 31% di popolazione coinvolta in attività di studio o formazione, mentre la Romania con 1,5% è all’ultimo posto. L’Italia si ferma all’8%: si tratta di 2,6 milioni di persone su una popolazione di riferimento di più di 30 milioni.
Il rapporto registra i comportamenti più virtuosi che si realizzano soprattutto in nord Europa, e lamenta la difficoltà di sviluppare politiche di active ageing, in presenza di normative pensionistiche che allontanano in avanti l’età di uscita dal lavoro. È auspicabile che questo tema divenga oggetto di riflessione nei prossimi anni perché già nel 2013, uno studio relativo ai dati contenuti in Education at a glance (
When do adult learn? A cohort analysis of adult education in europe – NEUJOBS) evidenziava l’aumento delle persone più anziane impegnate nello studio e lo correlava alla qualità e durata dei percorsi formativi dei vari paesi. La diversità di partecipazione per condizione occupazionale – in Europa in genere partecipano più disoccupati che occupati e inattivi – evidenzia un dato in controtendenza in Italia e Germania che, tuttavia, riferisce situazioni molto diverse. Gli inattivi tedeschi risultano coinvolti in percorsi di re- o primo inserimento lavorativo, gli italiani inattivi sono i giovani che continuano a fare formazione perché non trovano lavoro alla conclusione degli studi; da notare che in Italia i Neet tra i 15 e i 29 anni sono circa il 25,7% contro una media Eu del 15% circa.
La seconda parte del Rapporto affronta il tema della formazione continua per i lavoratori e le imprese nell’ottica del lifelong learning. Il punto di partenza della riflessione è la situazione italiana così come appare nell’anno 2014, l’ultima rilevazione dettagliata disponibile: 2,6 milioni di soggetti hanno svolto attività educative e formative (l’8% della popolazione 25-64 anni, come già accennato), una partecipazione di donne superiore dell’8% rispetto agli uomini, di 25-34enni (+14.9% rispetto alle altre classi di età), di laureati (+18,7% rispetto a chi ha un titolo di studio inferiore) e un 8,7% in più di occupati rispetto a disoccupati ed inattivi. Questi dati rimarcano ancora differenze territoriali (Centro-Nord vs Sud) e, pur rilevando nel complesso una crescita della formazione, evidenziano la gravità di una situazione che, soprattutto nel Sud (ma non solo), non tocca i settori low skilled della popolazione e penalizza nelle retribuzioni i giovani con qualificazioni elevate, rispetto a chi è meno istruito (il vantaggio di possedere un titolo post-diploma diventa apprezzabile solo dopo 45 anni di età, elaborazione Isfol su dati Istat – Eurostat Lfs). Lo studio del rapporto tra percentuale di lavoratori formati e tassi di crescita economica in Europa, nel 2009, anno del picco della crisi, dimostra che la riduzione del Pil, nei paesi le cui imprese hanno sviluppato una maggiore quantità di formazione, ha subito riduzione meno significative rispetto agli altri. Proprio la scarsa propensione delle imprese a fare formazione appare causa della maggiore fragilità dei sistemi. La ricerca Intangible assests survey realizzata in Italia nel 2013, su modello di una indagine UK, di cui si prevedono ulteriori approfondimenti in ambito Ocse, conferma che i fattori intangibili (formazione, acquisizione di software, investimento in reputazione aziendale, immagine, marchi, ricerca & sviluppo, ecc) hanno un impatto positivo sulle imprese e sull’economia nel suo complesso.
In Italia l’investimento in conoscenza risente dello squilibrio strutturale del sistema sia in relazione alla collocazione territoriale, sia in relazione alla ampiezza delle imprese. Alcuni recenti studi condotti da Isfol, volti a evidenziare positive pratiche aziendali emergenti, riguardano interessanti esperienze di trasferimento di conoscenze e di apprendimento intergenerazionale, che comportano effetti positivi sulla collocazione, anche organizzativa, dei lavoratori maturi e sostengono processi di active ageing, Nello stesso tempo mettono in luce la necessità di interventi a favore dei lavoratori più deboli, visti anche come fattori di sostegno all’efficienza delle imprese.
In estrema sintesi si può concludere che il contributo, che il XVI rapporto sulla formazione continua offre, consiste nell’approfondita analisi degli interventi formativi e delle diverse forme di finanziamento di questi, permettendo così di riflettere sulla governance dei processi e sulla necessità di costruire offerte formative ben calibrate sulla domanda, non solo esplicita, di imprese e lavoratori.