La riforma fa un grande passo avanti nel riconoscere la soggettualità imprenditoriale e civica della comunità e crea le condizioni per aprire una stagione di politiche che promuovano l’innovazione sociale al pari di quella tecnologica. (Scopri di più su:
http://theway.uidu.org/storiedautore/lo-stress-test-alla-riforma/#.V3N-LKKo3_m)
Imprenditoria innovativa, coworking e incubatori, distretti di economia solidale, sharing economy, imprese creative e culturali, economie coesive, imprese di comunità, organizzazioni ibride. E per di più tutti insieme appassionatamente in ecosistemi che mettono a disposizione risorse di facilitazione e di investimento.
Forse abbiamo esagerato quando abbiamo delineato le possibili traiettorie di sviluppo del terzo settore e dell’impresa sociale nel
Rapporto che abbiamo curato per Iris Network, ormai due anni fa. Ma eravamo all’inizio del percorso di riforma del settore che si è concluso poche settimane fa con l’approvazione della
legge quadro (che ora ha anche un numero: 106/2016) e quindi ci sembrava giusto non solo definire lo stato dell’arte, ma soprattutto lanciare il cuore oltre la siepe, cercando di capire quali altri attori potevano essere coinvolti, oltre a quelli ben noti come organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, ecc.
- Del resto in ballo c’era una riforma, cioè un nuovo assetto che per di più aveva l’obiettivo di far scalare un settore da posizioni residuali a soggetto guida di un nuovo modello di sviluppo (il famoso “da terzo a primo”).
La norma quadro, approvata la rilettura dell’elenco dei nuovi players, consente di sottoporre la riforma a una specie di stress test per misurare il suo impatto non solo sul “già conosciuto”, ma su quello che il settore “potrebbero diventare”. L’impressione generale, a un primo sguardo, è che molti dei soggetti elencati appaiono ancora distanti dal campo del terzo settore e in particolare dell’impresa sociale. Anzi in qualche caso il “raggio traente” della riforma è stato annullato rispetto alle prime stesure, nelle quali appariva un interesse anche per soggettività che volessero assumere una esplicita qualifica sociale a partire da modelli d’impresa di capitali.
- Questo potenziale bacino di nuova imprenditoria sociale si sposterà probabilmente in altri ambiti ancora in buona parte da esplorare..
come le “società benefit” – la normativa recentemente introdotta nella legge di stabilità del 2016 che consente di perseguire congiuntamente “scopo di lucro e beneficio comune” – o le startup innovative a vocazione sociale, per non parlare di altri dispositivi di certificatori volti a consolidare e rendicontare il “valore aggiunto” sociale e ambientale delle imprese.
Non tutto è perduto però. Il fatto che la norma non si limiti a riordinare ma ha dare nuova forma al terzo settore coinvolgendo espressioni nuove di economia e socialità che caratterizzano questa fase storica non dipende solo dal testo di legge e neanche dai pur importantissimi decreti attuativi (da emanare entro un anno).
- Serve, anche, una decisa azione di natura promozionale e di policy making volta a far conoscere la nuova architettura giuridica e le sue potenzialità applicative.
E inoltre è parimenti importante lavorare per agganciare il terzo settore e l’impresa sociale nella loro nuova veste giuridica ad altri impianti normativi e di politica alcuni dei quali oggetto, essi stessi, di intervento normativo. Qualche esempio? La legge sulla sharing economy, lo statuto degli incubatori e delle reti d’impresa, l’agricoltura sociale, gli sgravi fiscali per la cultura, la riforma dei servizi pubblici locali, le politiche per le periferie urbane e per le aree interne, i servizi educativi e scolastici e così via.
- La riforma fa un grande passo avanti nel riconoscere la soggettualità imprenditoriale e civica della comunità e crea le condizioni per aprire una stagione di politiche che promuovano l’innovazione sociale al pari di quella tecnologica.
Diamoci da fare quindi, ad esempio con un road show di presentazione della riforma per incontrare e conversare con i nuovi attori dell’innovazione sociale, onde evitare che anche questa lista di opportunità rimanga in buona parte tra i desiderata.