Forse è l’effetto Brexit, forse pesano le obiezioni già sollevate dal segretario di Stato per il commercio estero Mathias Fekl che poco più di un mese fa puntava il dito – citando un articolo di Carlo Petrini su La Repubblica – sulla scarsa trasparenza del Ttip e le contropartite insufficienti offerte dagli americani, fatto sta che alla Francia l’ormai famigerato Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti proprio non va giù. Proprio ieri il primo ministro Manuel Valls, parlando ai membri del suo partito, ha dichiarato: «Posso dirvi francamente che non ci può essere un accordo sul trattato transatlantico. Questo accordo non è sulla buona strada». (Scopri di più su: http://www.slowfood.it/ttip-la-francia-non-ci-sta/)

Valls si dice convinto, senza mezzi termini, che «nessun accordo di libero scambio dovrebbe essere concluso se non rispetta gli interessi dell’Unione» e che i negoziati sul Ttip non rispondano a questi requisiti. Tanto più, sottolinea il premier transalpino, perché l’eventuale ratifica «potrebbe essere terreno fertile per il populismo»: una preoccupazione a cui certo non è estraneo l’esito del referendum britannico di qualche giorno fa.

Per il mega accordo tra Unione Europea e Stati Uniti queste parole giungono come una doccia gelata, se non addirittura come il rintocco di una campana a morto. La scelta dei tempi pare essere tutt’altro che casuale: oggi, infatti, inizia il Consiglio europeo, nel corso del quale il presidente Jean-Claude Juncker chiederà ai capi di Stato e di governo di rinnovare alla Commissione Ue il mandato per condurre i negoziati sul Ttip. L’eventuale – ma sempre meno probabile – approvazione del trattato entro fine anno dipende da questo verdetto.

Nel corso degli ultimi mesi, abbiamo avuto più occasioni di parlarvi questo negoziato segreto, avviato nel 2013 e destinato a coinvolgere una gran quantità di ambiti tra cui l’ambiente, la finanza, i servizi pubblici, la tutela del lavoro e – soprattutto – il settore agroalimentare. Il rischio più concreto è che dietro al paravento dell’abolizione dei dazi doganali (che in realtà, come abbiamo spiegato, incidono ben poco sul volume dei commerci tra le due sponde dell’Atlantico) si celi una revisione al ribasso degli standard qualitativi imposti dall’Ue e dai governi europei nella filiera del cibo: normative a tutela della salute e della libertà di scelta del consumatore, come il divieto di somministrare ormoni nell’allevamento bovino o di lavare le carcasse animali con la clorina, senza contare la diversa regolamentazione sulla somministrazione degli antibiotici, i residui di pesticidi ammessi negli alimenti e gli organismi geneticamente modificati.

La mobilitazione dei cittadini europei, che ha portato a raccogliere oltre quattro milioni di firme contro il Ttip, ha già dato i suoi frutti. L’aumento di attenzione pubblica ha portato più volte la questione sotto i riflettori dei media, costringendo le autorità ad avallare almeno l’apertura di una sala per la lettura dei testi riservati dell’accordo a beneficio di parlamentari e funzionari governativi italiani.

Le modalità di accesso alla sala, aperta alla fine di maggio, sembrano studiate apposta per scoraggiare chiunque dal disturbare i manovratori: possono accedervi quattro parlamentari alla volta, scortati dai carabinieri, ed esaminare i testi sotto il controllo costante di un responsabile di sala. Niente smartphone, tablet, fotocamere o personal computer: i testi (scritti in inglese) possono essere consultati soltanto con l’ausilio di un dizionario di inglese, una penna e un foglio per gli appunti, a patto di non riportare il contenuto esatto dei documenti e non divulgarli a terzi. Il tempo a disposizione è di appena un’ora a persona, fatto che rende pressoché impossibile la comprensione di documenti altamente tecnici.

Da sottolineare il fatto che, con il pretesto di evitare altre fughe di notizie dopo quella orchestrata da Greenpeace il 2 maggio scorso, la Commissaria europea al Commercio Cecilia Malmström, ha deciso che le informazioni sensibili resteranno chiuse a Bruxelles, dunque non tutti i documenti negoziali saranno resi disponibili ai parlamentari. Alla faccia della trasparenza.

Non si sa se dal summit europeo in programma emergerà un’inversione di tendenza rispetto alle prassi escludenti, in alcuni casi oltre i limiti della correttezza e del buonsenso, con cui è stato gestito l’intero affaire Ttip. Di certo sarebbe un segnale di attenzione alla volontà popolare di cui l’Unione Europea ha più bisogno che mai.

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