Nel mese di febbraio del 2016, insieme agli amici e
colleghi di Caritas della Serbia abbiamo percorso al contrario una parte
della Western Balkan Route. Quasi 3.800 Km in 6 giorni, per
cercare di capire e documentare quello che stava accadendo nel nostro
continente da quest’estate ad oggi e poter raccogliere i bisogni di chi
opera lungo questa rotta, cercando ogni giorno di aiutare decine di
migliaia di persone in fuga da guerra, disperazione, fame. Un viaggio
fatto per tornare sapendo cosa chiedere. Ma soprattutto cosa
chiedersi. Insieme alla Caritas, IPSIA del Trentino e IPSIA nazionale (organizzazione non governativa promossa dalle ACLI per sostenere iniziative di cooperazione internazionale) portano avanti il progetto “Emergenza rifugiati sulla Western Balkan Route” a Preševo in Serbia. Il progetto è finanziato dall'Assessorato alla Cooperazione allo Sviluppo e la Giunta della Provincia Autonoma di Trento.
Diamo i numeri
In
estrema sintesi – e non per banalizzare – succede che ci sono delle
guerre e delle crisi nel mondo che spingono milioni di persone a cercare
di vivere una vita normale mollando TUTTO e cercando di salvarsi,
rischiando la vita attraversando montagne, affidandosi a criminali,
pagando per attraversare sui gommoni il mare e di nuovo attraversare a
piedi altre strade. Il sogno si chiama Europa. Spesso, si chiama Germany. Where do you want to go? Germany. A volte, Sweden.
Nel 2015 (dati Eurostat), 476.620
persone hanno fatto domanda di asilo in Germania. 162.550 in Svezia. Da
noi 84.085 persone. Ma chi sono, perché fuggono queste persone? Da dove
sono arrivati nel 2015 – (dati IOM) – più di un milione di
persone? Da dove venivano quei 3.771 morti nel Mediterraneo durante il
viaggio? Da dove arrivavano quei 10mila minori
non accompagnati SCOMPARSI lungo la Balkan route? Negli ultimi sei anni
sono scoppiati o si sono riattivati almeno 16 conflitti: otto in Africa
(Costa d’Avorio, Repubblica Centrafricana, Libia, Mali, nordest della
Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan e quest’anno
Burundi); quattro in Medio Oriente (Siria, Iraq, Afghanistan e Yemen);
uno in Europa (Ucraina) e tre in Asia (Kirghizistan, e diverse aree
della Birmania e del Pakistan). Là dove non ci sono i conflitti, ci sono le crisi economiche, la povertà, le malattie. Il nulla.
Tutto questo sta generando uno spostamento di popolazione
che vede coinvolte circa 42.000 persone al giorno costrette a lasciare
la propria casa, con numeri che hanno superato i 60 milioni di persone
nello scorso anno (dati UNHCR). Sempre meno persone riescono a
tornare a casa, la maggior parte trova accoglienza nei paesi
dell’Africa subsahariana (4,1 milioni di persone), in Asia e Pacifico
(3,8 milioni), in Europa (3,5 milioni), in Medio Oriente e Nordafrica (3
milioni) e nelle Americhe (753mila). E così sino allo scorso anno
eravamo abituati a vedere le scene dei migranti che sbarcavano sulle
nostre coste a bordo delle “carrette del mare”. Barconi che dalla Libia
puntavano la vicina Lampedusa. Naufragi e disperazione, in mano ai
trafficanti di uomini. Ci indignavamo, ma non abbiamo mai fatto molto
per capirne di più.
Si trattava, ahinoi, solo della punta
dell’iceberg. Infatti, nel 2015 sono arrivate in Europa 1.000.573 di
persone. Di queste l’80% è arrivato dalla Grecia, in particolare
attraccando sull’isola di Lesbo, partendo dalla Turchia. Gli altri,
circa 150,000, hanno attraversato il Mediterraneo sui più noti barconi
per Lampedusa, partendo dalla Libia. E’ così che nell’estate 2015 si è
aperta la Western Balkan Route. In particolare alimentata dal flusso di
milioni di Siriani in fuga dal loro paese che spingono alla frontiera
turca, per raggiungere il mare e l’Europa. Di chi si avventura lungo
questa rotta il gruppo più numeroso è quello dei siriani (49%) seguito
da Afgani e Iracheni (le uniche 3 provenienze che dall’autunno 2015
hanno diritto di proseguire lungo la Balkan route, gli altri invece
vengono respinti e fermati in particolare tra Serbia e Macedonia dove
possono o fare domanda di asilo, o venire espulsi. Spesso queste persone
cercano altre vie pericolose e illegali per andare avanti nel viaggio).
La loro Western Balkan Route
Il
percorso parte dalle isole Greche (in particolare Lesbo e Kos) situate a
pochissimi chilometri dalla Turchia da dove trafficanti della peggior
specie vendono giubbotti salvagente (sui quali è nato il business della
falsificazione, per cui molte persone in caso di ribaltamento del
gommone annegano perché i giubbetti non sono omologati) e passaggi su
imbarcazioni più o meno sicure. Il viaggio dalla Turchia costa a
partire dai 1.000 euro a persona sui gommoni gonfiabili e sale di prezzo
per gli scafi rigidi con motore. E’ qui a Bodrum, sulla costa turca,
che a settembre 2015 è stato trovato il corpo del piccole Aylan, il
bimbo siriano di 3 anni annegato con suo fratello e sua madre, la cui
foto ha fatto il giro del mondo.
Dalle isole Greche i migranti
raggiungono Atene via traghetto, ognuno pagando il proprio biglietto. Il
costo varia in base al servizio che si sceglie (passaggio ponte,
cabina) e alla compagnia che offre il servizio e parte da un minimo di
44 a un massimo di 72 euro a persona. Ad Atene terminata la
registrazione si parte via autobus per Idomeni (exit point). In questo
caso il costo del tragitto è di circa 30, 35 euro. Può capitare che
Idomeni sia chiuso perché il campo è sovraffollato. In questo caso i
malcapitati dovranno aspettare presso l’autogrill Eko sull’autostrada,
all’altezza di Polikastro. Qui non esiste un campo organizzato, i bus
stanno fermi per giorni fino a che Idomeni non si svuota. Le persone
(negli ultimi giorni 3 – 4.000) aspettano di partire, dormendo in
tendine da campeggio, senza cibo caldo e senza bagni a sufficienza.
Nell’area non sono state montate tende riscaldate, container e si conta
una bassissima percentuale di organizzazioni, proprio vista
l’imprevedibilità della situazione. Dal campo di Idomeni i migranti a
piedi superano il confine – che sia giorno, che sia notte, che sia
freddo, che sia caldo e arrivano a Gevgelija (Macedonia). Qui ripartono
praticamente subito o con il treno o con i taxi. Il prezzo per arrivare a
Tabanovce è di 25 euro a persona. E’ qui che gli autisti macedoni hanno
protestato fortemente bloccando i passaggi dei treni, che a loro dire
toglievano loro lavoro. Il governo ha dovuto trattare per far passare
almeno un treno al giorno, mentre per il resto del tempo sono i taxi ad
accompagnare le persone.
Problema: considerato lo stipendio medio
macedone di circa 250 euro al mese, quanti soldi in più guadagna al mese
un tassista che in un giorno fa in media due viaggi con a bordo 4
persone, visto il costo del carburante che non supera l’euro al
litro? Raggiunta Gevgelija i migranti superano il confine e percorrono 4
Km a piedi lungo un sentiero parallelo alla ferrovia per raggiungere
prima Miratovac (dove si trova il RAP – Refugee Assistance Point) e
quindi Preševo, in Serbia. Al pari del centro d’entrata, anche il centro
di uscita macedone è caotico e la gente recupera in fretta qualche
vestito, qualche panino e si incammina in fretta verso la Serbia. Di là
della frontiera, percorsi i sentieri a piedi nel fango, la situazione si
fa più tranquilla. Il centro a Preševo è veramente ben attrezzato,
salvo le lunghe attese per il security check (che avvengono sotto una
pensilina all’aperto), si accede a larghi tendoni riscaldati e servizi
igienici decenti. Inoltre ci sono moltissime organizzazioni presenti.
Terminata la registrazione i migranti hanno 72 ore per lasciare la
Serbia o chiedere asilo e si incamminano con i bus verso il nord del
Paese, prima fermandosi nell’autogrill lungo l’autostrada ad Adaševci
dove hanno allestito un centro del commissariato serbo per i rifugiati e
un centro di accoglienza (nulla a che vedere con l’autogrill greco di
Policastro) e quindi proseguendo per la stazione dei treni di Šid. Il
costo del percorso dal sud al nord della Serbia in autobus è di 35 € a
persona.
Da Šid si parte via treno per Slavonski Brod. Qui
nuovamente vengono fatte le procedure di controllo, l’identificazione e
la registrazione (che permette di stare in Croazia sino a 7 giorni) e
dopo un’attesa che normalmente durava circa 5 ore (ma che si sta via via
prolungando fino a 24, 48 ore in questi giorni) il treno parte per
Dobova in Slovenia. Le spese di trasporto sono – per la prima volta –
gratuite per i migranti. E’ l’Unione Europea che infatti sta coprendo le
spese di accoglienza e trasporto all’interno di questi paesi. Partiti
da Brod si raggiunge in circa 4 ore il centro di transito di Dobova, in
Slovenia. Da qui nuovamente senza pagare, si parte per l’Austria, verso
due punti di confine: Šentilj-Spielfeld o Jesenice-Rosenbach. Ed è qui che finisce la Balkan Route e si apre la possibilità di ricominciare una nuova vita per i migranti.
Sempre che i governi europei trovino degli accordi per la distribuzione
dei richiedenti asilo e rifugiati, sempre che le espulsioni e i
respingimenti non si facciano ancor più frequenti, sempre che la Turchia
faccia la sua parte nell’accogliere all’interno delle sue frontiere le
decine di migliaia di persone che cercano riparo…
Sempre che l’Europa faccia la sua parte, sempre che noi facciamo la nostra parte.
Silvia Maraone di IPSIA del Trentino