Un pezzo significativo di economia italiana, con un bilancio di oltre 12 miliardi di fatturato. Corsie preferenziali e agevolazioni fiscali sono in parte giustificati soprattutto per le cooperative che assumono lavoratori svantaggiati. (Scopri di più su: http://www.repubblica.it/solidarieta/volontariato/2016/05/13/news/cooperative_sociali_i_dati_aggiornati_al_2014_12_miliardi_di_fatturato-139723161/?refresh_ce)
  • di Ida Cappiello
Roma. Mondo Solidale di Repubblica.it è in grado di anticipare alcuni dati sulle cooperative sociali del Rapporto 2016 dell’Euricse, l’istituto di ricerca sulla cooperazione collegato all’Università di Trento. Quest’anno i ricercatori dispongono di una nuova, importante fonte d’informazione: l’Albo nazionale delle cooperative, pubblicato a giugno 2015 sul sito web del Ministero dello Sviluppo Economico dopo oltre dieci anni di attesa, sulla spinta dello scandalo di “Mafia capitale” che ha coinvolto a Roma le cooperative sociali di Salvatore Buzzi, a garanzia di una maggiore trasparenza.
L'1% del Pil italiano e 300 mila impiegati. Anche se alla pubblicazione non è seguito l’annunciato coordinamento tra il governo e l’Autorità anticorruzione (“a breve verrà stipulato un protocollo d’intesa…per coordinare i rispettivi settori d’intervento, agendo sull’intersezione tra le rispettive attività che è rappresentata fondamentalmente dalle cooperative - ed in particolare le cooperative sociali - che sono parti contraenti di contratti pubblici”, aveva dichiarato il sottosegretario Simona Vicari), l’albo migliora nettamente il livello di informazione libera su un mondo di imprese molto discusso ma poco conosciuto. I dati Euricse si riferiscono al 2014, sono i più aggiornati oggi disponibili e fotografano un pezzo importante di economia italiana: le cooperative sociali in attività sono oltre dodicimila, fatturano oltre 12 miliardi di euro - quasi l’1% del PIL italiano – e occupano poco meno di 300mila lavoratori.

Le cooperative sociali A, gestori del nuovo welfare. La maggioranza di esse sono del tipo A, impegnate nella produzione di servizi socioassistenziali, socio-sanitari ed educativi (leggi: asili nido), con un fatturato di quasi 9 miliardi di euro. Soldi che arrivano in prevalenza dagli appalti pubblici, confermando un ruolo sempre più incisivo di queste imprese come gestori di welfare. Secondo alcune stime, almeno la metà dei servizi citati oggi è gestito dalle coop. Lo Stato risparmia, ma gli utenti ne hanno un beneficio? Ne è convinto Carlo Borzaga, docente universitario e presidente di Euricse.

Servizi offerti solo da spirito etico. “In Italia non abbiamo avuto una massiccia di esternalizzazione dei servizi sociali per abbassare i costi, come è successo ad esempio in Inghilterra - dice Borzaga - sono state le stesse coop a proporre agli enti pubblici nuovi servizi che prima non esistevano, ad esempio i centri diurni per anziani". Spesso sulla base di esperienze di volontariato, quindi con una forte motivazione e carica etica, mentre il minor costo deriva soprattutto da un’organizzazione del lavoro più flessibile, non certo dallo sfruttamento dei lavoratori. Se andiamo a guardare le retribuzioni, vediamo che ormai sono in linea con il settore profit. Solo i dirigenti guadagnano meno”.

Non c'è nessuna corsia preferenziale per le Coop. Trattamenti di favore negli appalti solo a chi inserisce lavoratori svantaggiati. La convinzione diffusa che le coop sociali abbiano una corsia preferenziale negli appalti pubblici è da ridimensionare. Come ha sottolineato recentemente l’Autorità anticorruzione, esse concorrono negli appalti per i servizi sociosanitari ed educativi alle stesse condizioni di tutte le altre imprese. Esiste invece un regime più favorevole per le coop del tipo B, di inserimento lavorativo, purché sia dimostrato che il servizio affidato dall’ente pubblico crei nuove opportunità di lavoro a persone in difficoltà.

Le cooperative sociali B. Sono meno numerose, circa tremila, e fatturano circa due miliardi di euro. Operano in tutti i settori produttivi, ma hanno l’obbligo di assumere almeno il 30% dei lavoratori tra le persone svantaggiate: disabili, persone con disagio psichico, condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione, alcolisti, minori in età lavorativa con difficoltà familiari. Anche queste tipologie di imprese, inizialmente, lavoravano quasi tutte in convenzione con gli enti pubblici nelle pulizia, manutenzione del verde, magazzinaggio e altri servizi relativamente semplici. Negli ultimi anni però ne sono nate di nuove che si confrontano con il mercato, producendo ad esempio pane e dolci, restaurando mobili, gestendo aziende agricole (la cosiddetta “agricoltura sociale”), oppure come fornitori di servizi alle imprese (assemblaggio, informatica, call center) ad aziende private, anche grandi. In questo caso, opera a favore delle coop sociali B c'è l’articolo 14 della legge Biagi, che permette alle imprese profit soggette al collocamento obbligatorio di evitare l’assunzione di disabili presso di sè, facendoli lavorare in alternativa presso la coop B e affidando alla stessa commesse di lavoro che permettano l’utilizzo del lavoratore svantaggiato.

Vantaggi fiscali, ma a fronte di un vero beneficio sociale. Un’altra convinzione diffusa è che le cooperative sociali godano di benefici fiscali che le mettono in condizioni di vantaggio indebito rispetto alle normali imprese. I benefici in effetti sono rilevanti: gli utili d’impresa accantonati come riserva non sono tassati, e l’IVA ha l’aliquota agevolata del 5% ma solo per le cooperative di tipo A (socioassistenziali ed educative). Le coop B invece pagano l’IVA piena, ma non pagano oneri sociali sui lavoratori svantaggiati. La collettività quindi sostiene dei costi per favorire queste imprese, ma gli utili accantonati sono una risorsa che sarà sempre investita in nuove iniziative sociali. Infine c’è da considerare il netto miglioramento della condizione di persone in disagio che, senza lavoro, peserebbero molto di più sull’assistenza e sulla spesa sanitaria.

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