Anche se non si scappa da una guerra civile si può avere diritto alla protezione umanitaria se l’alternativa è morire di fame. (Scopri di più su:
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Segnaliamo con piacere questa sentenza del Tribunale di Milano che ha riconosciuto la protezione umanitaria a un cittadino del Gambia, precedentemente destinatario di un provvedimento di rigetto della Commissione Territoriale, in nome del suo diritto alla salute e all’alimentazione. In linea più generale, in nome del suo diritto a vivere dignitosamente.
In un primo momento la domanda di protezione internazionale, per presunti motivi politici ritenuti poco credbili, era stata rigettata al ricorrente.
Tuttavia, il tribunale, una volta analizzate le attuali condizioni socio-economiche del Gambia, ha stabilito che l’eventuale ritorno in un paese con un alto livello di povertà diffusa e una sicurezza alimentare a rischio, esporrebbe il ricorrente a condizioni di vita del tutto inadeguate ai parametri di benessere e di dignità umana ai quali si ispirano la Costituzione italiana e le tante convenzioni internazionali ratificate dall’Italia (CEDU, I Patti del ’66, Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo).
Quindi, scrive il giudice, “dal momento in cui il richiedente è giunto nel territorio del nostro Paese, egli è titolare del pieno diritto ad accedere alla protezione umanitaria affinché gli sia garantito un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia, laddove le condizioni socio-economiche e sanitarie del Paese di origine non consentano un livello sufficientemente adeguato ed accettabile di vita”.
Riteniamo che questa sentnza rappresenti un precedente importante, che dà un’interpretazione del “migrante economico” finalmente più aderente a quella che è la realtà: la distinzione tra chi fugge dalla guerra e chi è costretto a lasciare il proprio paese di origine per non morire di fame è veramente sottile.