“Ho parlato così tanto dei crimini dello Stato islamico che mi sono stancata, visto che non c’è nessuna azione effettiva a livello internazionale. Ho parlato della storia della mia comunità, soggetta a un vero e proprio genocidio, e di tutte le comunità di Iraq e Siria. Ho parlato di 6mila donne e bambini yazidi che sono stati sottoposti alla schiavitù spirituale, sessuale e fisica. Ho parlato quindi di me stessa”. (Scopri di più su: http://it.gariwo.net/persecuzioni/diritti-umani-e-crimini-contro-l-umanita/l-uomo-non-puo-essere-una-merce-15043.html)
  • Martina Landi, Redazione Gariwo
Con queste parole Nadia Murad si presenta al pubblico del Festival dei Diritti Umani di Milano. Nadia è una giovane yazida che, dopo tre mesi nelle mani dei miliziani dell’Isis, è riuscita a scappare dai suoi carnefici. È stata comprata e venduta da Daesh, ha subito violenza collettiva e individuale ed è stata testimone diretta del massacro della sua famiglia.

Nadia racconta cosa significa vivere sotto lo Stato Islamico oggi: villaggi distrutti, uomini massacrati, donne e bambini resi schiavi. I giovani non possono studiare, ma vengono anzi educati secondo il pensiero terroristico, per uccidere i loro padri e fratelli considerati “infedeli”, per operare contro l’umanità. Chi si oppone vene fucilato, come i sei fratelli di Nadia. “È accaduto tutto questo nella gran parte dei nostri territori, e sono già state ritrovate 37 fosse comuni. Le autorità irachene e la comunità internazionale hanno considerato tali elementi come prova sufficiente della commissione di genocidio ai danni della mia comunità, ma ancora oggi 3500 donne e bambini yazidi sono vittima di schiavitù”.

Il racconto della giovane trova spazio anche per ricordare il patrimonio culturale che è stato distrutto dai fondamentalisti - da Palmira in Siria alle città del Nord dell’Iraq, alla chiesa di Santa Maria e altri luoghi di culto di diverse comunità.

“Siamo di fronte a crimini contro l’umanità, che non dovrebbero più avere luogo nel 21esimo secolo. - prosegue Nadia - I cadaveri dei miei fratelli, dei miei parenti, di chi viene ucciso, non possono rimanere esposti all’aria senza essere sepolti. Le campane delle chiese delle nostre città non devono fermarsi. L’uomo non può essere una merce, non può essere privato della sua libertà”.

Nadia chiede alle grandi nazioni di rispettare i loro doveri morali, tutelando le minoranze come quella yazida e portando i carnefici dello Stato Islamico di fronte alla Corte Penale Internazionale. Ma chiede anche agli stessi musulmani di essere i primi ad affrontare il pensiero distruttivo fondamentalista, anche con un’analisi attenta delle dottrine dell’Islam. Tanti crimini sono stati commessi in nome della religione, ricorda Nadia, e oggi molti di questi crimini avvengono in nome dell’Islam. Tuttavia “il mondo non deve sbagliarsi confondendo i concetti. Sono molti musulmani che vogliono il bene per l’umanità intera, e che per questo diventano i primi bersagli del terrorismo. Confondere i concetti è un delitto, non minore di quelli degli estremisti”.

Il suo è un monito a non diventare vittime di ideologie di terrore e razzismo, e ad aiutare chi fugge in Europa lasciando la propria terra e spesso morendo nel Mediterraneo o nei lunghi tragitti verso la salvezza.

“Una persona che scappa dalla morte - ricorda Nadia - non può trovarsi di fronte ad altra morte. Chi è fuggito dal genocidio non può trovare le porte del mondo chiuse davanti a sè o ai suoi figli”.

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