La virtù è più contagiosa del vizio, a condizione che venga fatta conoscere. Lo sosteneva Aristotele oltre 2300 anni fa e la massima vale a maggior ragione oggi nella società dell’informazione, che tende a stabilire rapporti di proporzione diretta tra la rilevanza dei fatti e la loro rappresentazione o visibilità. Con qualche eccezione, come sempre. (Scopri di più su: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-04-21/filantropia-valore-che-fa-bene-063145.shtml?uuid=AC8FbJCD&refresh_ce=1)
  • Elio Silva
La filantropia, intesa come donazione di risorse e di tempo per finalità di bene comune, nel nostro Paese si sottrae alla regola, perché i benefattori, nella stragrande maggioranza dei casi, preferiscono ancora oggi rimanere anonimi, senza esposizione mediatica e senza bisogno di riconoscimento pubblico.

A rilevarlo è una ricerca realizzata dall’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, che sarà presentato oggi a Milano (via San Prospero, 2, ore 11) e ha indagato i comportamenti filantropici degli High Net Worth italiani, ovvero le persone con un patrimonio (esclusa l’abitazione principale) superiore al milione di euro. Lo studio, giunto alla seconda edizione e condotto in collaborazione con il gruppo Kairos, che opera nel private banking e nel wealth management, evidenzia che l’80% dei grandi donatori rifugge da ogni forma di pubblicità. Una filantropia “all’italiana” che ci distingue dal mondo anglosassone, dove le erogazioni liberali contribuiscono in modo rilevante alla costruzione di reputazione dei personaggi pubblici.

«Il fenomeno ha due spiegazioni», osserva Stefano Zamagni, “padre nobile” del non profit italiano ed ex presidente dell’Agenzia per il Terzo settore. «La prima ragione è che si teme, pubblicizzando la donazione, di aprire la porta ad altri richiedenti, tenuto conto della situazione di grande bisogno che caratterizza i nostri tempi.

La seconda motivazione, ben più profonda, ha a che fare con la cultura del sospetto prevalente nel nostro Paese, dove molti pensano che l’atto donativo serva in realtà a compensare condotte meno meritorie, per cui finisce per prevalere l’anonimato. Viceversa, negli Stati Uniti la donazione aumenta il capitale reputazionale del benefattore, che dunque è incentivato a far conoscere le proprie elargizioni». In definitiva, secondo Zamagni, si tratta di una modalità destinata ad essere progressivamente superata, ma il cambiamento richiederà tempi lunghi, in quanto il desiderio di anonimato affonda le radici nella scarsa fiducia generalmente riposta dagli italiani in chi ha fatto fortuna.

Al netto di questa propensione alla riservatezza, l’indagine dell’Unhcr segnala numerosi passi avanti nella pratica delle donazioni da parte dei cittadini più abbienti. Crescono, infatti, sia il numero, sia l’importo medio delle elargizioni: il 27% degli High Net Worth (contro il 14% del 2014) hanno offerto di più nel 2015 rispetto all’anno precedente.

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